2018-06-05
In troppi scrivono ignorando i fatti
Un libro di Mario Nanni, ex capo della redazione politica dell'Ansa, invita a documentarsi per non restare in superficie. Utile a chi, come Roberto Saviano, parla senza avere certezze.Diffido di quelli che parlano a vanvera. Perciò di Roberto Saviano, quando scrive in Gomorra a proposito delle sue denunce: «Io so e ho le prove… le prove sono inconfutabili perché parziali». Inconfutabili perché parziali? Una sciocca contraddizione in base alla quale Saviano, senza alcuna certezza, da lustri sparge la sua morale. Un altro siffatto era il compianto Antonio Tabucchi, l'autore di Sostiene Pereira. Anche lui accanito moralista, sosteneva che l'intellettuale deve prendere comunque posizione. Pure se ignora i fatti. Altrimenti, aggiungeva con foga rabbiosa: «Gli sarebbe premesso di parlare solo di ciò che conosce». Appunto. Pensavo che i due fossero un segno dei tempi, di questo scombiccherato inizio millennio. Apprendo adesso che hanno un illustre predecessore di 50 anni fa, il marxisteggiante Pier Paolo Pasolini, il quale diceva, riferendosi ai Dc: «Io so tutti i nomi e i fatti di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno gli indizi». Questa affermazione, perfino divertente per l'improntitudine, è nel Corriere della Sera del 14 novembre 1974, un anno prima che lo scrittore friulano fosse assassinato. Sapevo di quell'articolo e avrei dovuto da solo mettere in relazione i tre. Non è stato così. La fiammella si è accesa unicamente scorrendo Il curioso giornalista di Mario Nanni. Un libro (Media&Books), che è una miniera di fatti e misfatti del giornalismo, vissuti dall'interno del mestiere che l'autore svolge da 40 anni. Nanni, ex capo della redazione politica dell'Ansa, ha compilato una crestomazia, maliziosa ma bonaria, che mescola i segreti della scrittura, gli aneddoti sui giornalisti più noti - da Indro Montanelli a Giampaolo Pansa -, gaffe, refusi, eroismi e scemenze. A lungo commissario dell'esame d'idoneità degli aspiranti cronisti, l'autore prende le mosse dai loro errori per dare consigli sui modi di evitarli. Come studiare, non restare alla superficie, documentarsi per sfatare la nomea di superficialità. Di lì, a cascata, ci racconta - in un modo tutto suo, andando avanti e indietro, in uno scanzonato boogie woogie - la vita delle redazioni, debolezze e vanità, trucchi e conflitti morali. Quando scoppia il putiferio per un articolo, rivelare o no il nome della fonte? Se tu, cronista, sveli la gola profonda, ne va di mezzo il tuo onore. Se però non lo fai, è la credibilità del tuo giornale a farne le spese. Allora? Nanni racconta casi concreti e le loro code di drammi e bronci. L'intervistatore non è responsabile del titolo dell'intervista. Ma è a lui che l'intervistato toglie il saluto se l'intitolazione non piace. Come dipanare queste matasse? Soprattutto, come evitare nei titoli i qui pro quo che si annidano nella loro brevità? L'autore cita alcuni casi autentici. Approvata legge su violenza sessuale: Deputata x, finalmente soddisfatta. Sciopero della sete, l'appello di un deputato di An al capo radicale di sospenderlo: Bocchino a Pannella: e ora bevi. Tra i consigli specifici ai candidati, uno è di grossa attualità: non esagerare nei curricula con titoli e meriti. La commissione potrebbe saggiare il tuo «perfetto inglese» e sbugiardarti all'istante. Più saggio allora scrivere, scolastico, passabile, eccetera. Se vuoi fare la giornalista, inutile - o peggio - mettere nel cv che sei showgirl. Meglio approfondire i testi consigliati che una laurea in Scienze delle comunicazioni. Nanni non nasconde la delusione per questi corsi universitari. Dalla loro introduzione, una trentina di anni fa, la qualità degli aspiranti è scesa. Abissale ignoranza storica, giuridica e politica. Neppure la lettura dei giornali è scontata negli esaminandi. Tanti ignorano tutto della testata cui collaborano. Come e quando nasce, che significa il nome, chi sia il personaggio al quale è intestata la strada in cui ha sede. La colpa, dice Nanni, è l'assenza di curiosità, per lui peccato capitale di chi punta a fare il mestiere. A nulla sono servite le accademie in comunicazione. Tanto che l'autore ne suggerisce l'abolizione nella forma gentile della moratoria decennale. Un eco della proposta di Pasolini, mezzo secolo fa, di chiudere per 10 anni la tv per contrastare il conformismo dilagante. Ho scritto apposta eco al maschile per segnalare un neo del nostro autore: la pignoleria linguistica. Laureato in filosofia, Nanni è un anatomopatologo della parola. Per lui, tanto per dire, eco è sostantivo femminile ed errato l'uso al maschile. In realtà, è solo meno usato. Qua e là, si trovano di queste fisime. Ho anche notato che gli costa citare Il Giornale, Libero, La Verità, preferendo indicarli spicciativamente con l'ellissi, giornali di destra. Un pizzico di inclinazione politica nella generale serenità del testo. Il libro, adattissimo per i giornalisti, è anche più utile ai lettori di giornali, gli uni e gli altri nella stessa barca tra i marosi di Internet. Per loro è pensato il più originale dei capitoli, quello in cui sono illustrate le espressioni tipiche del gergo: autunno caldo, arco costituzionale, convergenze parallele, facite ammuina, eccetera, per un totale di 120 voci. Un ripasso della nostra storia, dal tempo delle telescriventi a quelli delle email, e un'originale enciclopedia a portata d'occhi. Un bravo all'autore.