2025-06-09
Steve Hanke: «La Bulgaria nell’euro non ha senso»
Steve Hanke (Getty Images)
L’economista, autore della riforma che ha legato il lev alla moneta unica, critica la scelta di aderire alla valuta Ue dal 2026: «Finora Sofia ha mantenuto la sovranità. Perché farsi intrappolare in un club dal futuro incerto?».«Perché la Bulgaria dovrebbe provare ad aggiustare qualcosa che non è rotto»? Di più, «perché in tempi in cui il sentimento identitario e nazionale scorre potente, la Bulgaria dovrebbe cedere la sua sovranità monetaria»? E ancora, «ha senso che la Bulgaria contempli l’entrata in un club i cui standard di ingresso in passato sono stati diversi rispetto a quelli riconosciuti alla Bulgaria oggi»? E poi, «perché la Bulgaria dovrebbe unirsi, anzi farsi intrappolare in un club come l’area euro il cui futuro è incerto»? E infine, «perché la Bulgaria dovrebbe adottare ufficialmente l’euro quando la sua moneta è già agganciata all’euro» per mezzo del sistema monetario cosiddetto Currency board, che l’economista Steve Hanke, professore di economia applicata alla Johns Hopkins University di Baltimora, conosce molto bene? Sono tutte domande che Hanke si sta ponendo da tempo. Accetta di parlarne con La Verità. Hanke conosce a menadito il cosiddetto Currency board. E non solo e non tanto in quanto economista prestigioso e ascoltato, quanto soprattutto perché è stato consulente senior dell’ex presidente Stoyanov ed è appunto noto come il padre del Currency board in Bulgaria. Il suo ultimo libro, con Matt Sekerke, si intitola Making Money Work: How to Rewrite the Rules of Our Financial System (Far funzionare il denaro: come riscrivere le regole del nostro sistema monetario), appena pubblicato. Le domande sono di stretta attualità perché la Bulgaria è in procinto di entrare nell’eurozona a partire dal 1° gennaio 2026. Prospettiva che ad Hanke non piace per niente. Continua a ritenere che l’attuale Currency board costituisca lo strumento ottimale a disposizione della Bulgaria. Mi faccio spiegare dal professor Hanke in cosa consista esattamente. «La Banca Nazionale della Bulgaria - più nello specifico il dipartimento dedicato all’emissione di moneta - ha iniziato a operare con questo sistema a partire dal luglio del 1997. Le regole sono semplici: i lev messi in circolazione dovevano essere pienamente garantiti da riserve di marchi tedeschi (poi trasformate in euro)». In quale misura? Con un tasso di cambio definito. Si chiama «peg» in gergo monetario. La Banca centrale si impegna a garantire la conversione in euro a richiesta del detentore di moneta nazionale bulgara. Nell’ultimo anno con un euro si potevano avere circa 1,96 lev. O se preferite con un lev ottieni in cambio 51 centesimi di euro. «Adottando questo sistema, il lev è divenuto un clone del marco». L’adozione di questo sistema monetario avviene in un momento drammatico per la Bulgaria. «Come ho scritto col collega Todor Tanev», prosegue Hanke, «il 1997 è stato nello stesso tempo il peggiore e il migliore anno nella storia economica bulgara». A febbraio la sua iperinflazione aveva toccato la stratosferica cifra del 242% al mese! «I risultati ottenuti grazie all’adozione del Currency board sono stati immediati e drammatici. Il tasso di inflazione a metà del 1998 era collassato al 13% all’anno. Il lev è tornato ad essere una moneta di cui le persone si fidavano. La domanda di moneta nazionale bulgara è esplosa». «Consideri», sottolinea Hanke, «che le riserve di valuta estera della Banca centrale sono letteralmente schizzate. Erano 864 milioni di dollari a fine 1996 e sono diventate quasi 2,7 miliardi a metà del 1997». In coincidenza appunto con l’adozione del Currency board. Un sistema che Hanke conosce come le sue tasche, avendolo costruito anche per l’Estonia (nel 1992) e la Lituania (nel 1994), prima che queste entrassero nell’euro. Hanke specifica come l’adozione del Currency board abbia portato altri consistenti benefici alla Bulgaria. Non solo di tipo macroeconomico, ma anche geostrategico. «Come mi ha riferito l’ex presidente Peter Stoyanov, “la Bulgaria avrebbe avuto molte più difficoltà a entrare nella Nato nel 2004 e nell’Unione europea nel 2007 senza la fiducia e la stabilità indotte appunto dal Currency board”». Da economista liberista e conservatore quale è, caratteristiche che infatti lo rendono molto scettico se non addirittura critico nei confronti della politica commerciale di Donald Trump, Hanke sostiene con sollievo che il Currency board abbia obbligato i politici bulgari a una sana disciplina fiscale nel controllo delle finanze pubbliche.«Il Currency board della Bulgaria, creato quasi tre decenni fa, nel 1997, ha superato il crollo del rublo russo, la Grande recessione del 2008, la crisi finanziaria greca del 2009, il crollo della Corporate Commercial Bank nel 2014 e la pandemia di Covid del 2020, il tutto garantendo bassa inflazione, stabilità e crescita economica per la Bulgaria. È quindi sorprendente che ci sia una spinta a sostituire il lev bulgaro con l’euro», afferma Hanke. «Anche i bulgari trovano questa proposta sorprendente», prosegue l’economista. «Infatti, i dati dei sondaggi indicano che i bulgari non sono molto entusiasti all’idea di abbandonare il loro amato lev e sostituirlo con l’euro. Chiaramente, questa proposta evidenzia una divergenza tra i desideri dei cittadini bulgari e quelli dell’élite politica. In breve, il governo rappresentativo e il Parlamento della Bulgaria non riescono a rappresentare efficacemente le opinioni dei loro elettori. Questa dinamica mette in discussione la legittimità della democrazia rappresentativa bulgara». La visione di Hanke è molto pragmatica in proposito. «La Bulgaria è già un membro di fatto dell’Eurozona perché il suo Currency board garantisce che il lev sia un clone dell’euro. Di conseguenza, tutto ciò che la Bulgaria otterrebbe adottando l’euro è la rinuncia alla sua sovranità monetaria. Sotto il regime del Currency board bulgaro, la Bulgaria mantiene la sua sovranità monetaria e l’opzione di cambiare la sua valuta di ancoraggio. Se la Bulgaria adottasse l’euro, sarebbe per sempre legata al destino dell’euro». In parole semplici, modificare le regole del Currency board (come la valuta di ancoraggio: euro o dollaro) e/o il relativo tasso di cambio continuerebbe a essere prerogativa decisionale del governo bulgaro; che quindi manterrebbe il controllo della nave. Adottando l’euro, questa prerogativa scomparirebbe. Hanke ritiene che il Currency board consenta di usufruire di tutti i vantaggi ma senza doverne pagare i costi. Anzi lo esplicita in maniera ancora più colorita, come ha scritto peraltro in un suo paper sul tema. «L’entrata formale nella zona euro è un po’ come entrare nell’Hotel California. Come cantano gli Eagles: “Puoi fare il check-out quando vuoi, ma non te ne potrai mai andare”. Ad oggi l’unico Paese che potrebbe entrare e uscire dall’euro a suo piacimento è la Danimarca». Che ha ottenuto una preziosa clausola di opt out. «Qualcosa che la Bulgaria non ha ottenuto e non appare in grado di ottenere», si duole Hanke. «In quest’ottica, il modo migliore per la Bulgaria di risolvere il dibattito lev-versus-euro è quello di seguire la strada della Svizzera: la democrazia diretta tramite referendum», sostiene Hanke. «Si consideri, ad esempio, l’adozione del freno al debito svizzero, un episodio contenuto nel mio libro Public Debt Sustainability: International Perspectives con Barry Poulson e John Merrifield. Gli svizzeri accettarono l’introduzione della regola fiscale con un voto “sì” dell’84,7% e una chiara maggioranza in tutti i loro cantoni, indicando una diffusa popolarità. Anziché lasciare questa decisione epocale sulla sovranità monetaria della Bulgaria nelle mani dell’élite politica bulgara, i seggi devono essere aperti per un voto su un referendum che tenga conto direttamente delle opinioni di ogni bulgaro». Del resto, è proprio grazie a un referendum, bocciato dal popolo danese, in merito all’adozione della moneta unica, che quest’ultima ha ottenuto ciò che alla Bulgaria non verrebbe riconosciuto. La possibilità, appunto, di uscire dall’inferno della moneta unica.
Jose Mourinho (Getty Images)