Sanzioni beffa: la Cina ci rivende il gas Usa
- Il pagamento in rubli pregiudica le scorte per il prossimo inverno, dove si rischiano blackout. Pechino approfitta della situazione per guadagnarci. E Joe Biden chiosa: «L’emergenza cibo in Europa sarà reale».
- Il G7 e il governo inglese preparano altre sanzioni contro politici e aziende moscovite.
Lo speciale contiene due articoli
Sono passate 48 ore da quando Vladimir Putin ha deciso di muovere le sue pedine e tentare di disinnescare le sanzioni sul gas. Il numero uno del Cremlino ha dato mandato alle principali società, in testa Gazprom, di far modificare i contratti di vendita dell’oro azzurro in modo da sostituire il dollaro con il rublo. Alla sola notizia la valuta è schizzata, idem il prezzo del gas e ieri, con la riapertura della Borsa di Mosca, pure i titoli azionari del comparto. Gli esperti del comparto sanno bene che con la guerra in corso si aprono due fronti. Il primo è tecnico e riguarda le società coinvolte. Esiste infatti una piattaforma legale a cui potranno rivolgersi per un eventuale arbitrato e si chiama Energy charter treaty. A contratti in corsa è difficile cambiare valuta e potrebbero esserci importanti penali. Ieri, in scia a quanto sostenuto dai tedeschi, Mario Draghi ha dichiarato che sostituire dollari con rubli è una violazione dei contratti. Vero, sicuramente. Ma in questi momenti prevale però la componente politica con i suoi tempi di risoluzione decisamente più ravvicinati.
Per politica intendiamo il fatto che la Russia abbia scatenato la guerra e l’Europa sta rifornendo di armi l’Ucraina. Il che rende gli arbitrati tra società inutili. E questo è il secondo fronte aperto da Mosca, fronte che gli analisti di materie prime tengono in forte considerazione. L’effetto della scelta unilaterale di Putin serve quindi a mettere nell’angolo i compratori europei. Dal momento che Fed e Bce hanno congelato le riserve russe in valuta estera, i Paesi Ue si troveranno a fornire una nuova camera di compensazione per rifornirsi di rubli e quindi implicitamente rafforzeranno la valuta, oppure rallenteranno o cesseranno gli acquisti. Mosca sa bene che così facendo verrà compromessa l’attività di stoccaggio fondamentale per gestire l’ingresso nella primavera e per le aste estive. In pratica rischiamo di pagare molto più di ora il gas che servirà per riempire gli stock primaverili e, se nulla cambierà, anche quelli agostani.
L’alternativa sarà quella di non avere scorte sufficienti. Condannandoci a un inverno di razionamenti e blackout programmati. E non si tratta di uno scenario campato per aria. Tanto più che il primo step (aumento prezzi) è già reale. Un danno a cui si aggiunge anche la beffa. L’Europa si sta già rivolgendo altrove per rifornirsi. Ma a venderci il gas Usa non sono solo gli americani, pure i cinesi che, per non farci mancare nulla, ci mettono sopra pure il margine aggiuntivo.
Unipec, controllata della cinese Sinopec ha venduto ben tre gasiere ad acquirenti presenti in altrettanti porti Ue. Le spedizioni, il cui arrivo è previsto ai primi di giugno, sono organizzate da Venture global e partiranno dalla Louisiana. Il gioco è molto semplice. Se fino a oggi l’Europa godeva di uno sconto rispetto al mercato asiatico perché nelle trattative faceva valere la qualità e il prezzo basso del gas russo, adesso il Vecchio Continente tiene il coltello dalla parte della lama.
La rottura con la Russia ha nei fatti innescato un guerra al gas che rischia di arricchire non solo gli americani ma anche cinesi e altri player asiatici che negli ultimi tempi avevano fatto man bassa di contratti di gas naturale liquido. Qui si inserisce la proposta di Joe Biden, che sarà discussa meglio oggi, di sostituire i 50 miliardi di metri cubi di gas attualmente forniti dalla Russia con forniture alternative. L’Ue è sottoposta a forti pressioni affinché estenda l’embargo all’energia russa come fatto da Washington e Gran Bretagna ma il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha spiegato che uno stop immediato provocherebbe una recessione nel Vecchio Continente. D’altronde la spirale prezzi materie prime e inflazione era già prevedibile prima. Adesso con il carico da undici imposto dall’invasione dell’Ucraina l’economia europea traballerà a lungo. I desideri della politica non possono certo piegare la realtà del mercato. Lo spiega bene Mike Yarwood, ricercatore senior presso l’Oxford Institute for energy studies, in un suo recentissimo paper. L’Europa dovrà prepararsi a pagare prezzi del gas più alti nei prossimi anni per raggiungere gli obiettivi del piano. La capacità di import di Gnl è concentrata nella penisola iberica ma la Spagna ha scarsi collegamenti via pipeline per spostare il gas importato nel nord Europa. Le nazioni dell’Europa orientale più fortemente dipendenti dal gas russo non hanno le infrastrutture per beneficiare delle importazioni di Gnl con terminali vicini già operativi a pieno regime, il che significa che avrebbero difficoltà ad aumentare ulteriormente le importazioni.
Un discorso simile vale anche per l’Italia. Restano dunque due strade. O gli Stati Uniti garantiranno una sorta di piano Marshall dell’energia. Cioè gli extra costi generati dalla domanda saranno versati dalle casse pubbliche Usa oppure l’economia Ue cadrà vittima dei blackout. Poco importa che al piano si unisca pure il Canada. E che magari in futuro si possa trovare una soluzione per rendere la Libia un partner stabile da cui comprare energia a buon prezzo.
Il terzo incomodo resta la Cina o più in generale l’Asia. Un parte del mondo che sta dimostrando di sapersi giocare le carte nel migliore dei modi.





