2025-05-27
        Imparava a costruire armi pro jihad. Arrestato giovane italiano a Perugia
    
 
Il ventiquattrenne si stava radicalizzando attraverso siti Web usati dagli islamisti per reclutare. E a Bolzano bande di stranieri si scontrano con il machete: sono tutti marocchini tutelati dalla protezione internazionale.Terrorismo fai da te e machete in piazza hanno seminato terrore a Perugia e a Bolzano. Due città, due facce della minaccia. Diversa nelle matrici ideologiche, identica nel senso di insicurezza prodotto.A Perugia un ventiquattrenne italiano, incensurato, autodidatta dell’odio, ieri è finito in carcere per autoaddestramento con finalità di terrorismo. Non aveva mai avuto guai con la giustizia. Ma nel silenzio della sua stanza a Castiglione del Lago, stando alle indagini, ha collezionato migliaia di file su come fabbricare armi, ordigni artigianali e polvere pirica. E, soprattutto, avrebbe coltivato l’ossessione per suprematismo e jihad islamica. Secondo gli investigatori della Digos, che lo hanno individuato tramite un indirizzo Ip (un numero identificativo assegnato dalla Rete a ogni dispositivo connesso) segnalato dall’Fbi, il ragazzo si sarebbe addestrato navigando tra i siti Web più oscuri, quelli utilizzati per reclutare, indottrinare, diffondere il verbo. A volte anche a uccidere.Da mesi raccoglieva video di decapitazioni, trattati sul fondamentalismo islamico e testi in pdf sull’arte del sabotaggio. Aveva simulato azioni, lasciato tracce della sua trasformazione interiore. Quando gli investigatori perugini, coordinati dalla Direzione centrale di prevenzione e dalla Direzione distrettuale antiterrorismo, hanno perquisito la sua abitazione (nel settembre scorso), hanno trovato dispositivi elettronici carichi di manuali per attentatori, istruzioni per confezionare bombe, prove di esperimenti con artifizi modificati per aumentarne la potenza. Non solo. Il giovane aveva esaltato sui social l’aggressione alla sede della Cgil durante la pandemia. E, nonostante non avesse contatti diretti con altri soggetti sul territorio, aveva costruito la sua rete nel mondo virtuale. Per la Procura guidata da Raffaele Cantone il caso è emblematico: «Non c’è bisogno di un gruppo per fare terrorismo», spiegano fonti investigative, «oggi bastano una connessione Internet, un computer e odio senza argini».Ma mentre a Perugia si smantellava un laboratorio solitario della radicalizzazione, a Bolzano bande di stranieri ospiti nei centri di accoglienza hanno trasformato il centro storico in un’arena notturna con bottiglie rotte e spray urticante. Ed è spuntato perfino un machete. Otto coinvolti, due arrestati, sei denunciati. Tutti cittadini stranieri, molti vivevano nei centri di emergenza freddo (uno dei quali conta più di 200 posti). Erano tutti con precedenti e tutti titolari di protezione internazionale. I video, a poco più di un mese dall’altra maxi rissa lungo la ciclabile di Ponte Resia (in quel caso cinque uomini, tutti stranieri con status di protezione internazionale e ospiti dei centri emergenza freddo si affrontarono con violenza inaudita), hanno fatto il giro dei social: botte, inseguimenti e il machete in primo piano.Due gli episodi. Il primo tra venerdì e sabato, intorno alle 2.30, in piazza Domenicani, il cuore della città. A scatenare le violenze, secondo fonti della questura, sono stati futili motivi, aggravati da alcol e droghe. Ma l’effetto è stato devastante: città blindata, agenti aggrediti, cittadini terrorizzati. Due fratelli marocchini, R.H. e R.M., già noti per furto, tentata rapina e resistenza, hanno preso a calci e pugni i poliziotti. In uno dei casi un agente ha rimediato una testata in pieno volto. Erano stati arrestati, sempre a Bolzano, l’inverno scorso. Eppure i due erano ancora in Italia, protetti da uno status giuridico che impedisce l’espulsione.Il secondo episodio è della notte successiva (tra sabato e domenica, sempre verso le 2.30). Questa volta la scena si sposta in via Museo, ancora una volta in pieno centro. E qui, oltre alle bottiglie rotte, c’è il machete. Un video riprende un giovane col cappellino che corre brandendolo. Si sente il rumore di bottiglie che si infrangono. Urla. Gli agenti delle Volanti hanno cinturato l’area della rissa. I sei contendenti sono stati identificati e denunciati per rissa aggravata. Anche in questo caso si tratta di marocchini, tutti titolari di protezione internazionale. Il questore Paolo Sartori ha chiesto alla Commissione per i rifugiati la revoca immediata della protezione per tutti e otto i coinvolti, per poter emettere nei loro confronti i decreti di espulsione dal territorio nazionale.Il suo intervento è molto duro: «Ancora due gravi episodi di violenza commessi da pluripregiudicati ospiti dei Centri emergenza freddo (solo una settimana fa è stato arrestato un altro ospite, un gambiano beccato a spacciare pasticche di ecstasy denominate blu punisher, ndr) e accolti indiscriminatamente senza alcun tipo di controllo, che, approfittando dello status di protezione internazionale, hanno ripetutamente dimostrato di non volersi integrare nel nostro Paese, violandone le leggi e le più elementari norme di convivenza civile». «Ora espulsione per questi delinquenti», ha tuonato Matteo Salvini sui social.
        Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
    
        Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
    
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico. 
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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