2020-10-16
Jole, la governatrice che non aveva paura. «Io non arretro mai»
Jole Santelli (Massimo Di Vita/Archivio Massimo Di Vita/Mondadori Portfolio via Getty Images)
La Santelli ha combattuto fino all'ultimo contro la malattia e contro le cattiverie dei nemici. La Calabria tornerà al voto.Solo pochi giorni fa Jole Santelli era stata lambita da una miserabile tempesta di ingiurie via social, che oggi, nel giorno della commozione e dei mille coccodrilli tardivi, per tutti noi dovrebbe diventare un monito. Era accaduto questo: la presidente della Regione Calabria era stata immortalata in un video rubato mentre si lanciava in una danza popolare a una festa elettorale - una tarantella senza mascherina - e subito dopo inseguita dal solito anatema: proprio tu che fa le leggi, poi non le rispetti mettendo a rischio gli altri. Era forse vero il contrario, perché la morte ha sempre l'effetto di spiazzarci e insegnarci qualcosa. Persino lei, che conosceva benissimo la propria personale fragilità dopo una terribile malattia, sapeva quale pericolo stesse correndo. Tuttavia nemmeno lei, così lucida, poteva immaginare che quello sarebbe stato il suo ultimo ballo: solo la luce del dramma illumina le cose con il senso del definitivo, e - insulti a parte - persino quelle critiche formalmente fondate oggi ci sembrano soltanto flatus vocis, spazzatura. Devo raccontare una cosa: avevo chiamato la Santelli per una intervista da pubblicare sulla Verità, la notte della polemica sulla sua celebre ordinanza che alla fine del lockdown consentiva l'apertura di bar e locali all'aperto in Calabria. Anche allora la Santelli era stata coperta di insulti, in una sequenza paradossale, se si pensa che l'ordinanza era stata subito impugnata. Ma pochi giorni dopo quello che lei aveva consentito in Calabria, era stato concesso a tutti in tutta Italia. Una rapido cambiamento di scenario, che fra l'altro fece sì che quella intervista fosse superata dagli eventi, ma che non ci impedì di restare a discutere tra mezzanotte e le due di pandemia e regole: persino quell'orario notturno dice tutto della sua passione. Era arrabbiata, ma in battaglia: «Questi pensano che io mi prenda paura. E non mi conoscono: vado sempre fino in fondo». Vero. Il giovedì prima era stata ospite a Piazza Pulita, aveva fatto le ore piccole, di notte era rimasta a leggere tutti i messaggi in rete. Ma aveva ancora quel cruccio dentro - «Cosa è giusto fare?» - e mi aveva detto una frase che, ripensandoci oggi, potrebbe essere una risposta alla domanda che tutti ci facciamo di fronte al dramma del coronavirus: «Molti sono così stupidì da non capire che io, paziente tumorale e immunodepressa, sono la prima persona a sapere cos'è il rischio. Conosco meglio di chiunque la paura di chi vorrebbe chiudersi in casa. Però...». Però? «Però questa è Jole, la sua vita. La Santelli che governa la Regione Calabria deve sforzarsi di fare un ragionamento in più su quegli esercenti che devono tenere tutti chiuso e non sanno come sfamare le famiglie». Quindi mi aveva detto l'ultima cosa: «Da immunodepressa so bene quello che i medici ti spiegano subito. Posso prendermi qualsiasi cosa, in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo. Ma non voglio rinunciare a vivere». Jole Santelli era una delle parlamentari che conoscevo da più tempo, perché l'essere coetanei aveva accavallato frequentazioni ed esperienze: era stata una giovane socialista ancora nel tempo della Prima repubblica. A San Gineto, vicina di ombrellone di Giacomo Mancini. Una passione giovanile per Claudio Martelli. Poi era diventata forzista al cubo. Una volta avevo scritto: «E poi c'è la Santelli amazzone dello studio Previti». Da quel momento, ogni volta che piombava in Transatlantico mi sorprendeva con un ruggito: «Attenti, ecco lo studio Previti!». Era una secchiona, ma le piaceva lasciare il segno. Impossibile non raccontare i suoi ingressi a Montecitorio nella prima parte della sua vita: stivali di pelle nero a ginocchio, calze a rete, minigonna, camicette in seta con scollature da codice penale. A questo si riferiva Berlusconi nella battuta ripetuta cento volte: «Ha un solo difetto: non me l'ha mai data». In quel tempo la Santelli teorizzava la necessità di questo look: «Sono l'unica vera femminista, qui». Solo la prima malattia l'aveva cambiata: un brutto problema alla tiroide, e il look d'assalto aveva ceduto il posto a quello della signora del Sud con una passione per la cucina: non aveva avuto figli (un cruccio) ed era pazza dei suoi nipoti (due in Germania), leggeva moltissimo. Jole era figlia di un geometra dell'Anas e di una mamma - la signora Imperia - professoressa di filosofia, da cui (al di là delle apparenze) aveva preso la sua impronta più intellettuale. Aveva lavorato da ragazza con Tina Lagostena Bassi e le piaceva dipingersi così: «Se devi raccontarmi non dimenticare mai le prime due caratteristiche della Santelli. In primo luogo sono una garantista. In secondo luogo, pure». Impossibile discutere con lei di un processo a Berlusconi senza correre il rischio di essere sbranati. Non parlava volentieri della malattia: era morta la madre, di tumore, provocandole un dolore terrificante. E poi, come accade solo a chi ama, si era ammalata anche lei dello stesso tipo di tumore. Una sera convocò Mario Occhiuto a cena, in modo quasi formale, e gli disse: «Mario, dovrò fare chemioterapia: ma tranquillo, non mi fermo un minuto. Ho una malattia ma non divento malata». Non erano frasi fatte, erano amici e colleghi: lui sindaco, lei vice. Però Mario rimase stupito quando si accorse che anche durante la chemio la Santelli non aveva preso un giorno di malattia. Lui avrebbe voluto parlarne, condividere quella pena. Lei troncava: «Mi occupo della vita, non della morte». Occhiuto e Jole erano insieme anche la famosa sera della Tarantella: «Era una festa per l'elezione di Rosaria Succurro a sindaco di San Giovanni in Fiore. Ci tirarono dentro, e io rimasi stupito che Jole accettasse. Conoscevo la sua condizione. Era uscita la notizia che si fosse aggravata». Lei aveva replicato netta: «Cattiverie». Fumava tantissimo, anche dopo il tumore, spesso era perseguitata dalla raucedine. Per questo Occhiuto non si era preoccupato dopo un comizio al gelo a Camigliatello Sila, provincia di Cosenza: «Il freddo mi ha fatto perdere la voce». Era la vigilia della morte, la ritrova ieri mattina il domestico dei genitori. Viveva per la politica, per quel ruolo di presidente che aveva assunto con spirito «vocazionale». Ed è bella anche l'epigrafe della Lorenzin: «Era prorompente, indomita. Si è mangiata la vita. E i suoi dolori. Poi la vita ha mangiato lei». Aveva 51 anni.