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Con Dario Giacomini e Alessandro Rico parliamo dei tentativi di fare risalire la tensione. E di chi oggi è ancora invisibile.
Con Dario Giacomini e Alessandro Rico parliamo dei tentativi di fare risalire la tensione. E di chi oggi è ancora invisibile.
Illustrissimo professor Palù, avrei voluto contattarla da qualche anno, avevo avuto modo di apprezzare la sua eleganza e la sua preparazione all’inizio della storia pandemica, quando i suoi interventi erano a mio modesto avviso puntuali e pieni di buon senso. Dopo essere diventato presidente dell’Aifa però la sua voce si è sentita molto poco, e quando lo ha fatto ha espresso posizioni, come nel caso della vaccinazione per il SarsCov2 nei bambini, che mi hanno lasciato sbigottito. È arrivato persino a ipotizzare l’obbligo vaccinale con questi prodotti nei bambini, per fortuna qualcuno non la ha ascoltata. Ma non è lei uno degli autori della ricerca pubblicata su Frontiers of Virology a febbraio del 2022, nel quale si dimostra la presenza di una sequenza di 19 basi nucleotidiche, nel genoma pubblicato del SarsCov2, oggetto di brevetto di Moderna nel 2017? E che questa sequenza ha una possibilità su 3 triliardi di essere casuale? Non ci ha quindi chiaramente detto pubblicandolo su una ottima rivista scientifica, che il virus non solo è sintetico, ma che usa una sequenza, che include il sito di clivaggio della furina umano, brevettata da Moderna per la ricerca sui tumori, che ne ha aumentato esponenzialmente la capacità infettiva? La stessa Moderna che ha poi prodotto i vaccini. Sembra la trama di Mission Impossible 2, il virus chimerico e la sua cura. Eppure, è reale, solo che non se ne parla, per ragioni che sfuggono alla mia comprensione. Forse nessuno lo ha detto chiaramente alla magistratura. Sentirla dire da Vespa l’altra sera, una ventata di verità, seppur parziale e ben costruita dialetticamente, è stata una sorpresa. Ha esordito dicendo che gli errori si commettono, specialmente di fronte a un virus nuovo, per poi spiegarci come non si siano ascoltati i presidenti delle Regioni all’inizio della pandemia. Ma la vera sorpresa è stata sul tema delle terapie, dove oltre all’ormai ben noto dilemma sull’uso degli antinfiammatori invece che tachipirina e vigile attesa, il cui senso medico e scientifico è a tutt’oggi sconosciuto agli eretici come me, è arrivato a citare, senza mai nominarla, la potenzialità di una cura a base di idrossiclorochina e lo scandalo del Lancet Gate sulla stessa. Idrossiclorochina, una parola talmente tabù, che non riesce a pronunciarla neanche lei, pur parlando dello studio retratto da Lancet perché completamente falso, che ne screditava l’efficacia. Accanto a lei è rimasto muto e visibilmente preoccupato il prof. Bassetti, forse si sarà ricordato quando sulla questione, proposta all’epoca da Salvini, sentenziò: «Studi clinici fatti seriamente su vasta scala hanno detto che l’idrossiclorochina non serve a niente, inutile continuare a dire alla gente che serve a qualcosa» e ancora «non facciamo stregoneria, è stata ampiamente bocciata e non serve a niente». Da Vespa è rimasto muto. Ubi maior, minor cessat.
La sua indubbia preparazione invece, non potrà non farle notare l’incongruenza del suo stesso discorso. Ha esordito con un «ci trovavamo davanti a un virus nuovo», per cui errare è parte del processo, per poi smentirne l’essenza con il ragionamento successivo, dove parla di esperienze pregresse con SarsCov e Mers che ci avevano insegnato il rischio nosocomiale di questi virus e le terapie che si erano già rivelate efficaci su virus di questo tipo. Quindi la logica vuole che non ci trovassimo di fronte a una entità, seppur sintetica, completamente nuova, ma a un virus respiratorio appartenente a una famiglia studiata da decenni, sia dal punto di vista terapeutico, che trasmissivo. Altro che non sapevamo cosa fare, l’eccellente prof. Raoult ha bruciato la sua carriera in Francia per aver osato dire la verità, la cura esiste, l’idrossiclorochina funziona, le cure esistono, ivermectina, iodopovidone, indometacina. Ma lo diceva Trump, non poteva essere vero. Invece sì, lo conferma lei. L’esistenza delle cure significa aver esposto i bambini a una sperimentazione dove il rapporto costo/beneficio non è semplicemente applicabile. Il beneficio è nullo, il rischio sconosciuto, saprà meglio di me che per ragioni di «definizione» questi prodotti a mRNA sono effettivamente delle terapie geniche, ma non sono definibili tali perché secondo l’Ema per definizione i vaccini a mRNA non lo sono. Quando si dice le parole plasmano la realtà.
Conosce perfettamente che gli studi di cancerogenicità e genotossicità non sono stati effettuati perché non richiesti dall’iter di approvazione scelto. E con tutte queste, e le altre conoscenze che lei ha, dubito che: «La prossima settimana vaccino ai bimbi, lo farò ai nipoti», sia poi divenuto realtà. Le auguro con il cuore di averlo detto, ma non averlo fatto. E se così fosse mi chiederei come può averlo detto al suo popolo?
Chissà che l’ora della verità non sia in arrivo, certo un segnale c’è stato, meglio tardi che mai.
La stesura di un regolamento che renda concretamente operativo il Piano oncologico nazionale (Pon) 2023-2027; l’identificazione un gruppo di coordinamento per la valutazione degli indicatori e la loro pubblicazione; la definizione di strumenti che consentano tempestive e mirate azioni correttive. Sono parte delle richieste del 15° Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici illustrato ieri a Palazzo Madama alla presenza del vicepresidente del Senato, Maurizio Gasparri, e del presidente della Commissione Affari Sociali alla Camera, Ugo Cappellacci, nell’ambito della XVIII Giornata nazionale del malato oncologico promossa da Favo, acronimo di Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia. Si tratta di un documento rilevante che, in primo luogo, esamina la situazione attuale. Che è quella che, in Italia, vede ogni anno qualcosa come 895.000 ricoveri per tumore, con una spesa annuale per i soli costi diretti ospedalieri pari a oltre 4 miliardi di euro, a cui si aggiungono 2,5 miliardi di uscite per le prestazioni assistenziali. Di qui le richieste del Rapporto volte essenzialmente ad innalzare la qualità assistenziale loro offerta nel nostro Paese, affinché il Pon non resti lettera morta.
«Per assicurare la realizzabilità e l’allineamento del nostro Piano a quello europeo», ha dichiarato Francesco De Lorenzo, presidente di Favo, «è assolutamente indispensabile l’immediata attivazione delle reti oncologiche regionali e della rete nazionale dei tumori rari, conditio sine qua non per la presa in carico complessiva dei malati di cancro e per garantire loro la migliore qualità di vita possibile».
«Alla guarigione clinica», ha aggiunto De Lorenzo, «spesso si accompagnano infatti disabilità, fisiche e psicosociali, recuperabili proprio attraverso programmi di riabilitazione. Ciò è necessario per restituire alla persona guarita una vita piena e soddisfacente, ma anche un dovere e una responsabilità collettiva per garantire un uso appropriato delle risorse».
Nell’incontro di ieri, si sono anche delineati dei programmi concreti da perseguire e che potrebbero avere significativi, anzi enormi benefici per la società. Per esempio quello d’una riduzione del 6-8% della mortalità per tumore, che determinerebbe in Italia 10.000-14.000 decessi in meno ogni anno. «Questo può essere l’obiettivo della sanità pubblica per un’adeguata strategia di controllo del cancro, attenta ad ogni fase», ha dichiarato Saverio Cinieri, presidente dell’Associazione italiana di oncologia medica.
Lo stato di emergenza Covid è terminato da quasi un anno, ma al ministero della Salute non sembrano essersene accorti. Perlomeno, guardando il portale online al quale ogni cittadino può accedere cercando informazioni istituzionali. Se ieri, 6 febbraio 2023, un genitore avesse voluto capire che cosa invitano a fare gli esperti ministeriali in tema di vaccinazione anti Covid nei bambini, sarebbe rimasto sconcertato. Il sito risulta aggiornato il 30 gennaio, però ancora si legge che è meglio vaccinare i bambini perché, secondo la Commissione tecnico scientifica dell’Aifa, «oltre all’efficacia nel prevenire il contagio e le relative conseguenze, la vaccinazione comporta benefici quali la possibilità di frequentare la scuola e condurre una vita sociale connotata».
Da mesi, ormai anche i più fanatici dell’inoculo a oltranza ammettono che il vaccino non previene il contagio. Sono stati costretti, non tanto dall’evidenza dei report sui positivi e dagli studi (l’ostinazione rende ciechi e sordi), ma dopo l’ammissione fatta lo scorso ottobre da Janine Small, la responsabile per i mercati internazionali di Pfizer, in audizione al Parlamento europeo.
«Era stato testato per fermare la trasmissione del virus, prima che fosse immesso sul mercato?», le aveva chiesto eurodeputato olandese Rob Ross. «No, noi dovevamo muoverci alla velocità della scienza», fu la risposta della dirigente di Pfizer.
Il vaccino, semmai, nei soggetti con salute compromessa può aiutare ad avere una malattia meno grave, però il nostro ministero della Salute ancora lo definisce efficace «nel prevenire il contagio». Le decine di migliaia di plurivaccinati e più volte contagiati si sentiranno presi per i fondelli.
E vogliamo parlare, dell’invito a inoculare i più piccoli perché possano frequentare la scuola e fare vita sociale? Non siamo più in lockdown, grazie al cielo il semaforo delle zone a rischio è stato spento; non c’è emergenza focolai nelle scuole, perciò perché dare ancora questo tipo di informazione a una mamma e papà?
Forse, invece, vorrebbero essere rassicurati sull’opportunità di iniettare una terza dose in un ragazzino, magari già passato indenne attraverso una positività da asintomatico. L’unica risposta istituzionale che viene fornita è che sarebbero sicuri per i bambini, perché «il profilo di sicurezza viene continuamente monitorato anche dopo l’autorizzazione. L’Agenzia italiana del farmaco pubblica report periodici sulla farmacovigilanza dei vaccini Covid-19». Siamo in attesa da mesi, dell’ultimo report, fermo a un aggiornamento dello scorso 26 settembre, quindi almeno la serietà di non dire che i vaccinati sono monitorati.
Grave è anche la raccomandazione fornita alle persone con immunodeficienza di sottoporsi a una prima e a una seconda dose di richiamo. Come hanno evidenziato tre ricercatori dell’Istituto superiore della Sanità in uno studio pubblicato sulla rivista Pathogens, e al quale La Verità ha dato ampio rilievo, i soggetti che soffrono di malattie autoimmuni rischiano maggiori patologie con più richiami di vaccini a mRna.
Ed è la stessa Pfizer che negli aggiornamenti del 2 febbraio dichiara ancora una volta: «L’efficacia, la sicurezza e l’immunogenicità del vaccino non sono state valutate nei soggetti immunocompromessi, compresi quelli in terapia immunosoppressiva». Aggiunge: «La raccomandazione di considerare una terza dose in soggetti severamente immunocompromessi si basa su un’evidenza sierologica limitata ricavata da una serie di casi in letteratura».
Quanto all’invito a fare antinfluenzale e richiamo «nella medesima seduta vaccinale», che si insiste a dare, ricordiamo che sempre Pfizer informa: «La somministrazione concomitante di Comirnaty con altri vaccini non è stata studiata».
Se poi un cittadino volesse sapere che cosa il ministro raccomanda di fare per proteggersi dal virus in questa seconda settimana di febbraio, con varianti che non preoccupano, contagi e ospedalizzazioni in calo (l’aumento dei decessi non ha mai la correlazione certa con il solo Covid), la delusione sarebbe altrettanto grande.
Orazio Schillaci non ha ancora fatto revisionare il vademecum sul sito, e i primi tre accorgimenti suggeriti «per ridurre il rischio di infezione, proteggendo sé stessi e gli altri», sono: «Vaccinarsi; indossare correttamente la mascherina; mantenere una distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro». E pulire con varichina le superfici, nemmeno vivessimo in un sanatorio.
Sul vaccino, che non impedisce la trasmissione del Covid, già abbiamo detto. Le mascherine sono state tolte ovunque, meno che in ospedali, ambulatori, studi medici e strutture socioassistenziali dove rimangono fino al prossimo 30 aprile, quindi perché si insiste sul mascheramento come prevenzione?
Inutile, poi, stupirsi se si vedono ancora persone in supermercati non affollati, o a passeggio, con indosso il dispositivo di protezione facciale da piena pandemia. Quanto al distanziamento, non ci sarebbe più vita sociale, né possibilità di spostarsi su mezzi pubblici, se questa misura fosse applicata, e allora non ha senso suggerirla. Signori del ministero in Lungotevere Ripa, cambiate le informazioni al cittadino. Aggiornatele alla situazione odierna, perché altrimenti continuerà a regnare confusione e insicurezza nei confronti del Covid.
La privacy non è uguale per tutti, secondo qualche giudice. Il diritto, di avere i propri dati sensibili tutelati, dovrebbe passare in secondo piano rispetto alle problematiche organizzative di un’azienda sanitaria. In quel caso, pazienza se vengono calpestati.
Accade, infatti, che il Tribunale di Udine decida di congelare l’ordinanza del Garante per la privacy, che lo scorso dicembre aveva sanzionato tre Asl friulane (55.000 euro ciascuna) e imposto loro di procedere alla cancellazione di elenchi, con circa 40.000 assistiti ritenuti a rischio qualora avessero contratto il Covid-19.
Dati elaborati utilizzando algoritmi, e che erano finiti ai medici di famiglia per valutare a chi raccomandare la vaccinazione anti Covid. Secondo l’Authority, erano stati trattati «in assenza di un’idonea base normativa, senza fornire agli interessati tutte le informazioni necessarie e senza aver effettuato preliminarmente la valutazione d’impatto», prevista dal regolamento europeo.
Il giudice Elisabetta Sartor, invece, ha sospeso l’efficacia esecutiva del provvedimento del Garante, «tenuto conto del pericolo di sospensione temporanea dei servizi di sanità pubblica», che si verificherebbe nel momento in cui l’azienda sanitaria, rispettando l’ingiunzione, predispone «le iniziative necessarie alla cancellazione dei dati, risultanti dall’elaborazione delle informazioni presenti nelle banche aziendali».
In poche parole, l’ordinanza viene congelata perché risulta complicato rimuovere informazioni super sensibili, sullo stato di salute di 40.000 persone, estratte dai database senza l’autorizzazione dei titolari. Questo sarebbe il rispetto della privacy dei cittadini.
L’algoritmo era stato fornito dall’Azienda regionale di coordinamento per la salute (Arcs), alla società Insiel che progetta, realizza e gestisce i servizi informatici della Regione Friuli Venezia Giulia. La divisione sanità digitale aveva elaborato i dati, li aveva inviati alle aziende sanitarie unitarie del Friuli centrale (Asufc), del Friuli occidentale (Asfo) e a quella Giuliano Isontina (Asugi), che spedirono poi gli elenchi ai medici di famiglia.
Profili sanitari di rischio, realizzati all’insaputa dei diretti interessati, che avevano dato solo il consenso alla consultazione del fascicolo elettronico da parte del medico di medicina generale, non perché venissero trattati. Certo, le Asl si difesero sostenendo che era per tutelare i più fragili, con comorbidità, e che «chiedere il consenso a una intera popolazione avrebbe impedito il diritto alla cura e alla salvezza della vita ai pazienti in cura», ma rimane la gravità di aver violato la protezione di dati personali, come aveva evidenziato il Garante.
Se poi consideriamo che per ciascuna «prestazione vaccinale», anche anti Covid, i medici di base ricevono un incentivo economico, quegli elenchi risultavano doppiamente sospetti o perlomeno scorretti. L’Authority ne aveva disposto la cancellazione, lo stop disposto da giudice risulta un brutto segnale.
Se fosse stato solo per «espletare ulteriori accertamenti», come aveva in parte motivato la sospensione il magistrato di Udine, poteva essere comprensibile. Ma sconcerta che venga ipotizzato un «pericolo di sospensione temporanea dei servizi di sanità pubblica», quando si provvede a eliminare elenchi che classificano a rischio pazienti, ignari del trattamento automatizzato dei loro dati personali.
Addirittura, il giudice prende in considerazione «il rischio di dispersione dei dati raccolti», qualora l’ordinanza del Garante venisse «poi annullata all’esito del giudizio di merito». Qualunque possa essere la sentenza finale, in merito a sanzioni e responsabilità, dati che hanno violato la privacy dei cittadini devono sparire.
Il battage sull’ondata di Covid in Cina ci rammenta che le restrizioni non sono un incubo lontano. In realtà, ci hanno accompagnato per una buona parte di questo 2022. L’anno dei «migliori», l’ultimo di Mario Draghi a Palazzo Chigi e di Roberto Speranza al ministero della Sanità. Rievochiamo gli avvenimenti di questi 365 giorni, dalla prigionia fino alla liberazione quasi totale, per ricordare quali abusi sono stati perpetrati, dietro la foglia di fico della scienza. La lista sarà inevitabilmente incompleta: ne hanno combinate troppe.
5 GENNAIO
L’anno si apre con l’ok al decreto sull’obbligo vaccinale per gli over 50, che prevede multe da 100 euro per gli inadempienti. Sarà in vigore fino al 15 giugno. Se rifiuteranno le iniezioni, gli ultracinquantenni perderanno il diritto al lavoro, come, prima di loro, sanitari, membri delle forze dell’ordine e personale scolastico.
10 GENNAIO
Al picco dell’ondata di Omicron, entra in vigore il decreto del 29 dicembre 2021. La norma impone il super green pass pressoché ovunque. Inclusi i mezzi, i ristoranti all’aperto, gli hotel, gli impianti sciistici.
19 GENNAIO
La Consulta boccia un ricorso presentato da alcuni parlamentari privi di super green pass, che rimarranno bloccati nelle isole a causa delle nuove regole e non potranno votare per l’elezione del capo dello Stato. Lo stesso giorno, il Consiglio di Stato sospende la sentenza del Tar del Lazio, che aveva bocciato la circolare del ministero della Salute su paracetamolo e vigile attesa.
21 GENNAIO
Arriva un decreto che regola la partecipazione dei grandi elettori, positivi o in isolamento, alle votazioni per il presidente della Repubblica: saranno allestiti seggi drive in a Montecitorio. Il 24 gennaio, alla deputata no vax Sara Cunial sarà impedito di votare.
31 GENNAIO
Il cdm proroga di dieci giorni l’obbligo di mascherine all’aperto e la chiusura delle discoteche, anche in zona bianca - ricordate? Esistevano ancora le zone a colori, introdotte da Giuseppe Conte a novembre 2020.
1 FEBBRAIO
Per gli over 50 non in regola con il vaccino parte l’iter sanzionatorio.
7 FEBBRAIO
Arriva il mega green pass, cioè la tesserina verde senza scadenza, che si ottiene con tre dosi di vaccino, o due dosi più la guarigione dal Covid. Viene introdotto il lockdown per i soli no vax: a chi ha porto il braccio, è consentito fruire dei servizi e delle attività limitati o sospesi anche in zona rossa. Subentra pure un nuovo protocollo nelle scuole: nelle primarie, la didattica a distanza scatterà dopo il quinto caso di Covid in classe, ma solo per chi non è vaccinato, oppure ha ricevuto la seconda dose da oltre 120 giorni; nelle scuole secondarie di primo e secondo grado, la Dad partirà dai due casi di positività. È un obbligo surrettizio di booster per i ragazzini. Come se non bastasse, il governo partorisce un’incredibile gabola discriminatoria: negli alberghi e nei ristoranti, sarà consentito l’ingresso agli stranieri privi di super green pass. Non ai cittadini italiani.
9 FEBBRAIO
Il Consiglio di Stato accoglie la linea del ministero su paracetamolo e vigile attesa, sostenendo che «la reale portata della circolare ministeriale» e delle raccomandazioni Aifa è stata esagerata, poiché esse «non contengono prescrizioni vincolanti per i medici».
11 FEBBRAIO
Decade l’obbligo di mascherine all’aperto, ma bisognerà «avere sempre con sé i dispositivi di protezione delle vie respiratorie», indossandoli «laddove si configurino assembramenti». E, al chiuso, fino al 31 marzo.
2 MARZO
Un dpcm prolunga la «validità tecnica» del codice a barre del green pass: esso rimarrà in funzione per 540 giorni. Prima di questa scadenza, la piattaforma nazionale emetterà un nuovo pass, valido altri 540 giorni, dandone comunicazione all’intestatario. Il provvedimento è tutt’ oggi in vigore.
10 MARZO
Dopo due anni, si può tornare a far visita ai familiari in ospedale, indossando una Ffp2. Purché si sia stati vaccinati con tre dosi, oppure con due da meno di sei mesi, o si sia guariti dal Covid.
24 MARZO
Dopo le pressioni dei partiti del centrodestra nel governo Draghi, arriva l’agognata «road map per le riaperture». Lo stato d’emergenza cesserà di lì a una settimana e, con esso, spariranno il Comitato tecnico scientifico e la struttura commissariale. Tuttavia, vengono prorogati l’obbligo di mascherina al chiuso, sui mezzi e persino per l’accesso agli impianti sciistici, fino al 30 aprile. Per tutto il mese seguente, viene conservato l’obbligo di green pass base in molte attività e di super green pass in alberghi, ristoranti, mostre e mezzi di trasporto a lunga percorrenza: si prospetta una Pasqua con il certificato rafforzato. L’obbligo vaccinale per i sanitari viene prorogato al 31 dicembre. Dal primo aprile, agli over 50 non sarà più richiesto il super green pass sul luogo di lavoro.
31 MARZO
Cessa lo stato d’emergenza. Durava dal 31 gennaio 2020.
1 MAGGIO
Sparisce l’obbligo di green pass, tranne che per ospedali e Rsa. I dipendenti del settore pubblico e di quello privato continueranno a indossare le mascherine fino al 30 giugno.
6 MAGGIO
L’Europarlamento proroga la validità del green pass europeo fino al 30 giugno 2023.
15 GIUGNO
Decade l’obbligo vaccinale per over 50, insegnanti e forze dell’ordine. Cessa l’obbligo di mascherine al chiuso, tranne che sui mezzi pubblici, fino al 30 settembre.
31 AGOSTO
I prof non vaccinati possono tornare a insegnare.
30 SETTEMBRE
A 24 ore dalla scadenza della norma e cinque giorni dopo le elezioni vinte dal centrodestra, Speranza proroga di un mese l’obbligo di mascherine in ospedali e Rsa. Il suo ultimo colpo di coda.
1 OTTOBRE
Cessa l’obbligo di mascherine sui mezzi pubblici.
10 OTTOBRE
Janine Small, responsabile per i mercati internazionali di Pfizer, viene audita dalla commissione d’inchiesta dell’Europarlamento al posto del suo «fuggiasco» ceo, Albert Bourla. L’esponente della casa farmaceutica ammette: il vaccino anti Covid non è mai stato testato per la capacità di arrestare la trasmissione del virus.
22 OTTOBRE
S’insedia il governo Meloni.
27 OTTOBRE
Fdi annuncia un emendamento per annullare le multe ai non vaccinati. L’approvazione della misura, però, si rivela complicata. Alla fine, nel dl Rave, verrà infilata la sospensione delle sanzioni fino al 30 giugno 2023.
28 OTTOBRE
Il nuovo ministro della Sanità, Orazio Schillaci, annuncia il reintegro dei sanitari non vaccinati sospesi.
31 OTTOBRE
Schillaci proroga fino a fine anno l’obbligo di mascherine in ospedali e Rsa.
2 NOVEMBRE
Medici e infermieri sospesi tornano a lavoro, ma parte una campagna mediatica diffamatoria. E anche le vessazioni negli ospedali.
30 NOVEMBRE
Si tiene l’udienza pubblica della Consulta sui ricorsi contro l’obbligo vaccinale, preceduta da un editoriale sulla Stampa a favore del decreto Cartabia, vergato dall’ex portavoce della Corte stessa, Donatella Stasio.
1 DICEMBRE
La Corte boccia i ricorsi: le «scelte del legislatore» sono giudicate «non irragionevoli, né sproporzionate».
13 DICEMBRE
Gli emendamenti di Lega e Fdi al decreto Rave sospendono le multe ai non vaccinati, aboliscono il green pass in Rsa e ospedali e cancellano l’obbligo di tampone per i pazienti dei pronto soccorso. Stop anche all’obbligo di tampone negativo al termine di cinque giorni di isolamento, per i positivi senza sintomi.
26 DICEMBRE
L’ondata di contagi in Cina semina il panico in Occidente. Malpensa introduce i tamponi per i passeggeri dal Paese asiatico. Si teme che dal Dragone arrivi una «variante cattiva».
28 DICEMBRE
Schillaci impone i tamponi a chi arriva dalla Cina.
29 DICEMBRE
Il ministro riferisce in Senato. Nei test in aeroporto non c’è traccia della variante.
30 DICEMBRE
Circolare del ministero: se l’epidemia peggiora, il governo «consiglierà» le mascherine e limiterà gli assembramenti. Si riavvolge il nastro?
Mentre ancora risuonavano le parole del capo dello Stato, «non dobbiamo scoraggiarci. Si è fatto molto», che Sergio Mattarella pronunciò nel discorso di fine anno, il 3 gennaio 2022, il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, suggeriva «la più vasta campagna di vaccinazione possibile per la popolazione studentesca», per non tenere a casa i bambini. «Nella fascia 12-19 anni sono già il 75% i ragazzi vaccinati e credo sia giusto garantire il più possibile la didattica in presenza a questa platea importante», dichiara l’allora sottosegretario alla Salute, Andrea Costa. Gli altri andavano puniti con la Dad.
Vaccino a oltranza. È stata questa la soluzione più volte prospettata nel tormentato anno 2022, che stiamo abbandonando con pochi rimpianti. L’appello a secondi o terzi richiami è tornato pressante, in queste ultime ore. L’ex premier, Mario Draghi, in conferenza stampa, a gennaio, sosteneva: «Non dobbiamo perdere di vista che gran parte dei problemi che abbiamo oggi dipende dal fatto che ci sono dei non vaccinati». Un numero irrisorio, però usato come pretesto per giustificare ogni restrizione.
Persino un monsignore dell’alto Casertano, Giacomo Cirulli, trovò giusto inviare l’8 gennaio una circolare a tutte le parrocchie delle sue due diocesi, scrivendo: «Proibisco la distribuzione dell’eucarestia da parte di sacerdoti, diaconi, religiosi e laici non vaccinati».
Sui vaccini, guai a sollevare dubbi. Quelli a mRna «si sono rivelati i più efficaci e su cui non c’è da avere nessun dubbio rispetto a interferenze geniche e genetiche», dichiarerà ai primi di febbraio Nicola Magrini, dg di Aifa. La farmacovigilanza, in dodici mesi ci ha detto ben poco sugli eventi avversi che hanno tolto la salute a troppi.
Accompagnati dall’esasperante conteggio quotidiano, di infettati e morti, eravamo solo in attesa della sospirata fine dello stato di emergenza, fissata al 31 marzo. Prima, però, erano riservate nuove vessazioni. «Ridurre l’area dei non vaccinati è davvero fondamentale, ci può consentire di alleggerire la pressione sugli ospedali, salvare tantissime vite umane», dichiarava l’allora ministro della Salute, Roberto Speranza, spiegando la scelta dell’obbligo vaccinale per gli over 50.
La sanzione pensata per i disobbedienti sembrava poca cosa. Agostino Miozzo, ex coordinatore del Cts, si indigna: «Multe ai non vaccinati da 100 euro una tantum? Ci vorrebbe l’arresto, oppure paghino un giorno di terapia intensiva dove un giorno di ricovero costa 1.500 euro».
Un paio di settimane dopo, l’allora consigliere del ministro, Walter Ricciardi, sosteneva: «Oltre a vaccinare tutti, bisognerebbe fare i tamponi alla stragrande maggioranza degli italiani e isolare gli infetti. Se ne uscirebbe in otto giorni. È un’operazione che tutti dicono sia impossibile, ma i cinesi per un caso testano 10 milioni di persone». Per come si trova oggi la Cina, potete ben capire l’assurdità di quelle affermazioni.
Nel frattempo, si sprecavano le illazioni. L’immunologo Sergio Abrignani chiede: «Siamo pronti in Italia, dopo il picco atteso per fine gennaio (quando la curva dei contagi dovrebbe scendere), a tollerare 3-4.000 decessi per Covid al mese per quattro-cinque mesi l’anno in cambio di una vita di nuovo “normale”?». Roberto Burioni dichiara: «Bisogna dire che questo vaccino, che c’è ora, sta funzionando in maniera fantastica: la protezione contro la malattia grave, dopo tre dosi, è altissima». Conveniva l’infettivologo Matteo Bassetti, affermando a distanza di qualche giorno: «Una eventuale variante più aggressiva sarebbe comunque governata dall’immunità che abbiamo sviluppato». Adesso, consigliano i doppi richiami.
Però i sanitari erano tenuti all’obbligo vaccinale, così pure gli over 50, per giunta beffati dalle parole del ministro della Salute. «Noi stiamo riuscendo a piegare la curva sostanzialmente senza restrizioni invasive per la vita delle persone. Ci siamo riusciti proprio grazie a strumenti come la campagna di vaccinazione e il green pass», ebbe la faccia tosta di dire Speranza.
Lavoro, spostamenti, vita sociale rimanevano vincolati al possesso dei lasciapassare, che a detta di Ricciardi «ci consentono di frequentare gli ambienti al chiuso, che sono quelli più rischiosi, in maniera sicura, cioè essendo sicuri che chi è vicino a noi non è infetto e che naturalmente non può contagiarci». Una balla colossale, i bollettini dell’Iss si riempirono di tabelle con i dati dei tridosati infettati. Quando il governo annuncia che il 31 marzo sarebbe terminato lo stato di emergenza, l’ex direttore di malattie infettive all’ospedale Sacco di Milano, Massimo Galli, si dice contrario a togliere la carta verde. «Non c’è nessuna contraddizione tra il mantenimento del green pass» e le aperture, protesta, invocando il perdurare di quella «garanzia».
Il 9 marzo, commentando la crescita dei contagi, Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, sostiene che «è pura follia pensare di abbandonare l’utilizzo delle mascherine al chiuso, fondamentali per contenere il più possibile la trasmissione del contagio, vista anche la limitata efficacia del vaccino nel ridurre il rischio di infezione». Diversi Paesi europei, a quell’epoca, avevano già rimosso l’obbligo.
Maggio trascorre all’insegna dell’allarme vaiolo delle scimmie, ma il Covid non finisce in secondo piano. Il 24 giugno, la veterinaria Ilaria Capua spiega che «dovremo aggiustare le nostre vite alla presenza di questo nemico diventato subdolo». A luglio dirà: «Dobbiamo aspettarci che gli animali si infettino e dobbiamo stare attenti», in quanto i virus «potrebbero anche essere più aggressivi». Due giorni fa, ci ha ricordato che «purtroppo la pandemia non è finita».
Passata l’estate, tra curve dei contagi che salgono e che scendono, nel caldo infernale degli anticicloni Caronte e Apocalisse, in compagnia pure del virus West Nile e dei funghi killer, a pochi giorni dalle elezioni il direttore sanitario dell’Ospedale Galeazzi, Fabrizio Pregliasco, avverte che «sarebbe una buona cosa igienizzare la matita che si utilizza per il voto». Per non dimenticarci del Covid, mai.
Ai primi di novembre, il governo decide di anticipare la fine dell’obbligo vaccinale per il personale sanitario e le proteste, anche surreali, impazzano. Giancarlo Loquenzi, di Radio 1 Rai, vaneggia: «Reintegrate pure i sanitari sospesi perché contrari al vaccino, ma, per favore, chiedete loro di indossare una spilletta “no vax”. Vorrei poterli riconoscere». Cartabellotta suggerisce: «Gli farei fare un corso tipo quelli che si fanno quando perdi la patente». «Se mi viene a curare un medico che era contro il vaccino, lo vorrei sapere», esterna la sua preoccupazione Giovanni Floris, cianciando di salute con Fabio Fazio.
Il 27 dicembre, Ricciardi dichiara sul Messaggero: «In una fase come quella della pandemia, la cabina di regia unica ha enormemente alleggerito gli elementi di iniquità e diseguaglianza che purtroppo dalla riforma costituzionale del 2001 sono una costante». Abbiamo la certezza che sia avvenuto l’esatto contrario.
La notizia è talmente curiosa da insospettire. Viene quasi da pensar male, da supporre maliziosamente che - vista l’arietta appena meno viziata che tira dalle parti di Palazzo Chigi - la Federazione nazionale degli ordini dei medici (Fnomceo) stia cercando di adeguarsi. Ma probabilmente, ripetiamolo a scanso di equivoci, si tratta della nostra cattiva immaginazione: figurati se un’organizzazione così rispettabile si prende la briga di seguire le beghe politiche.
Comunque sia, la Fnomceo ha deciso di tornare a occuparsi dell’obbligo vaccinale a cui sono sottoposti i suoi iscritti e tutti i sanitari. Solo che stavolta, a differenza del passato, ha espresso considerazioni apparentemente più morbide. Il consiglio nazionale della federazione, infatti, ha approvato all’unanimità una mozione che sarà inviata ai ministri della Salute e della Giustizia e al presidente del Consiglio superiore della magistratura. Il testo è estremamente interessante.
Per gran parte del documento, infatti, i vertici dell’ordine si battono da soli vigorose pacche sulle spalle. Essi rilevano «con soddisfazione che la quasi totalità dei professionisti iscritti agli Omceo ha adempiuto agli obblighi di legge e, ad oggi, solo 4.432 sono stati sospesi sul totale di 468.411 per non essersi sottoposti alla vaccinazione anti Covid prevista per legge». Come a dire: visto quanto siamo stati bravi? Appena un centesimo o poco meno dei nostri iscritti ha rifiutato il vaccino ed è stato sospeso, siamo stati davvero obbedienti. Non a caso, qualora aveste dei dubbi, la Fnomceo ci tiene a ribadire che «il vaccino contro il Covid» è «uno strumento fondamentale per ridurre la diffusione della pandemia e conseguentemente la mortalità soprattutto dei soggetti più fragili». Tutto molto bello e commovente. Vedere che un ordine si compiace di aver tolto lavoro e stipendio a quasi 4.500 persone è senz’altro un segno di enorme civiltà.
Ma attenti, perché adesso viene la parte più suggestiva. La mozione fresca di approvazione contiene un passaggio in cui si specifica che «l’evoluzione epidemiologica della pandemia è tale da poter consentire, in assenza di una nuova fase emergenziale, di tornare ad una ordinaria gestione del rischio biologico e della sicurezza delle cure al cittadino lasciando agli Ordini territoriali il compito di valutare i comportamenti dei colleghi sotto il profilo deontologico». Che cosa significa?
Lo spiega il mirabolante Filippo Anelli, presidente della Fnomceo, al Quotidiano Sanità. «È il momento di tornare alla normalità», dichiara. «Gli ordini hanno svolto un’opera di supplenza, con responsabilità, quali enti sussidiari dello Stato, senza la quale non sarebbero stati raggiunti gli obiettivi e gli effetti positivi della legge. Ora devono tornare a svolgere il loro ruolo di garanti della professione medica, che deve essere esercitata nel rispetto delle norme deontologiche. Quindi è il momento di sollevare gli ordini dal controllo dell’adempimento dell’obbligo, lasciando in capo a loro solo il compito, che compete loro, delle valutazioni deontologiche e dei procedimenti disciplinari».
Davvero incredibile. Alla fine di luglio del 2022, gli ordini dei medici si destano dal sonno e dicono che è il momento di farla finita con la paranoia, che bisogna tornare alla normalità, e che loro non vogliono più occuparsi di sorvegliare e punire i professionisti non vaccinati. Non è tutto. La Fnomceo rileva che alcune recenti ordinanze e decisioni della magistratura amministrativa e ordinaria hanno messo in luce «elementi di incertezza» sull’applicazione del decreto che impone l’obbligo, «pervenendo, in alcuni casi, a interpretazioni contrarie a ogni evidenza scientifica».
Il riferimento è molto probabilmente alla decisione del Tribunale di Firenze di reintegrare una psicologa non vaccinata. In quel caso, il giudice ha emesso una ordinanza pesantissima, che in gran parte demoliva l’impianto dell’obbligo.
Date queste premesse, la Federazione degli ordini dei medici ha stabilito di rivolgersi al ministero della Salute affinché «nelle more di una revisione legislativa della materia, fornisca, con urgenza, quelle indicazioni operative, più volte sollecitate, indispensabili per una uniforme attività ordinistica e necessarie a superare le incertezze e i dubbi, dando, in particolare, risposta alle richieste espresse da tutte le Federazioni sanitarie, circa l’individuazione delle modalità di corretta applicazione del dl 44/2021, in particolare riguardo alla tempistica della procedura vaccinale nei soggetti che hanno contratto l’infezione da virus Sars Cov2».
Per farla breve, i nostri luminari chiedono al ministero di esprimersi una volta per tutte sul rientro al lavoro dei professionisti non vaccinati. E, nel farlo, suggeriscono che ci siano alcuni dubbi sull’applicazione del decreto apposito.
Capite bene che questa iniziativa suscita più di una perplessità. Per prima cosa, viene da domandarsi se i nostri eroi non potessero farsi sentire prima, visto che da settimane i medici e i direttori sanitari che operano sul campo chiedono di potersi avvalere almeno dei colleghi guariti. A colpire, inoltre, è il metodo. Per condannare la sentenza che criticava l’obbligo, la Fnomceo tira in ballo l’evidenza scientifica negata. Eppure, subito dopo, chiede un chiarimento politico al governo. Quindi la faccenda è scientifica o politica? Sorge il dubbio che - al solito - l’evidenza scientifica sia usata per puntellare decisioni politiche, ma in una direzione sola. Vogliono, di grazia, i cari medici spiegarci su quali basi scientifiche si fondi l’obbligo vaccinale? E se non si fonda su basi scientifiche ma soltanto politiche e giuridiche - come pare di capire dalla mozione - a che titolo i cari dottori criticano la sentenza emessa da un tribunale? Mistero.
Per altro, giova ricordare che - pochi giorni fa, a governo Draghi ancora prepotentemente in sella - sono stati proprio gli Ordini dei medici a ragliare contro chi si è sottratto all’obbligo. L’Ordine di Firenze, ad esempio, ha scritto in un comunicato che «la vaccinazione è un obbligo morale degli esercenti le professioni sanitarie», dunque «non ci sono e non ci devono essere eccezioni». Parole analoghe sono giunte dal succitato Filippo Anelli. Eppure, guarda un po’, è bastata una settimana a suggerire una modifica della rotta.
Nella mozione della Fnomceo, in ogni caso, ci sono almeno due nodi fondamentali. Il primo è, appunto, la richiesta di cambiare rotta sulla sospensione dei medici non vaccinati. Il secondo, forse ancora più esplosivo, è l’esplicita ammissione del fatto che l’emergenza non esiste. Lo scrivono, lo dettagliano. E se persino i dirigenti dell’ordine affermano una cosa del genere, con quale faccia i presunti esperti continuano ad andare in giro a spargere panico? Con quale fegato i vari politicanti inetti insistono a giocare sulla paura della popolazione?
Il dramma, purtroppo, è sempre lo stesso: a proferire l’ultima parola sull’obbligo vaccinale sarà un ministro che dell’evidenza scientifica non ha mai tenuto conto, e che ora ha perso pure la minuscola legittimazione politica di cui godeva fino all’altro giorno. Tocca, per l’ennesima volta, riconfermare l’antica certezza: la vera emergenza la creano coloro che l’emergenza avrebbero dovuto gestirla.
