2022-03-06
Israele si propone come mediatore mentre Washington gira a vuoto
Naftali Bennett e Vladimir Putin in una foto d'archivio del 22 ottobre 2021 (Ansa)
Missione a sorpresa di Naftali Bennett a Mosca: incontra lo zar, telefona a Volodymyr Zelensky e vola da Olaf Scholz. Gaffe Usa che si appoggia al Cremlino sul nucleare iraniano. Avvertimento del cinese Wang Yi ad Antony Blinken su Taiwan.La giornata della diplomazia mondiale è stata segnata dalla persistente ambiguità cinese, da una speranza legata a un tentativo di mediazione di Gerusalemme, e anche da qualche scelta per lo meno sorprendente da parte di Washington. Com’era prevedibile, intanto, l’avanzata sul campo sta consentendo a Vladimir Putin di alzare la voce contro le sanzioni occidentali, che indubbiamente lo preoccupano già adesso e a maggior ragione in prospettiva: «Molto di ciò che sta accadendo ora e di ciò a cui stiamo assistendo e di ciò che accadrà», ha detto l’autocrate russo secondo l’agenzia Interfax, «è un modo per combattere contro la Russia. E queste sanzioni che ci vengono imposte sono come una dichiarazione di guerra». Ancora più minacciose le parole rivolte da Putin alla leadership ucraina, sempre facendo leva sulle posizioni conquistate sul terreno dall’esercito russo: «Se la dirigenza ucraina attuale continua a fare quello che fa, e non comprende le nostre preoccupazioni sulla possibilità che armi nucleari possano essere piazzate sul suo territorio, sta mettendo in questione il futuro dell’Ucraina come Stato». Tuttavia - e qui sta il maggior paradosso delle ultime 24/36 ore - un clamoroso assist diplomatico alla Russia è venuto proprio da Washington. Si tratta, in un colpo solo, di un atto di debolezza da parte dell’amministrazione Biden e anche di un cascame della fallimentare politica pro Iran dei tempi di Barack Obama, quando Biden era vicepresidente. Di che si tratta? Nell’ambito dei colloqui sul nucleare iraniano, inopinatamente, il rappresentante diplomatico Usa, Robert Malley (già a capo del pessimo negoziato obamiano del 2015), si è affidato alla mediazione della diplomazia russa, che ovviamente ha tutto l’interesse a fare da power-broker geopolitico: a quel punto, infatti, gas e petrolio iraniano verrebbero stravenduti a prezzi altissimi, e Teheran avrebbe l’obbligo morale di supportare l’economia russa, provata dalle sanzioni. Trovandosi al centro di una partita così promettente, a Mosca non è parso vero di alzare il prezzo politico, in qualche modo collegando la questione ucraina alla vertenza iraniana, e chiedendo che non venga intaccato il proprio «diritto a una libera e completa cooperazione economica, commerciale, tecnico militare e di investimenti» con Teheran. Anche qui torna la nostalgia per la stagione presidenziale di Donald Trump: con gli Accordi di Abramo, aveva valorizzato Israele e Arabia Saudita, isolando l’Iran degli ayatollah; si confrontava in modo duro con la Cina; e la sua postura assertiva aveva scoraggiato prove di forza da parte di Putin. Ora, in epoca Biden, tutto sembra andare al contrario. Intanto il ministro degli Esteri Usa, Antony Blinken, ha sentito il suo omologo cinese, Wang Yi. Il quale ha ribadito l’auspicio «che i combattimenti si interrompano il prima possibile, evitando crisi umanitarie su larga scala». E ancora: «La Cina ritiene che per risolvere la crisi ucraina sia ancora necessario agire secondo finalità e principi della Carta dell’Onu. Il primo è rispettare e proteggere la sovranità e l’integrità territoriale di tutti i Paesi, il secondo è insistere sulla risoluzione pacifica delle controversie». La parte più interessante della posizione di Pechino sembra essere un freno implicito all’escalation russa, ma la frase può essere anche interpretata come un segno di ostilità alle sanzioni occidentali: la Cina «si oppone a qualsiasi azione che non sia favorevole alla promozione di una soluzione diplomatica, e che invece alimenta il fuoco e aggrava la situazione». Si resta su un terreno ambiguo, insomma. Occhio infine alla parte più minacciosa delle dichiarazioni di Wang Yi, quella su Taiwan: gli Usa «la smettano di sostenere l’indipendenza di Taiwan, parte inalienabile del territorio cinese». Come si vede, Pechino resta pronta a ogni scenario: è infastidita dalle accelerazioni di Putin, ma non esclude di usare il precedente ucraino ai danni di Taiwan.Quanto a Blinken, ha evidenziato che «il mondo sta guardando per vedere quali nazioni difendono i principi fondamentali della libertà, dell’autodeterminazione e della sovranità». Più avanti, Blinken ha aggiunto che «il mondo sta agendo all’unisono per ripudiare e rispondere l’aggressione russa, assicurandosi che Mosca paghi un alto prezzo».Forse la speranza più consistente delle ultime ore deriva dall’iniziativa del primo ministro israeliano, Naftali Bennett, che nei giorni scorsi aveva già parlato un paio di volte al telefono sia con Volodymyr Zelensky sia con Putin, e che ieri si è recato in visita proprio a Mosca da quest’ultimo, offrendosi per una mediazione con l’Ucraina. Sembra chiaro che Bennett abbia preavvisato la Casa Bianca di questo tentativo. L’incontro con Putin è durato tre ore: finito il colloquio a Mosca, Bennett ha telefonato a Zelensky ed è volato in Germania dal cancelliere, Olaf Scholz. Dinanzi all’Europa delle parole e (spesso) dell’inconsistenza, tocca a Gerusalemme, con credibilità politica e forza morale, tenere viva la possibilità di fermare il disastro in corso.
13 ottobre 2025: il summit per la pace di Sharm El-Sheikh (Getty Images)
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