2020-04-22
Il vero «piano segreto» è fare scaricabarile
Andrea Urbani, super dirigente del ministero della Salute, parla al Corriere di un fantomatico programma tenuto celato «per non creare il panico». E continua a dare la colpa di ogni problema alle Regioni: «Il governo ha evitato il peggio grazie alle chiusure graduali».Alzi la mano chi non ha mai pensato, almeno per un istante, che nella gestione dell'emergenza coronavirus il governo stesse brancolando nel buio. Conferenze stampa convocate all'ultimo minuto, lockdown ritoccati più volte, e poi il caos sulle mascherine, sui ventilatori e sulle terapie intensive. Senza contare il pasticcio nella comunicazione della fase 2, che ancora oggi a Palazzo Chigi vede contrapposti, da un lato, i falchi che insistono per la chiusura totale a oltranza e, dall'altro, le colombe favorevoli alle riaperture. Ebbene, ci sbagliavamo di grosso. «Nessun vuoto decisionale», perché negli ultimi tre mesi l'esecutivo avrebbe seguito per filo e per segno un «piano segreto» contenente, ci ha informati ieri Monica Guerzoni sul Corriere della Sera, «gli orientamenti programmatici che hanno ispirato la scelte del governo». Fonte della fantascientifica rivelazione, il supertecnico Andrea Urbani, direttore generale della programmazione sanitaria al ministero della Salute, ovvero uno dei papaveri più alti della corte di Roberto Speranza.Nel documento gli esperti avrebbero prospettato tre diversi scenari, «uno dei quali troppo drammatico per essere divulgato senza scatenare il panico tra i cittadini». Sarà perché la curva dei contagi ha finalmente iniziato a puntare verso il basso? Oppure la mossa si inserisce nello scenografico scaricabarile in atto ormai da settimane a tutti i livelli della piramide decisionale? Fatto sta che Urbani, bontà sua, ha scelto di affidare alcuni importanti dettagli della riservatissima strategia governativa antivirus a un articolo confinato a pagina 11 del quotidiano meneghino. C'è qualcosa però che non torna nel discorso del dirigente. I numeri, innanzitutto. Nel worst scenario, infatti, i decessi previsti oscillano dai 600.000 agli 800.000, più dell'1% della popolazione nazionale. Considerando realistico un tasso di mortalità del 2%, ciò si traduce in un numero di infetti che va dai 30 ai 40 milioni di cittadini, cioè una forbice dal 50% al 70% circa della popolazione. E allora è vero, se lo chiede anche la Guerzoni, che le chiusure sono state tardive? Macché. «Con il senno di poi sarebbe stato meglio un lockdown immediato, ma allora c'erano solo i due cittadini cinesi e si è deciso di assumere scelte proporzionate», confessa Urbani. Che dire, una strategia inattaccabile.Eppure, la prova che il virus potesse trasmettersi agli asintomatici si è avuta già alla fine di gennaio, con tanto di conferma da parte dell'Organizzazione mondiale della sanità. Se le previsioni già a quell'epoca erano tanto fosche, perché non prevedere un piano d'azione efficace, promuovendo fin da subito il distanziamento sociale e magari incoraggiando la popolazione all'utilizzo dei dispositivi di protezione? Per contro, quando il 27 gennaio scorso il ministero della Salute ha emanato le linee guida per il riconoscimento dei casi sospetti, inspiegabilmente si è deciso per la rimozione del riferimento alle persone che manifestavano un «decorso clinico insolito o inaspettato […] senza tener conto del luogo di residenza o storia di viaggio», rintracciabile invece nella stesura risalente ad appena cinque giorni prima. Senza dubbio la scelta di ampliare la casistica avrebbe salvato un numero molto elevato di vite.Ma tanto «il virus non circola in Italia», rassicurava il 14 febbraio il presidente dell'Iss Silvio Brusaferro. Forse il piano era talmente segreto che nessuno al governo e alla maggioranza è stato mai informato della sua esistenza. E così, ancora a fine febbraio i sindaci Beppe Sala e Giorgio Gori invitavano a non fermare Milano e Bergamo, e dalla capitale Nicola Zingaretti brindava allegro alla loro salute. La verità è che per lunghe settimane il virus è stato lasciato libero di circolare, creando di fatto il terreno ideale per l'esplosione dell'epidemia nel nostro Paese. Ma il piano, almeno stando all'opinione dei tecnici del ministero, avrebbe funzionato. «Se la più fosca delle previsioni non si è realizzata», scrive il Corriere, «è perché il governo ha scelto, anche se gradualmente, di chiudere i battenti del Paese». E allora la Lombardia, si chiede la Guerzoni? «Si può sempre fare meglio, ma siamo investiti da uno tsunami», ribatte Urbani. Già, perché quando si parla delle regioni, a Roma la gara è a chi si tira fuori per primo. «Le mascherine? Le Regioni avrebbero dovuto averle già da un po'», spiegava il 28 febbraio scorso il sottosegretario alla Salute Sandra Zampa. Stesso discorso per i ventilatori. «Comprare le strumentazioni spetta alle regioni», ha spiegato Urbani negando i ritardi nelle forniture, «il governo ha raddoppiato le terapie intensive». Peccato che, a dispetto della impeccabile strategia top secret pianificata dal ministero, il primo intervento sul tema dei posti letto dedicati ai malati più gravi risalga solamente al 1° marzo. Cioè circa dieci giorni dopo il «paziente 1» di Codogno, quando in Lombardia i casi sfioravano già quota 1.000. E il ruolo inesistente dell'esecutivo è certificato dallo stesso Andrea Urbani, che di quel provvedimento risulta il firmatario. L'incremento dei posti letto considerato necessario dal comitato tecnico scientifico va «attivato a livello regionale, nel minor tempo possibile […] anche attraverso la rimodulazione locale delle attività ospedaliere», e valutando «prioritariamente» l'utilizzo delle strutture private accreditate. Tradotto con una sola parola, il messaggio del ministero alle regioni suona così: «Arrangiatevi».
Palazzo Berlaymont, sede della Commissione europea (Getty Images)
Manfred Weber e Ursula von der Leyen (Ansa)
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (Ansa)
Ursula von der Leyen (Ansa)