2018-07-25
Il tribunale incolla a due poltrone il governatore pd che fa il senatore
Respinta dai giudici dell'Aquila la citazione dei 5 stelle: Luciano D'Alfonso resta presidente dell'Abruzzo e parlamentare fino alla convalida della Giunta di Palazzo Madama. Sollievo per i dem, che temono il voto.Il doppio incarico vietato dalla Costituzione? Bazzecole. L'articolo 122 della Carta che stabilisce che «nessuno può appartenere contemporaneamente a un consiglio o a una giunta regionale e a una delle Camere del Parlamento»? Quisquilie. Le critiche di mezzo mondo politico e perfino la censura di un importante costituzionalista? Ecchissene... È l'incredibile caso di Luciano D'Alfonso, 52 anni, di professione funzionario dell'Anas, che la storia forse ricorderà come il politico incollato non a una, ma a due poltrone. Eletto governatore dell'Abruzzo per il Partito democratico il 13 giugno 2014, dallo scorso 4 marzo D'Alfonso è entrato anche in Senato, sempre per il Pd. Il problema è che ha subito optato per la nuova carica, ma per oltre quattro mesi non ha apposto la firma cui la legge lo obbligherebbe: quella sotto la lettera di dimissioni dalla presidenza della Regione. Il motivo? D'Alfonso l'ha messa giù dura: «Sto restando a fare le due attività con una fatica fisica che non mi spaventa», ha detto, «perché voglio rendere irrevocabili le risorse per l'Abruzzo». In realtà, molto più prosaicamente, sono in molti a pensare che il governatore non voglia fare scattare il conto alla rovescia del voto anticipato, visto che dal momento in cui D'Alfonso dovesse abbandonare la poltrona le elezioni regionali verrebbero fissate al più tardi entro 120 giorni. Il suo obiettivo, insomma, è quello di salvaguardare il più a lungo possibile uno dei dodici governi regionali rimasti ai dem: l'unica, evanescente eredità rimasta al partito terremotato dalla segreteria di Matteo Renzi. Del resto, nel 2014 D'Alfonso era stato eletto presidente dell'Abruzzo con il 46,3% e quasi 320.000 preferenze, un successo cui il Pd aveva contribuito con 171.000 voti e con una quota del 25,4%; lo scorso 4 marzo, nella regione, il partito è crollato a 105.000 voti, il 13,8% del totale. Il governatore giustifica il ritardo. Annuncia che firmerà le sue dimissioni, ma solo dopo il pronunciamento ufficiale della Giunta per le elezioni e le immunità parlamentari del Senato: «Appena si definirà la mia natura giuridica di senatore, lascerò l'Abruzzo», va ripetendo dal 5 marzo. «Invece, fino a quando non c'è quella convalida, io resto sub iudice e la mia elezione al Senato può sempre essere invalidata. Ecco: quando avrò questa certezza giuridica, farò la scelta». Mentre D'Alfonso tergiversa, i consiglieri regionali del Movimento 5 stelle, all'opposizione, si sono rivolti con una citazione al tribunale civile dell'Aquila, chiedendo una decisione d'autorità. Sara Marcozzi, consigliera grillina e tra i firmatari del ricorso, era fiduciosa: «Il sequestro della Regione Abruzzo ha finalmente i giorni contati». Invece proprio ieri i giudici hanno respinto anche questo attacco, accogliendo in pieno la tesi difensiva: si deve attendere la decisione della Giunta delle elezioni.Il problema è che la decisione tarda ad arrivare, visto che la Giunta si è insediata soltanto il 18 luglio. E Maurizio Gasparri, che ne è appena divenuto presidente per Forza Italia, dice alla Verità che «al momento siamo appena all'insediamento, all'avvio dei lavori». Insomma, al momento non c'è nemmeno un calendario che stabilisca quando il caso D'Alfonso sarà trattato a Palazzo Madama. È vero che dopo il 4 marzo le difficoltà nel varo del governo hanno fatto temere che la XVIII legislatura potesse essere la più breve della storia repubblicana. Ma di certo, tra i nuovi parlamentari, D'Alfonso non è stato l'unico a trovarsi nell'obbligo di scegliere tra due cariche: è toccato anche ad altri quattro consiglieri regionali in Calabria, Campania ed Emilia Romagna (due eletti per Forza Italia e uno a testa per il Pd e per Fratelli d'Italia), e tutti hanno regolarmente firmato le dimissioni dai rispettivi consigli. Nell'assemblea regionale abruzzese, invece, le cose sono andate diversamente. Un'istanza d'incompatibilità nei confronti di D'Alfonso, presentata dalle opposizioni, è stata respinta lo scorso 8 maggio perché la maggioranza di centrosinistra ha accolto la tesi del governatore: lo status ufficiale di senatore scatta solo dopo la convalida da parte della Giunta delle elezioni. Quella votazione è stata criticata perfino dall'ex presidente della Corte costituzionale, Antonio Baldassarre: «Mi pare che al fatto già grave dell'indiscussa incompatibilità», ha dichiarato il giurista, «si aggiunge la pretesa di superare i dettami della Costituzione e si stabilisce addirittura un principio con essa palesemente contrastante. Confinerei questo atto nell'illegalità: si ha l'ardire, con una delibera di consiglio regionale, di superare una norma fondamentale dello Stato».Impassibile, D'Alfonso al Senato siede in commissione Finanze e tesoro e si dà da fare: ha già presentato sei disegni di legge, su temi ad ampio spettro come il gioco d'azzardo o la panificazone (no, non la pianificazione: proprio la produzione del pane), e una quindicina d'interrogazioni. In Abruzzo, dopo aver investito da governatore «3 miliardi di euro», come ha ricordato in una delle sue ultime apparizioni pubbliche, sta accelerando nel varo di nuovi lavori e cantieri. Sempre secondo Baldassarre, però, «tutti gli atti compiuti nell'esercizio della carica a cui si rinuncia sono illegittimi per il conflitto d'interessi che li inficia e dunque potrebbero essere impugnati».Le polemiche si moltiplicano, il tempo passa, ma l'uomo resta potentemente incollato alle sue due poltrone. Unica concessione, dal giorno stesso della sua seconda elezione D'Alfonso ha annunciato che non sarebbe costato «un solo euro in più» al contribuente e finora in effetti ha rinunciato all'indennità parlamentare. Una scelta generosa? No, anche questa espressamente obbligata dalla legge (per la cronaca, la n. 56 del 2014 sugli enti locali), che stabilisce il divieto di cumulo: «Fino al momento dell'esercizio dell'opzione», recita la norma, «non spetta alcun trattamento per la carica sopraggiunta». Almeno quello…