2019-04-20
Il prestito ad Alitalia diventa eterno. Per Atlantia nozze più convenienti
Un comma al decreto Crescita cancella la data del 30 giugno per restituire 900 milioni al Tesoro. Danilo Toninelli prende tempo, mentre avanzano le trattative per fare entrare il gruppo sotto accusa per il ponte Morandi.Il testo del decreto Crescita è letteralmente secretato e in via di costruzione. Viaggia ancora tra il Mef, il ministero di Giovanni Tria, il Mise, dove se ne occupa Vito Cozzoli, e il ministero dei Trasporti affidato a Danilo Toninelli. Ieri il Sole 24 Ore ha svelato una manovra tutta dedicata ad Alitalia. «Il governo», scrive il quotidiano di Confindustria, «cancella il termine del 30 giugno prossimo per la restituzione del prestito di 900 milioni di euro concesso dal ministero dell'Economia ad Alitalia dopo il commissariamento». Dopo tre proroghe, il governo ha deciso di abolire la scadenza che era stata fissata «non oltre il termine 30 giugno 2019», nel decreto semplificazioni del dicembre scorso. La novità è prevista nelle prime bozze del decreto legge Crescita, nell'articolo 38, la norma «volta a consentire l'eventuale ingresso del Mef nel capitale sociale della newco Nuova Alitalia». In pratica, la norma prevede che il Mef possa usare i proventi degli interessi sul prestito, «stimati in 145 milioni», per sottoscrivere quote di capitale dell'ipotizzata «nuova Alitalia», la società che verrà costituita se avrà successo il progetto delle Ferrovie dello Stato con altri soci per comprare l'aviolinea commissariata (finora le adesioni sono insufficienti, limitate al 60% del capitale della «newco», incluso il 15% del Mef). Il testo è ancora in via di definizione, e viene il dubbio che il Mef abbia volutamente fatto trapelare la notizia, forse nel tentativo di bloccarla. Dietro il comma aggiuntivo - che in pratica rischia di far diventare il prestito un regalo a tempo indeterminato (e pure un potenziale aiuto di Stato agli occhi dell'Ue) - ci sarebbe la mano del ministero dei Trasporti. Il quale sa benissimo che nulla di decisivo potrebbe accadere prima della data del 30 giugno, che diventerebbe appunto una tagliola in grado di mandare al tappeto tutte le promesse dei 5 stelle sull'ex compagnia di bandiera. E soprattutto - bene ribadirlo - Alitalia si ritroverebbe di fatto con 900 milioni pubblici in pancia. Il che non solo indigna che odia l'idea di regalare soldi dei contribuenti, ma aprirebbe una serie di tematiche pruriginose nel caso in cui Atlantia dovesse diventare azionista della compagnia di bandiera. Nonostante le smentite, l'ad Giovanni Castellucci non avrebbe chiuso del tutto la porta. Se è vero che il cda non ha affrontato il dossier, allo stesso modo la holding è stata invitata dagli advisor che si occupano del tema a dare uno sguardo approfondito alla questione. «La stessa controllata Aeroporti di Roma ha avuto diversi incontri operativi con Fs e i suoi consulenti, soprattutto per dare una propria chiave di lettura riguardo a quelli che potrebbero essere gli interventi sui costi da inserire nel nuovo piano industriale di Alitalia». In pratica, immaginiamo che il ministero guidato da Toninelli dopo aver riversato ogni tipo di accusa su Atlantia e Autostrade (a seguito del crollo del ponte Morandi) oggi la corteggi per togliere le castagne dal fuoco. E perché dovremmo mai regalare a Fs-Atlantia 900 milioni di soldi pubblici? La domanda è retorica: c'è anche chi la pensa diversamente. «Non so se sia possibile costringere Atlantia a intervenire in Alitalia: nove mesi fa si sarebbero messi a disposizione, oggi bisogna convincerli, entreranno solo se gli conviene. La moral suasion va esercitata al momento opportuno, ora non esiste più», ha sottolineato ieri Edoardo Rixi, viceministro delle infrastrutture e dei trasporti, leghista, che alle agenzie ha sottolineato come sulla situazione della compagnia aerea «ci avevano raccontato che c'era una interlocuzione di Delta e poi si è scoperto che non li avevano neanche sentiti, ci avevano raccontato che avevano risolto» i problemi «e invece non li hanno risolti». Su Atlantia - aggiunge - bisognava «intervenire il giorno dopo la caduta del ponte Morandi ricordando la loro responsabilità sociale ma i 5 stelle vanno avanti solo con la magistratura. Con il processo ci vedremo fra 15 anni, loro hanno i migliori avvocati, e se Atlantia esce dal processo senza condanna il rischio è che non facciano più niente». Insomma, il caos attuale spiega la manina intervenuta sul decreto Crescita. A meno di modifiche nel testo finale del decreto, che sarà esaminato il 24 aprile dal Consiglio dei ministri, non c'è più una data fissa entro la quale i 900 milioni devono essere restituiti allo Stato. La bozza stabilisce che i 900 milioni del «prestito ponte» saranno restituiti al Mef «nell'ambito della procedura di ripartizione dell'attivo dell'amministrazione straordinaria a valere e nei limiti dell'attivo disponibile di Alitalia - Società aerea italiana Spa in amministrazione straordinaria». Giusto per ribadire il concetto di bad company, che in Italia diventa una coazione a ripetere.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)