True
2018-10-02
Il vero terrorista è proprio Juncker: «L’Italia? Non voglio un’altra Grecia»
ANSA
L'offesa più grave è arrivata a fine giornata dall'uomo della sciatica, Jean Claude Juncker, con un incredibile paragone tra Italia e Grecia: «L'Italia si sta allontanando dagli obiettivi concordati, abbiamo appena risolto la crisi della Grecia, non voglio ritrovarmi nella stessa situazione. Se l'Italia vuole un trattamento speciale, sarebbe la fine dell'euro. Per questo dobbiamo essere molto rigidi», riporta la Reuters.
Ma per tutto il giorno non sono mancati altri colpi, nell'arena dell'Eurogruppo, tra l'«esaminato» Giovanni Tria che è giustamente tornato a casa in serata, non partecipando dunque all'Ecofin in programma oggi, per chiudere la Nota di aggiornamento al Def che stamattina sarà inviata alle Camere, e gli «esaminatori» che a freddo, prim'ancora di vedere la manovra (che dev'essere presentata entro il 15 ottobre), si sono lanciati in dichiarazioni ostili e perfino minacciose contro l'Italia. A rendere tutto ancora più psichedelico, il fatto che i più scatenati verso l'Italia siano quelli che hanno meno le carte in regola a casa loro, cioè i francesi.
Tria ha provato a gettare acqua sul fuoco: «Cercherò di spiegare come sarà formulata la manovra». Il ministro dell'Economia ha voluto rassicurare i partner Ue («stiano tranquilli»), aggiungendo che «il rapporto debito/Pil scenderà nel 2019». Ciononostante, i presunti pompieri dell'Ue si sono messi a fare i piromani, con tre dichiarazioni l'una più velenosa dell'altra. La prima è stata quella del vicepresidente della Commissione, il lettone Valdis Dombrovskis, arcigno portaparola delle posizioni francotedesche: «Aspettiamo la legge di stabilità, ma a prima vista i piani di bilancio italiani non sembrano compatibili con le regole del Patto». Quindi, la manovra ancora non c'è, ma il numero due della Commissione non si fa scrupolo, senza aver letto nulla, di dare un giudizio così severo.
Dichiarazione fotocopia da parte di Pierre Moscovici, francese, titolare di uno dei portafogli economici a Bruxelles: «La Commissione Ue aspetterà il 15 ottobre per pronunciarsi, ma a prima vista c'è una deviazione significativa dagli impegni da parte di Roma». E ancora, sempre parlando al buio e senza un testo: «La manovra privilegia la spesa pubblica, ai cittadini bisogna dire la verità». La terza dichiarazione è quella del ministro francese dell'Economia, Bruno Le Maire: «Le regole sono uguali per tutti perché il nostro destino è legato. C'è un legame nel futuro di Italia, Francia, Germania e Spagna: tutti i membri della zona euro sono legati».
Destino e legame curioso, però, quello evocato da Le Maire: siamo tutti uguali, però la Francia (più uguale degli altri?) può permettersi di presentare una manovra con il deficit al 2,8, mentre l'Italia viene preventivamente bacchettata se sta quattro decimali sotto.
Inutile girarci intorno. Dietro la lingua di legno e l'ipocrisia su patti e impegni, siamo nel campo di valutazioni politiche: e l'asse francotedesco non ha perso tempo a mostrare ostilità verso Roma.
Il primo ad accorgersene, con intelligente sarcasmo, è stato il corrispondente europeo del Wall Street Journal, Bojan Pancevski, che ha ironizzato sul «fantastico warning» contro l'Italia da parte di un Paese, la Francia, che «ha aggirato quelle stesse regole per un decennio».
Tuttavia, non è facile prevedere il comportamento di una Commissione Ue al capolinea, in vista delle elezioni europee di maggio. In questa situazione, qualcuno ritiene che commissari così politicamente indeboliti non se la sentiranno di fare scherzi all'Italia; altri però fanno osservare che proprio questa condizione di uscenti li renderà privi di scrupoli nel tentare di sgambettare il governo gialloblù.
Dura la reazione di Luigi Di Maio: «Stamattina a qualcuno non andava bene che lo spread non si fosse impennato… Moscovici, che non è italiano, si è svegliato e ha pensato bene di fare una dichiarazione contro l'Italia e creare tensione sui mercati». Mentre, sempre ieri, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha convocato al Colle il premier Giuseppe Conte per un colloquio informale ieri mattina.
Quanto ai contenuti della manovra, vanno sottolineati due temi. Uno di carattere generale, ripetutamente sottolineato in questi giorni dalla Verità: una volta compiuto l'atto coraggioso di forzare sul rapporto deficit/Pil, ora la vera partita politica starà nel dosaggio delle risorse. Quante saranno destinate al taglio di tasse? Riuscirà la componente leghista a evitare che la quota destinata ai sussidi sia eccessiva? Riuscirà a far sì che sotto i «titoli» delle misure fiscali lo «svolgimento» sia già consistente nel primo anno? È lì il cuore del problema: anche per mercati e investitori, che attendono di capire se la manovra sarà in grado di incoraggiare domanda interna, consumi, crescita.
C'è anche un tema più specifico, che da un'intervista domenicale di Tria è oggetto di dubbi, non esistendo certezze né un testo. Tria ha parlato di nuove clausole, non sul lato delle tasse ma su quello della spesa. La cosa si presta a due diverse interpretazioni. Si può pensare (e sarebbe ottimo: i lettori ricorderanno che si tratta di una proposta lanciata sulla Verità) a un'inversione della logica delle clausole: insomma, se gli obiettivi non vengono raggiunti, anziché scattare aumenti di tasse automatici, in futuro dovrebbero scattare tagli di spesa automatici. Ma si può anche temere (interpretazione meno incoraggiante) un ritorno dei tagli lineari: cosa assai diversa dall'auspicabile esame dettagliato e differenziato delle singole voci di spesa, a partire dalla montagna di 175 miliardi di tax expenditures. Ne capiremo presto di più.
Da ultimo, una curiosità. Alla riunione di oggi dell'Ecofin, al posto di Tria, dovrebbe partecipare il direttore generale del ministero, Alessandro Rivera. Insomma, un alto dirigente: categoria soavemente definita da Rocco Casalino i «pezzi di m…» del Mef.
Il disavanzo in sé non viola la Carta, ma la stretta di Monti ci frega
Continua a leggereRiduci
Giovanni Tria all'Eurogruppo rassicura: «Il rapporto debito/Pil calerà». I commissari Ue minacciano: «Occhio, voi non rispettare i patti». E il capo della Commissione spara: «Con Roma saremo molto rigidi, o salta l'euro».Il vero scoglio con l'Ue è aver inserito nella Carta il pareggio di bilancio.Toccato per la prima volta il tasso del 59% di assunti. Crollano i contratti ai giovani.Lo speciale contiene tre articoli.L'offesa più grave è arrivata a fine giornata dall'uomo della sciatica, Jean Claude Juncker, con un incredibile paragone tra Italia e Grecia: «L'Italia si sta allontanando dagli obiettivi concordati, abbiamo appena risolto la crisi della Grecia, non voglio ritrovarmi nella stessa situazione. Se l'Italia vuole un trattamento speciale, sarebbe la fine dell'euro. Per questo dobbiamo essere molto rigidi», riporta la Reuters.Ma per tutto il giorno non sono mancati altri colpi, nell'arena dell'Eurogruppo, tra l'«esaminato» Giovanni Tria che è giustamente tornato a casa in serata, non partecipando dunque all'Ecofin in programma oggi, per chiudere la Nota di aggiornamento al Def che stamattina sarà inviata alle Camere, e gli «esaminatori» che a freddo, prim'ancora di vedere la manovra (che dev'essere presentata entro il 15 ottobre), si sono lanciati in dichiarazioni ostili e perfino minacciose contro l'Italia. A rendere tutto ancora più psichedelico, il fatto che i più scatenati verso l'Italia siano quelli che hanno meno le carte in regola a casa loro, cioè i francesi.Tria ha provato a gettare acqua sul fuoco: «Cercherò di spiegare come sarà formulata la manovra». Il ministro dell'Economia ha voluto rassicurare i partner Ue («stiano tranquilli»), aggiungendo che «il rapporto debito/Pil scenderà nel 2019». Ciononostante, i presunti pompieri dell'Ue si sono messi a fare i piromani, con tre dichiarazioni l'una più velenosa dell'altra. La prima è stata quella del vicepresidente della Commissione, il lettone Valdis Dombrovskis, arcigno portaparola delle posizioni francotedesche: «Aspettiamo la legge di stabilità, ma a prima vista i piani di bilancio italiani non sembrano compatibili con le regole del Patto». Quindi, la manovra ancora non c'è, ma il numero due della Commissione non si fa scrupolo, senza aver letto nulla, di dare un giudizio così severo.Dichiarazione fotocopia da parte di Pierre Moscovici, francese, titolare di uno dei portafogli economici a Bruxelles: «La Commissione Ue aspetterà il 15 ottobre per pronunciarsi, ma a prima vista c'è una deviazione significativa dagli impegni da parte di Roma». E ancora, sempre parlando al buio e senza un testo: «La manovra privilegia la spesa pubblica, ai cittadini bisogna dire la verità». La terza dichiarazione è quella del ministro francese dell'Economia, Bruno Le Maire: «Le regole sono uguali per tutti perché il nostro destino è legato. C'è un legame nel futuro di Italia, Francia, Germania e Spagna: tutti i membri della zona euro sono legati».Destino e legame curioso, però, quello evocato da Le Maire: siamo tutti uguali, però la Francia (più uguale degli altri?) può permettersi di presentare una manovra con il deficit al 2,8, mentre l'Italia viene preventivamente bacchettata se sta quattro decimali sotto.Inutile girarci intorno. Dietro la lingua di legno e l'ipocrisia su patti e impegni, siamo nel campo di valutazioni politiche: e l'asse francotedesco non ha perso tempo a mostrare ostilità verso Roma. Il primo ad accorgersene, con intelligente sarcasmo, è stato il corrispondente europeo del Wall Street Journal, Bojan Pancevski, che ha ironizzato sul «fantastico warning» contro l'Italia da parte di un Paese, la Francia, che «ha aggirato quelle stesse regole per un decennio».Tuttavia, non è facile prevedere il comportamento di una Commissione Ue al capolinea, in vista delle elezioni europee di maggio. In questa situazione, qualcuno ritiene che commissari così politicamente indeboliti non se la sentiranno di fare scherzi all'Italia; altri però fanno osservare che proprio questa condizione di uscenti li renderà privi di scrupoli nel tentare di sgambettare il governo gialloblù.Dura la reazione di Luigi Di Maio: «Stamattina a qualcuno non andava bene che lo spread non si fosse impennato… Moscovici, che non è italiano, si è svegliato e ha pensato bene di fare una dichiarazione contro l'Italia e creare tensione sui mercati». Mentre, sempre ieri, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha convocato al Colle il premier Giuseppe Conte per un colloquio informale ieri mattina.Quanto ai contenuti della manovra, vanno sottolineati due temi. Uno di carattere generale, ripetutamente sottolineato in questi giorni dalla Verità: una volta compiuto l'atto coraggioso di forzare sul rapporto deficit/Pil, ora la vera partita politica starà nel dosaggio delle risorse. Quante saranno destinate al taglio di tasse? Riuscirà la componente leghista a evitare che la quota destinata ai sussidi sia eccessiva? Riuscirà a far sì che sotto i «titoli» delle misure fiscali lo «svolgimento» sia già consistente nel primo anno? È lì il cuore del problema: anche per mercati e investitori, che attendono di capire se la manovra sarà in grado di incoraggiare domanda interna, consumi, crescita.C'è anche un tema più specifico, che da un'intervista domenicale di Tria è oggetto di dubbi, non esistendo certezze né un testo. Tria ha parlato di nuove clausole, non sul lato delle tasse ma su quello della spesa. La cosa si presta a due diverse interpretazioni. Si può pensare (e sarebbe ottimo: i lettori ricorderanno che si tratta di una proposta lanciata sulla Verità) a un'inversione della logica delle clausole: insomma, se gli obiettivi non vengono raggiunti, anziché scattare aumenti di tasse automatici, in futuro dovrebbero scattare tagli di spesa automatici. Ma si può anche temere (interpretazione meno incoraggiante) un ritorno dei tagli lineari: cosa assai diversa dall'auspicabile esame dettagliato e differenziato delle singole voci di spesa, a partire dalla montagna di 175 miliardi di tax expenditures. Ne capiremo presto di più.Da ultimo, una curiosità. Alla riunione di oggi dell'Ecofin, al posto di Tria, dovrebbe partecipare il direttore generale del ministero, Alessandro Rivera. Insomma, un alto dirigente: categoria soavemente definita da Rocco Casalino i «pezzi di m…» del Mef.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-vero-terrorista-e-proprio-juncker-litalia-non-voglio-unaltra-grecia-2609342731.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-disavanzo-in-se-non-viola-la-carta-ma-la-stretta-di-monti-ci-frega" data-post-id="2609342731" data-published-at="1765395333" data-use-pagination="False"> Il disavanzo in sé non viola la Carta, ma la stretta di Monti ci frega La battaglia per convincere i partner europei della bontà della manovra sarà dura, ma il governo rischia di subire uno sgambetto preventivo ancora più clamoroso della bocciatura di Bruxelles. Venerdì scorso il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha infatti ricordato che tenere i conti pubblici in ordine è una «condizione indispensabile di sicurezza sociale, soprattutto per i giovani e per il loro futuro. La Costituzione», ha sottolineato Mattarella durante un Convegno sui 70 anni della Carta, «all'articolo 97 dispone che occorre assicurare l'equilibrio di bilancio e la sostenibilità del debito pubblico. Questo per tutelare i risparmi dei nostri concittadini, le risorse per le famiglie e per le imprese, per difendere le pensioni, per rendere possibili interventi sociali concreti ed efficaci». Un avvertimento talmente puntuale che non può essere preso sotto gamba. Non bisogna dimenticare, infatti, che la figura del presidente della Repubblica funge da garante della Costituzione, e il precedente rappresentato dal rifiuto di nominare Paolo Savona al Mef ha dato prova che l'inquilino del Colle sa mostrare i muscoli quando lo ritiene necessario. Tuttavia, in sé il ricorso al deficit non può essere considerato una misura contraria alla Costituzione: è anzi la norma per la stragrande maggioranza di tutti gli Stati, Italia compresa. Ciò che ha cambiato il quadro è stata la decisione di inserire il pareggio di bilancio all'interno della nostra Costituzione. Il che, dal 2012, rappresenta un inevitabile capestro per qualsiasi governo, presente e futuro, che manifesti velleità di intervento sui conti pubblici. La scelta fu presa nel 2011, quando a settembre il governo presieduto da Silvio Berlusconi varò un disegno di legge costituzionale volto a introdurre questo principio. Appena due giorni dopo l'approvazione del testo da parte della Commissione Bilancio, il 12 novembre, Berlusconi rassegnò le dimissioni. Sull'onda della crisi dello spread, che aveva sfondato proprio in quei giorni quota 500, il Parlamento decise di dare un segnale forte all'Ue accelerando l'approvazione della norma. Nel giro di cinque mesi il pareggio entrò in Costituzione. La sterzata verso il rigore totale anticipò di fatto quanto avrebbe disciplinato il famigerato «fiscal compact», approvato dal Parlamento italiano solo l'estate dell'anno successivo, e che all'articolo 3c prevede l'obbligo del perseguimento del pareggio di bilancio. Fino ad allora, l'unico vago riferimento in merito era contenuto all'articolo 104c del Trattato di Maastricht che stabiliva che «gli Stati membri devono evitare disavanzi pubblici eccessivi». E in effetti, chi avrà la pazienza di rileggersi gli interventi del dibattito in Aula, ma soprattutto il dossier dell'Ufficio studi della Camera elaborato nel novembre 2011, si renderà senz'altro conto che tale decisione fu presa in un momento di panico sotto la forma di un vero e proprio «atto di fede». «Le disposizioni vigenti dei Trattati in materia di Unione economica e monetaria e il Protocollo sui disavanzi eccessivi», si legge nella relazione fornita ai parlamentari, «non stabiliscono espressamente l'obbligo di introdurre negli ordinamenti nazionali regole, costituzionali o legislative, volte ad assicurare il rispetto dei valori di riferimento relativi al disavanzo e al debito fissati a livello europeo». Più avanti, l'Ufficio studi fa riferimento alla direttiva sui quadri nazionali di bilancio, il cui termine per il recepimento veniva fissato al 31 dicembre 2013, e il «Patto euro plus», in alcun modo non vincolante. Il rapporto fa invece menzione del vertice di Capi di stato e di governo del 26 ottobre 2011, che ha «elogiato l'obiettivo dell'Italia di introdurre nella Costituzione una norma in materia di pareggio di bilancio entro la metà del 2012». Un intento, si legge poco più sotto, «indicato in una lettera trasmessa, secondo fonti informali, prima del medesimo vertice, dal Presidente del Consiglio (Silvio Berlusconi, ndr) ai Presidenti del Consiglio europeo e della Commissione europea». È questa la genesi, eterodiretta dalle istituzioni europee, della trappola che potrebbe portare il governo gialloblù allo scontro finale con l'Unione europea. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-vero-terrorista-e-proprio-juncker-litalia-non-voglio-unaltra-grecia-2609342731.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="occupazione-mai-cosi-alta-dal-2012-ma-esplodono-i-lavori-a-termine" data-post-id="2609342731" data-published-at="1765395333" data-use-pagination="False"> Occupazione mai così alta dal 2012, ma esplodono i lavori a termine I dati diffusi ieri dall'Istat sulla disoccupazione in Italia sono come spesso accade a due facce. La notizia positiva è che l'occupazione ha raggiunto per la prima volta un tasso del 59%, il più alto da quando esistono le serie storiche Istat. Quella negativa è che il trend è ormai segnato: in un anno (agosto 2017-agosto 2018) sono diminuiti di 49.000 unità gli occupati permanenti (-0,3%) e sono aumentati di 351.000 (+12,6%) quelli a termine. Se non altro, però, nel mese di agosto sono cresciuti tutti i tipi di posizioni: gli occupati dipendenti (+95.000), sia permanenti (+50.000) sia a termine (+45.000). Valori incoraggianti che però non includono ancora gli effetti concreti del decreto Dignità. Al netto, dunque, di chi ha anche perso il lavoro, dopo il calo di giugno e luglio è tornato a crescere il numero di occupati ad agosto (+69.000), mentre sui 12 mesi la crescita è stata di 312.000 occupati. Al contrario, i disoccupati sono diminuiti sul mese di 119.000 unità a 2,52 milioni mentre sono calati di 438.000 unità rispetto ad agosto 2017. A preoccupare però è la disoccupazione giovanile: ad agosto si è attestata al 31% (+0,2%). I dati mostrano come l'occupazione giovanile sia sostanzialmente ferma (+0,2%) mentre è cresciuta molto (+2,8%) quella degli over 50, a conferma di una tendenza ormai assodata. «In questo contesto», spiega una nota di Confcommercio, «tuttavia, non vanno trascurati gli elementi di squilibrio che permangono all'interno del mercato del lavoro: gli ultra cinquantenni sono il segmento che più beneficia dei miglioramenti occupazionali (ad oggi rappresentano circa il 34% dell'occupazione, quota che si attestava di poco al di sopra del 29% ad inizio 2014), e la continua erosione sul versante dell'occupazione indipendente. Va anche aggiunto che i dati vanno valutati con molta cautela, in quanto il rallentamento dell'economia in atto da alcuni mesi potrebbe non essersi ancora trasferito al mercato del lavoro». L'incidenza dei disoccupati sulla popolazione della classe di età 15-24 anni ad agosto è risultata pari al 7,8% ed è stabile rispetto a luglio mentre il tasso d'occupazione dei 15-24enni è sceso dello 0,2%. Più fortunati i professionisti tra i 35 ei 49 anni di età con una crescita dello 0,4%. Inoltre, le persone inattive si sono mostrate in crescita in tutte le classi d'età. In totale si tratta di 46.000 persone in più che non cercano lavoro e non ce l'hanno. L'aumento è distribuito tra uomini (+26.000) e, per quasi il doppio, donne (+43.000) mentre sui 12 mesi la performance tra i due sessi è più simile con +171.000 uomini e +141.000 donne. Come spiega su Twitter Francesco Seghezzi, direttore della fondazione Adapt che studia il mondo del lavoro, «la ripresa degli occupati è positiva, così come è positivo il calo dei disoccupati. Si confermano, però, anche le criticità», sottolinea. «Molto negativo il dato anagrafico che punisce i giovani, forte crescita lavoro a termine, con politiche attive assenti», evidenzia l'esperto. Per quanto riguarda il decreto dignità, aggiunge Seghezzi su Twitter, gli effetti si dovrebbe vedere da novembre o da dicembre di quest'anno. Proprio su questo tema ha commentato Confesercenti: «Sul boom degli occupati a tempo determinato potrebbe incidere in misura significativa anche la corsa al rinnovo e alla proroga dei contratti a termine prima dell'arrivo del decreto dignità, pubblicato a luglio con la previsione di un periodo di transizione fino al 31 ottobre per i contratti già in essere al momento dell'approvazione del decreto». Ancora una volta, dunque, i dati diffusi dall'Istat fanno storcere il naso. Come al solito l'ottimismo di alcuni dati come il tasso di disoccupazione ai minimi e quello di occupazione ai massimi non possono far scordare che il nostro mercato del lavoro sta andando verso una tendenza per cui si offrono sempre meno garanzie ai lavoratori e i giovani sono sempre la categoria con meno prospettive. Infine, come se non bastasse, gli ultra cinquantenni devono lavorare sempre più per riuscire a sbarcare il lunario.
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
Continua a leggereRiduci
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
Continua a leggereRiduci
Ecco #DimmiLaVerità del 10 dicembre 2025. Con il nostro Alessandro Rico analizziamo gli ostacoli che molti leader europei mettono sulla strada della pace in Ucraina.