2018-12-16
Il reddito grillino s’ispira ai tedeschi. Che adesso però non lo vogliono più
Dopo la riduzione del deficit di bilancio, ancora scintille tra Lega e 5 stelle per il sostegno di cittadinanza. Il Paese che lo ha creato pensa di metterlo al bando. Le conseguenze sono povertà crescente e disagio sociale.Mentre tra Giancarlo Giorgetti, numero due della Lega, e Luigi Di Maio, proseguono le scintille sul reddito di cittadinanza, il premier, Giuseppe Conte, torna dalla Germania senza incassare un particolare sostegno da parte di Angela Merkel. Lasciando aperta comunque la porta a un possibile crescendo delle relazioni bilaterali con i successori della Cancelliera. Il rapporto però tra Italia grillina e Germania resta però improntato alla confusione. Il governo italiano in missione a ottobre a Berlino avrebbe rivelato di ispirarsi al modello tedesco in vigore da 15 anni per l'adozione del controverso reddito di cittadinanza. Ma a grandi linee come funziona il sistema sociale in Germania? Bisognerebbe introdurre l'argomento citando come il precedente sistema tedesco di sussidi sociali sia stato riformato tra il 2002 e il 2004 dal secondo governo del Cancelliere socialdemocratico Gerard Schröder, all'epoca composto dai socialisti della Spd e dai verdi. Prima della riforma esisteva in Germania un sussidio unico per i disoccupati che consisteva nell'erogazione da parte dello Stato per un periodo massimo di 36 mesi di una somma corrispondente al 60% dell'ultimo salario netto percepito dal lavoratore, prima di andare in disoccupazione. Con la riforma dei sussidi pubblici per i senza lavoro, il governo Schröder decise al tempo stesso di limitare il sussidio di disoccupazione da 36 fino a un massimo di soli 12 mesi per chi avesse lavorato per almeno un anno prima di perdere il posto, ed al tempo stesso di creare ex novo un secondo sostegno economico, in verità sarebbe corretto denominarlo reddito minimo garantito, per chi avesse lavorato meno di un anno e non avesse avuto le risorse economiche necessarie per poter condurre un'esistenza considerata dignitosa. Per essere precisi, la misura in questione viene tuttora elargita anche a chi, scaduto il periodo massimo di 12 mesi nel quale è lecito ricevere il sussidio di disoccupazione, non abbia nel frattempo trovato un'occupazione. Quelle furono le fantomatiche riforme Hartz, dal nome del consigliere politico di Schröder, che prima dell'incarico era consigliere d'amministrazione della Volkswagen. In tutto furono quattro diverse leggi che modificarono in profondità non solo il sistema dei sussidi, bensì l'intero mondo del lavoro tedesco, e che sono tuttora in vigore. Sulla figura del controverso Peter Hartz sarebbe il caso di scrivere un articolo a parte, soffermandosi in special modo sulla sua condanna a due anni con condizionale unita a una multa di circa mezzo milione di euro per un suo giro di tangenti a manager e perfino di procacciamento di prostitute per oliare (diciamo così) i delicati affari aziendali, ma purtroppo il tempo è tiranno. Per curiosità del lettore basti sapere che il riformatore Hartz venne accusato di 44 capi d'imputazione, tra cui anche quello di aver messo a conto dell'azienda il pagamento di numerosi barattoli di Viagra da fornire ai manager per le loro prestazioni sessuali. Come accennato sopra, le riforme «di sinistra» vennero intitolate in suo onore, prima però che scoppiassero le grane giudiziarie. In particolare il reddito minimo garantito è ancora oggi conosciuto al grande pubblico in Germania come Hartz IV. Esso consiste nell'erogazione di 424 euro mensili, con l'aggiunta della copertura di alcune spese domestiche come l'acqua, il gas, perfino l'affitto senza però la bolletta elettrica, i cui costi continuano ad essere sostenuti dal destinatario. Oltre a questo lo Stato tedesco per tutta la durata della sovvenzione paga l'assicurazione sanitaria, che in Germania è privata, e anche il canone della tv, che oltre il Brennero è molto più costoso che in Italia. In cambio il ricevente si impegna a valutare le offerte di lavoro che il suo consulente (in tedesco Berater) sottopone. La proposta grillina di obbligare per legge i destinatari a lavorare 8 ore alla settimana in campi sociali e non solo, semplicemente non esiste in Germania. Come descritto sopra, il ricevente valuta le offerte di lavoro assieme al suo Berater, deve se necessario frequentare corsi di formazione, ma non sussiste in nessun caso l'obbligo di lavorare per il Comune di residenza, per dirne una, a titolo praticamente gratuito. Anche il mito, spesso presente nell'immaginario italiano, secondo il quale in Germania chiunque prenda il reddito minimo garantito possa rifiutare al massimo tre offerte di lavoro, pena riduzione o perdita del sussidio, regge fino a un certo punto. Tant'è vero che ancora adesso vi sono nel Paese considerato il più ricco d'Europa qualcosa come 800.000 disoccupati cronici, ossia da almeno cinque anni. A ogni modo il lato nascosto, ergo con tutta probabilità sconosciuto ai grillini, dell'Hartz IV cui vorrebbero ispirarsi è che in Germania da diverso tempo c'è un dibattito molto forte sulla valutabilità o meno della sua totale abolizione. Perfino settori della Chiesa cattolica tra cui la Caritas e dello stesso partito socialdemocratico, che l'ideò, ne vorrebbero la cancellazione definitiva. I motivi principali? Povertà crescente, disagio sociale, uffici statali che spesso violano la privacy dei cittadini, dipendenze da alcool e droghe e soprattutto l'esistenza di una vasta area di milioni di lavoratori a salari bassi. Quest'ultimo punto si è verificato dal momento che dopo anni di assistenza pubblica essi non sono riusciti ancora a trovare un'occupazione migliore, anche a causa della nomea negativa dell'Hartz IV da parte delle aziende. L'ignaro Di Maio rischia dunque di arrivare in ritardo con la storia, visto che il Paese di riferimento per le riforme da anni sta pensando seriamente di abbandonare il controverso esperimento sociale.
Il palazzo dove ha sede Fratelli d'Italia a Parma
Marcello Degni. Nel riquadro, Valeria Franchi (Imagoeconomica)
Giuliano Pisapia, Goffredo Bettini, Emma Bonino e Anna Paola Concia (Ansa)