2025-06-28
«Le fatture false sono diventate i kalashnikov delle mafie moderne»
Nel riquadro il generale Antonio Nicola Quintavalle Cecere, comandante dello Scico (Guardia di Finanza)
Il generale Antonio Nicola Quintavalle Cecere, comandante dello Scico (Gdf): «I clan utilizzano in modo sempre più raffinato le frodi fiscali per inquinare l’economia legale. I sodalizi cinesi hanno creato un sistema bancario clandestino per gestire i soldi sporchi».L’insegnamento forse più noto del giudice Giovanni Falcone, impartito a chi combatteva le cosche, era concentrato in tre parole: «Segui i soldi». E in Italia c’è chi ha trasformato questa semplice lezione nel proprio core business. Stiamo parlando dei Gruppi d’investigazione sulla criminalità organizzata (Gico) della Guardia di finanza, 26 articolazioni specializzate coordinate da un Servizio centrale di investigazione (Scico), comandato dal generale Antonio Nicola Quintavalle Cecere. Il loro principale obiettivo è l’aggressione dei patrimoni illecitamente accumulati dai sodalizi mafiosi, anche mediante la ricostruzione delle dinamiche societarie e l’analisi dei flussi finanziari sospetti. Nel 2024 i Gico hanno proposto sequestri di beni mobili, immobili, aziende, quote societarie e disponibilità finanziarie per un valore di oltre 3 miliardi di euro e hanno eseguito provvedimenti di sequestro e confisca per un valore di circa 2 miliardi di euro.In questa guerra al malaffare le «guardie» si affidano a strumenti tecnologici d’avanguardia capaci di incrociare milioni di dati in poche ore e i «ladri» mettono in atto contromisure altrettanto sofisticate e formano alleanze una volta impensabili. Come ci spiega Quintavalle.Generale, quali sono le novità che emergono dal vostro lavoro di contrasto alla criminalità organizzata?«Le molteplici attività di servizio condotte dai nostri reparti mostrano che oramai, da tempo, la criminalità di stampo mafioso ricorre frequentemente, e in maniera sempre più raffinata, alle frodi fiscali commesse utilizzando fatture false per inquinare l’economia legale. Con questo sistema la criminalità si è infiltrata, anzi radicata, nei più svariati comparti economici, dal commercio di idrocarburi e olii minerali a quello dei metalli, dalla distribuzione commerciale al lavoro interinale, dai servizi correlati al ciclo dei rifiuti al mercato dell’edilizia e al settore turistico senza tralasciare, ovviamente, il settore degli appalti di opere pubbliche. A volte le fatture false possono essere utilizzate anche per corrispondere il prezzo di un’estorsione o il pagamento di interessi usurari. Di fatto costituiscono i kalashnikov delle moderne organizzazioni mafiose».Chi emette questa documentazione fiscale falsa?«Le cosiddette società cartiere, quelle che vendono beni e servizi fittizi. Tali ditte sono dislocate in Italia e all’estero».Questo modo di delinquere crea meno allarme sociale o è una deduzione sbagliata?«Forse, ma deve destare comunque grande preoccupazione. Le operazioni che abbiamo sviluppato con i colleghi di Brescia hanno consentito di individuare un nuovo circuito illegale che vede come protagonisti sodalizi cinesi, organizzazioni mafiose italiane e gruppi criminali albanesi».Nello specifico che cosa avete rilevato?«Abbiamo scoperto che insospettabili sodalizi cinesi offrono alla criminalità italiana e straniera servizi basati su strutturati e sofisticati meccanismi di «underground banking» grazie alle ingenti disponibilità di «cash». Questo canale permette di trasferire soldi all’estero e di riciclare proventi illeciti».Le indagini hanno permesso di monitorare i criminali all’opera?«Mediante servizi di videosorveglianza e intercettazioni ambientali i nostri investigatori hanno notato che presso negozi gestiti da soggetti cinesi venivano portati zaini e bustoni pieni di denaro contante che poi venivano contati con apposite macchine. Il frusciare delle banconote era praticamente la colonna sonora dell’intera giornata «lavorativa»».Il contante da dove proviene?«Lo forniscono altri cittadini cinesi che intendono farlo giungere presso le proprie famiglie nella madrepatria oppure, come nel caso bresciano, da narcotrafficanti albanesi che hanno bisogno di saldare i fornitori esteri. Il sistema di pagamento è denominato fei ch’ien (letteralmente «denaro volante» ndr). Si tratta di un meccanismo che consente il trasferimento del denaro fuori dai confini senza passare dai normali canali bancari. In pratica i soldi depositati presso i broker cinesi non lasciano fisicamente il Paese di partenza: alla controparte/broker che si trova fuori dall’Italia viene trasferito solo il valore nominale della somma consegnata ai cinesi».E il ritiro del «cash» come si perfeziona?«Chi deposita il denaro ottiene una ricevuta, detta chit, che può essere, ad esempio, la foto di una banconota con il numero seriale. Questa viene inviata, spesso via chat su telefoni criptati, al referente estero dell’organizzazione criminale, il quale la presenterà presso la locale agenzia cinese per incassare il contante. Da cui vengono prima decurtate le provvigioni che oscillano tra il 3 e il 6 per cento dell’importo trasferito».Le nostre mafie come utilizzano questo canale di lavaggio del denaro?«Per offrire un vero e proprio «servizio» agli imprenditori disonesti che hanno bisogno di contanti per effettuare pagamenti in nero di manodopera e/o fornitori o per corrompere funzionari pubblici e ottenere in cambio favori».Come entrano materialmente gli imprenditori in questo circuito?«L’indagine di Brescia ha dimostrato che soggetti contigui alla ’ndrangheta hanno creato un sistema di cartiere, intestate a prestanome in vari Paesi esteri. Gli imprenditori disonesti pagavano regolarmente le fatture a queste ditte mediante bonifici bancari, registrando in contabilità i relativi costi. A monte di questo circuito c’era un’impresa cinese che, una volta ricevuto il bonifico, autorizzava un connazionale in Italia a restituire il denaro a un corriere delle nostre organizzazioni mafiose. Queste trattenevano dall’importo una percentuale pari al 4-8 per cento per il servizio reso e consegnavano la somma in contanti all’imprenditore che aveva inviato il primo bonifico. In questo modo tutti ci guadagnano: criminali cinesi, organizzazioni mafiose e imprenditori disonesti».Quanto valgono le frodi fiscali realizzate attraverso il sistema delle fatture false?«In media, durante le nostre attività, abbiamo registrato operazioni fittizie per importi di circa 360/390 milioni di euro. Di fronte a questi numeri si può comprendere quanto sia ingente il danno all’Erario di tutti i Paesi coinvolti e, in termini di concorrenza sleale, agli imprenditori che operano nel rispetto delle regole».La tecnologia favorisce questo tipo di reati?«Decisamente sì. Il vorticoso giro di denaro che ho descritto si avvale sempre più delle cosiddette criptovalute, che garantiscono l’anonimato dell’utente mediante sistemi di crittografia».L’alleanza tra criminalità nostrana, cinese e albanese che incidenza ha sull’economia sommersa, in particolare nel Sud Italia? Circolano più soldi?«Ecco un’ulteriore nota dolente. Le organizzazioni criminali straniere, a differenza di quelle autoctone, non reinvestono i proventi illeciti in Italia, se non in minima parte, ma preferiscono reimpiegarli in patria: si tratta, in pratica, di mafie «parassitarie»».Da anni, almeno a livello mediatico, l’attenzione sulla criminalità albanese sembra essere scemata?«Ed è un errore, soprattutto alla luce del consolidamento del suo ruolo quale player internazionale nel settore del narcotraffico. I criminali originari del Paese delle aquile si spostano continuamente in Europa e in Sudamerica, dove hanno stretto forti legami con i maggiori produttori di cocaina. Hanno ampia disponibilità di armi e un’organizzazione piramidale con una forte impronta famigliare e territoriale e una rigida disciplina interna. Possono contare su cellule operative in Sud America, Italia, Paesi Bassi, Belgio, Spagna, Turchia e Regno Unito. Una capillare presenza sul territorio che consente a questi criminali di presentarsi come interlocutori estremamente affidabili per le locali organizzazioni mafiose. Soprattutto perché sono ormai in grado di curare ogni fase della catena di approvvigionamento e distribuzione della cocaina: dall’acquisto delle partite nei luoghi di produzione, al prelievo dello stupefacente nei porti olandesi, belgi e italiani, dal trasporto ai magazzini di stoccaggio, alla successiva fase di spaccio sul territorio. Sovraintendono l’intera filiera, dal produttore al consumatore».Ma le forze di polizia non fanno sconti ai trafficanti di droga. L’attività di contrasto è capillare. Come fanno i narcos a sfuggire ai controlli e a importare la droga?«Il recupero della sostanza stupefacente rappresenta un passaggio molto delicato. I componenti della squadra di recupero, quando sanno dell’arrivo di un carico, si trasferiscono nei pressi dell’area portuale interessata. Una volta individuata la posizione del container nel porto, lo stupefacente viene recuperato mediante la cosiddetta tecnica del rip-off».In che cosa consiste?«In questo caso la droga è occultata all’interno di borsoni posti a ridosso del portellone di accesso al container. All’interno dei borsoni vengono inseriti anche dei sigilli contraffatti che gli «esfiltratori» utilizzano per richiudere le porte del container così da non alimentare sospetti nel momento dei controlli doganali».Ci sono altri sistemi di recupero? «Ci sono anche le cosiddette «prese a mare». In tali casi i gruppi criminali si avvalgono di squadre specializzate di sommozzatori in grado di individuare le sostanze occultate sotto la chiglia delle motonavi e di estrarle dagli appositi vani, per poi allontanarsi a bordo di gommoni. Ma non è finita…».Dica…«Le organizzazioni criminali ricorrono anche alla tecnica del drop-off, detta anche «lancio a mare», consistente nello scarico dello stupefacente in acque internazionali. I panetti sigillati vengono chiusi in reti con galleggianti e dispositivi di localizzazione per il successivo recupero da parte di altre imbarcazioni, spesso motopescherecci, che raggiungono le coste nazionali».Qual è il crocevia di questo tipo di traffici?«Tra gli scali maggiormente interessati vi è sicuramente il porto di Gioia Tauro. Su un totale di 8.000 chilogrammi di cocaina sequestrati dai reparti della Guardia di finanza nel 2024, circa 3.700 Kg sono stati rinvenuti nella Piana. Insomma la Calabria, nonostante la crescente transnazionalità delle attività illecite, resta uno snodo fondamentale. Gestito «in house» dalla ’ndrangheta. Con buona pace dei criminali albanesi e cinesi».
Little Tony con la figlia in una foto d'archivio (Getty Images). Nel riquadro, Cristiana Ciacci in una immagine recente
«Las Muertas» (Netflix)
Disponibile dal 10 settembre, Las Muertas ricostruisce in sei episodi la vicenda delle Las Poquianchis, quattro donne che tra il 1945 e il 1964 gestirono un bordello di coercizione e morte, trasformato dalla serie in una narrazione romanzata.