
Su Twitter, il profilo dei metalmeccanici della Cisl rilancia un articolo integrale della Verità preso da un sito che diffonde illegalmente i contenuti della carta stampata. Un piccolo episodio, che però conferma i danni della visibilità a tutti i costi.La vecchia storia del sindacato in crisi è arcinota. Basti pensare che, come rivela l'indagine realizzata dall'Istituto Demoskopika pubblicata ai primi di settembre, le tessere mancanti nell'ultimo triennio sono state quasi mezzo milione. Un tracollo che ha colpito in misura maggiore la Cgil (-285.000 iscritti) e la Cisl (-188.000). Esaminare le cause di questa debacle richiederebbe uno spazio ben più ampio rispetto a queste poche righe. In tema di possibili soluzioni, invece, la tendenza riscontrata negli ultimi anni nel disperato tentativo di tamponare l'emorragia di iscritti, è stata quella di costruire intorno a queste strutture un'immagine più «smart». A volte, però, a voler essere a tutti costi al passo con i tempi, si commettono dei clamorosi scivoloni. È quanto successo in questi giorni all'ufficio stampa Fim Cisl e al segretario nazionale, Marco Bentivogli. Diffondendo su Twitter la versione integrale di un articolo pubblicato sabato sulla Verità, scaricato peraltro da una fonte illecita, hanno agito in palese violazione delle norme sul diritto d'autore e in sfregio ai lavoratori del settore giornalistico. Come ogni strumento, anche per i social vale la regola che tutto dipende dall'utilizzo che se ne fa. Susanna Camusso (Cgil) e Annamaria Furlan (Cisl) vantano su Twitter decine di migliaia di follower, ma utilizzano questa piattaforma principalmente per scopi istituzionali. Discorso diverso per Marco Bentivogli, quarantottenne segretario della Fim Cisl, titolare di un account verificato su Twitter (quello con la spunta blu, per capirci) con 15.500 follower e quasi 20.000 tweet. Da questo profilo Bentivogli non svolge solamente, al pari dei suoi colleghi, attività di divulgazione delle tematiche sindacali, ma interagisce spesso con gli utenti, rispondendo a domande, critiche e provocazioni. Eccolo dunque rilanciare i contenuti del think tank ultraliberista Istituto Bruno Leoni, che con le tute blu che rappresenta non si capisce bene cosa abbia a spartire, oppure criticare aspramente i «no euro», fino a rilanciare l'articolo di Famiglia Cristiana con Lilian Thuram che afferma «se fossi italiano mi vergognerei di Salvini». Tutti temi sui quali, giustamente, Bentivogli ha pieno diritto di critica, anche se non è sempre del tutto chiaro quando l'intervento sia a titolo personale e quando invece venga espresso a nome del sindacato. Un altro tema sul quale il segretario della Fim ama discettare è la blockchain, sulla quale ha persino scritto una sorta di «manifesto», pubblicato sul Sole lo scorso agosto. Non c'è che dire, Bentivogli rappresenta la perfetta incarnazione del sindacalista al passo con i tempi.Venendo al merito della questione, l'articolo pubblicato sabato sulla Verità affrontava proprio la tematica della blockchain, nel tentativo di comprendere possibili applicazioni e implicazioni di questa recente tecnologia. Considerato che il nome di Marco Bentivogli viene citato nelle prime righe, l'ufficio stampa del sindacato che rappresenta ha deciso di rilanciare il pezzo sui social. Si può sorvolare sul fatto che l'articolo pubblicato sul nostro quotidiano venga arbitrariamente classificato come «riflessioni dopo il manifesto» di Bentivogli, documento che nel pezzo in realtà viene appena sfiorato. Una leggerezza interpretativa che può essere letta come un veniale peccato di vanità.Più grave, invece, il fatto che il tweet dell'ufficio stampa del sindacato contenga lo screenshot dell'intero articolo, in barba al rispetto della normativa sul diritto d'autore che impedisce la pubblicazione libera del testo solo se non è espressamente riservata. Limitazione che, com'è giusto che sia per ogni opera intellettuale, viene riportata sotto ogni articolo pubblicato sulla Verità (e, più in generale, di ogni quotidiano nazionale). Per la cronaca, il messaggio pubblicato dell'account della sala stampa Fim Cisl è stata prontamente retwittato da Bentivogli.La cosa che lascia sbalorditi, però, è la provenienza della schermata pubblicata. Se si osserva con attenzione l'immagine postata, si può notare che nella filigrana viene riportato un indirizzo internet, che a sua volta rimanda a una pagina Facebook denominata «Edicola free». Già dal nome si intuisce facilmente l'attività di questo spazio, che vanta circa 2.500 like, e promette di fornire «ogni giorno il tuo quotidiano/rivista preferita in pdf gratis». Basta cliccare nel link alla descrizione della pagina, et voilà, il gioco è fatto. L'unico sforzo richiesto è quello di sorbirsi un po' di pubblicità, a volte porno, e si arriva a scaricare la copia del quotidiano o del periodico scelto in un comodo formato leggibile dal cellulare, oppure dal tablet o dal computer. Particolare curioso: nell'avviso fissato in alto, l'amministratore della pagina si scusa per il disagio perché «da sabato 22 a lunedì 24 non sarò a casa quindi non garantisco l'uscita di tutti i giornali». In un altro post, invece, si lamenta del fatto che «mi ci va un sacco di tempo per riuscire a prendere un giornale», in particolare se la prende con L'Eco di Bergamo («non capisco che ci devono infilare in tutte quelle pagine»).Uno dei tanti siti illeciti, che diffondendo già dal primo mattino le copie dei giornali che andrebbero acquistate in edicola oppure online, non solo viola la legge, ma contribuisce alla crisi del settore dell'editoria che negli ultimi cinque anni ha lasciato a terra quasi 3.000 giornalisti e relative famiglie. Non è dato sapere se l'ufficio stampa della Fim Cisl e il suo segretario utilizzino questi strumenti illeciti con regolarità. Di sicuro non rappresenta una prassi onorevole per un istituto che fa della difesa dei lavoratori la sua stessa ragion d'essere.
La sede olandese di Nexperia (Getty Images)
Il governo olandese, che aveva espropriato Nexperia, deve a fare una brusca marcia indietro. La mossa ha sollevato Bruxelles visto che l’automotive era in panne a causa dello stop alla consegna dei semiconduttori imposto come reazione da Pechino.
Vladimir Putin (Ansa)
Il piano Usa: cessione di territori da parte di Kiev, in cambio di garanzie di sicurezza. Ma l’ex attore non ci sta e snobba Steve Witkoff.
Donald Trump ci sta riprovando. Nonostante la situazione complessiva resti parecchio ingarbugliata, il presidente americano, secondo la Cnn, starebbe avviando un nuovo sforzo diplomatico con la Russia per chiudere il conflitto in Ucraina. In particolare, l’iniziativa starebbe avvenendo su input dell’inviato statunitense per il Medio Oriente, Steve Witkoff, che risulterebbe in costante contatto con il capo del fondo sovrano russo, Kirill Dmitriev. «I negoziati hanno subito un’accelerazione questa settimana, poiché l’amministrazione Trump ritiene che il Cremlino abbia segnalato una rinnovata apertura a un accordo», ha riferito ieri la testata. Non solo. Sempre ieri, in mattinata, una delegazione di alto livello del Pentagono è arrivata in Ucraina «per una missione conoscitiva volta a incontrare i funzionari ucraini e a discutere gli sforzi per porre fine alla guerra». Stando alla Cnn, la missione rientrerebbe nel quadro della nuova iniziativa diplomatica, portata avanti dalla Casa Bianca.
Francobollo sovietico commemorativo delle missioni Mars del 1971 (Getty Images)
Nel 1971 la sonda sovietica fu il primo oggetto terrestre a toccare il suolo di Marte. Voleva essere la risposta alla conquista americana della Luna, ma si guastò dopo soli 20 secondi. Riuscì tuttavia ad inviare la prima immagine del suolo marziano, anche se buia e sfocata.
Dopo il 20 luglio 1969 gli americani furono considerati universalmente come i vincitori della corsa allo spazio, quella «space race» che portò l’Uomo sulla Luna e che fu uno dei «fronti» principali della Guerra fredda. I sovietici, consapevoli del vantaggio della Nasa sulle missioni lunari, pianificarono un programma segreto che avrebbe dovuto superare la conquista del satellite terrestre.
Mosca pareva in vantaggio alla fine degli anni Cinquanta, quando lo «Sputnik» portò per la prima volta l’astronauta sovietico Yuri Gagarin in orbita. Nel decennio successivo, tuttavia, le missioni «Apollo» evidenziarono il sorpasso di Washington su Mosca, al quale i sovietici risposero con un programma all’epoca tecnologicamente difficilissimo se non impossibile: la conquista del «pianeta rosso».
Il programma iniziò nel 1960, vale a dire un anno prima del lancio del progetto «Gemini» da parte della Nasa, che sarebbe poi evoluto nelle missioni Apollo. Dalla base di Baikonur in Kazakhistan partiranno tutte le sonde dirette verso Marte, per un totale di 9 lanci dal 1960 al 1973. I primi tentativi furono del tutto fallimentari. Le sonde della prima generazione «Marshnik» non raggiunsero mai l’orbita terrestre, esplodendo poco dopo il lancio. La prima a raggiungere l’orbita fu la Mars 1 lanciata nel 1962, che perse i contatti con la base terrestre in Crimea quando aveva percorso oltre 100 milioni di chilometri, inviando preziosi dati sull’atmosfera interplanetaria. Nel 1963 sorvolò Marte per poi perdersi in un’orbita eliocentrica. Fino al 1969 i lanci successivi furono caratterizzati dall’insuccesso, causato principalmente da lanci errati e esplosioni in volo. Nel 1971 la sonda Mars 2 fu la prima sonda terrestre a raggiungere la superficie del pianeta rosso, anche se si schiantò in fase di atterraggio. Il primo successo (ancorché parziale) fu raggiunto da Mars 3, lanciato il 28 maggio 1971 da Baikonur. La sonda era costituita da un orbiter (che avrebbe compiuto orbitazioni attorno a Marte) e da un Lander, modulo che avrebbe dovuto compiere l’atterraggio sulla superficie del pianeta liberando il Rover Prop-M che avrebbe dovuto esplorare il terreno e l’atmosfera marziani. Il viaggio durò circa sei mesi, durante i quali Mars 3 inviò in Urss preziosi dati. Atterrò su Marte senza danni il 2 dicembre 1971. Il successo tuttavia fu vanificato dalla brusca interruzione delle trasmissioni con la terra dopo soli 20 secondi a causa, secondo le ipotesi più accreditate, dell’effetto di una violenta tempesta marziana che danneggiò l’equipaggiamento di bordo. Solo un’immagine buia e sfocata fu tutto quello che i sovietici ebbero dall’attività di Mars 3. L’orbiter invece proseguì la sua missione continuando l’invio di dati e immagini, dalle quali fu possibile identificare la superficie montagnosa del pianeta e la composizione della sua atmosfera, fino al 22 agosto 1972.
Sui giornali occidentali furono riportate poche notizie, imprecise e incomplete a causa della difficoltà di reperire notizie oltre la Cortina di ferro così la certezza dell’atterraggio di Mars 3 arrivò solamente dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991. Gli americani ripresero le redini del successo anche su Marte, e nel 1976 la sonda Viking atterrò sul pianeta rosso. L’Urss abbandonò invece le missioni Mars nel 1973 a causa degli elevatissimi costi e della scarsa influenza sull’opinione pubblica, avviandosi verso la lunga e sanguinosa guerra in Afghanistan alla fine del decennio.
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Il presidente torna dal giro in Francia, Grecia e Spagna con altri missili, caccia, radar, fondi energetici. Festeggiano i produttori di armi e gli Stati: dopo gli Usa, la Francia è la seconda nazione per export globale.
Il recente tour diplomatico di Volodymyr Zelensky tra Atene, Parigi e Madrid ha mostrato, più che mai, come il sostegno all’Ucraina sia divenuto anche una vetrina privilegiata per l’industria bellica europea. Missili antiaerei, caccia di nuova generazione, radar modernizzati, fondi energetici e contratti pluriennali: ciò che appare come normale cooperazione militare è in realtà la struttura portante di un enorme mercato che non conosce pause. La Grecia garantirà oltre mezzo miliardo di euro in forniture e gas, definendosi «hub energetico» della regione. La Francia consegnerà 100 Rafale F4, sistemi Samp-T e nuove armi guidate, con un ulteriore pacchetto entro fine anno. La Spagna aggiungerà circa 500 milioni tra programmi Purl e Safe, includendo missili Iris-T e aiuti emergenziali. Una catena di accordi che rivela l’intreccio sempre più solido tra geopolitica e fatturati industriali. Secondo il SIPRI, le importazioni europee di sistemi militari pesanti sono aumentate del 155% tra il 2015-19 e il 2020-24.





