2019-11-23
Il premier si fa scudo con i pm.
Sull’Ilva è trattativa sugli esuberi
Nella notte incontro a Palazzo Chigi con i Mittal (padre e figlio). Conte vuol sfruttare il pressing delle procure: «L'esecutivo non può accettare il disimpegno». E mette sul piatto anche la possibilità di 2.500 ricollocamenti.Le testimonianze dei dirigenti, che saranno presentate all'udienza del 27 novembre:«Approvvigionamenti sospesi in estate. A novembre stop agli ordini dei clienti».Lo speciale contiene due articoli«Sull'Ilva non possiamo accettare che ci sia un disimpegno per quanto riguarda i passaggi contrattuali, gli impegni sono quelli: ci venga detto chiaramente qual è la posizione di Mittal e da lì partiremo», ha detto il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, prima di avviarsi all'incontro con i vertici dell'azienda francoindiana. Cercando di dire un po' tutto e il contrario di tutto, confermando in ogni caso la volontà di avviare una trattativa per riportare Arcelor a riattivare i forni e l'intera linea produttiva. «Per quanto riguarda l'iniziativa di tutela giudiziaria», ha spiegato il premier, «se ci viene garantita la disponibilità a rispettare gli impegni», il governo ne prenderà atto volentieri, dato che «non abbiamo promosso noi per primi la battaglia giudiziaria. Che è una perdita per tutti. È stata promossa dal signor Mittal ma noi reagiamo adeguatamente». Poi si è defilato. Con lui il ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri che ha più di una volta incontrato l'ad di Arcelor Mittal Italia, Lucia Morselli, e a seguire il titolare dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli. Per l'azienda l'amministratore delegato Lakshami Mittal e il figlio, Aditya, in qualità di direttore finanziario. La premessa di Conte, annunciata per giunta ieri mattina, è stata relativa ai temi legali. «Con Arcelor Mittal si può iniziare a trattare se l'azienda annuncerà la sospensione della procedura di revoca dal contratto sull'ex Ilva avviata in tribunale», avrebbe fatto sapere Conte. Idem sui posti di lavoro. Il governo sembra disposto ad aprire ma non vuole perdere la faccia. Verso gli elettori e verso i partiti di maggioranza pronti a sparare alle spalle. Basti pensare al fuoco amico lanciato ieri da Teresa Bellanova, ministro renziano alle Politiche agricole: «Mi aspetto che il ministro Patuanelli possa acquisire la disponibilità da parte dell'azienda e da parte di tutti i componenti della maggioranza, di portare avanti un confronto che punti a ristabilire le questioni partendo dall'accordo che era stato sottoscritto», ha detto, aggiungendo che «non si può parlare di esuberi, non si deve parlare di altra strumentazione di sostegno al reddito, ma si deve parlare di piano industriale e di piano ambientale. Le due cose viaggiano insieme. Se si blocca l'Ilva non solo vengono meno 5 miliardi e 300 milioni di investimento ma si crea nella città di Taranto un cimitero a cielo aperto». Insomma, la via che ieri il governo ha prospettato nel lunghissimo incontro con i francoindiani è molto stretta. Far tornare lo scudo penale e avviare assieme a Mittal il rilancio della città dentro il perimetro di un progetto più grande in grado di coinvolgere anche le partecipate pubbliche. Dentro questo progetto potrebbero finire tra i 2.500 e i 3.000 operai a oggi in carico ad Arcelor. Il governo si farebbe carico in via temporanea del calo della produzione con uno sconto sugli affitti e sui contratti correlati. Un grande favore ai Mittal che comunque ieri hanno assaggiato la morsa della Procura, di cui il governo sta assaporando i vantaggi. Ieri infatti la tensione giudiziaria è salita di grado. Con la diffusione degli interrogatori dei dirigenti che puntano il dito sull'ad Morselli e sulla decisione già da luglio di avviare lo stop ai forni. I commissari che hanno trascinato Arcelor in giudizio hanno definito la scelta unilaterale di avviare il fermo degli altiforni un atto minatorio, mentre i pm hanno invitato espressamente l'azienda a sospendere l'iter di spegnimento fino a che non ci sarà stata la prima udienza, cioè fino al 27 novembre. I magistrati ci hanno tenuto a specificare che si tratta di un semplice invito e non di una imposizione, ma i i vertici di Arcelor Italia hanno subito fatto sapere con una nota ufficiale (non parlavano apertamente da oltre una settimana) di voler accogliere l'invito. Il governo non può certo permettersi di andare in causa e di affidarsi totalmente alla magistratura, sebbene politicamente abbia già abdicato al proprio ruolo di decision maker, lasciando ai pm il compito di dare la linea. Al tempo stesso sa che se non c'è un asso nella manica (e non esiste nessun nuovo investitore) dovrà trovare un via di uscita che gli consenta di non perdere la faccia e permetta ai franco indiani di tornare a Taranto senza a loro volta perdere la faccia. E qui infatti si inserirebbe il piano di rilancio della città. In pratica Arcelor si riprende lo stabilimento e l'acciaieria, parte degli esuberi viene riassorbita in una newco che si occuperà del porto e della città sotto l'ombrello di un progetto coordinato da Cdp e dalle altre partecipate. Almeno questi sarebbero i desiderata della politica. Che ieri sera ha fatto capire anche ai commissari che la partita si gioca tutta a Palazzo Chigi. Claudio Antonelli <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-premier-si-fa-scudo-con-i-pm-sullilva-e-trattativa-sugli-esuberi-2641436104.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="le-testimonianze-dei-dirigenti-che-saranno-presentate-alludienza-del-27-novembre-approvvigionamenti-sospesi-in-estate-a-novembre-stop-agli-ordini-dei-clienti" data-post-id="2641436104" data-published-at="1758133416" data-use-pagination="False"> Le testimonianze dei dirigenti, che saranno presentate all’udienza del 27 novembre:«Approvvigionamenti sospesi in estate. A novembre stop agli ordini dei clienti» Altro che richiesta di ripristino dello scudo penale, la fuga di Arcelor Mittal dall'Ilva di Taranto non sarebbe altro che uno «strumentale» disimpegno economico dell'imprenditore indiano Lakshimi Mittal di fronte a risultati economici al di sotto delle aspettative dello scorso anno. È quanto scrivono nero su bianco i magistrati milanesi - Maurizio Romanelli, Stefano Civardi e Mauro Clerici - in dieci pagine dove chiedono al tribunale civile di «accogliere» il ricorso d'urgenza dei commissari dell'Ilva per il risarcimento danni. Secondo i pm, infatti, «lo stato di crisi di Arcelor Mittal Italia, essendovi pericolo di diminuzione delle garanzie patrimoniali per il risarcimento di eventuali danni, rende ancor più necessaria e urgente una pronuncia giudiziale che imponga» ad Arcelor Mittal «di astenersi dalla fermata degli impianti e di adempiere fedelmente e in buona fede alle obbligazioni assunte». Nel documento vi sono le testimonianze dei dirigenti di Arcelor Mittal Italia Salvatore De Felice, Sergio Palmisano e Giuseppe Frustaci, sentiti pochi giorni fa in Procura a Milano. In azienda era chiaro sin da luglio che il gruppo franco-indiano avesse deciso di abbandonare Taranto. «Sono in grado di comunicare quando la società ha cessato gli approvvigionamenti aprendo il mio computer», ha spiegato De Felice, che ha portato ai magistrati i documenti dell'azienda. «Il 10 luglio 2019 a seguito di una tromba d'aria sulla banchina del porto di Taranto, una gru era finita in mare con a bordo l'operatore (morì il 31enne Cosimo Massaro, ndr). Da quel momento l'approvvigionamento è stato reso più difficoltoso, non potendosi più utilizzare il IV sporgente. Le macchine in sostituzione di quelle danneggiate non sono ancora state comprate. Questo ha comunque reso più difficoltoso lo scarico e in alternativa è stato utilizzato il porto pubblico e il trasporto su ruota delle materie prime[…] ». Non solo. De Felice ha aggiunto che ai primi di novembre l'amministratore delegato, Lucia Morselli, aveva spiegato «in un incontro con i dirigenti e quadri che aveva fermato gli ordini, cessando di vendere ai clienti». Ma come si è potuti arrivare fino a questo punto? A spiegarlo è Palmisano, che oltre a ricordare che la chiusura degli alti forni comporta sempre dei danni, «l'entità dei quali si può verificare solo quando si riparte», ha raccontato l'ultimo anno sotto la gestione di Arcelor Mittal. «Siamo partiti con grande entusiasmo nel novembre del 2018», inizia Palmisano. «Il primo trimestre non è andato bene, ma comprensibilmente, stante le difficoltà nel processo di integrazione con Arcelor Mittal, il secondo doveva segnare il pareggio ed è andato invece peggio del primo, secondo l'amministratore delegato Matthieu Jehl per motivi di contingenza di mercato, ma anche di risultati operativi in termini di qualità e di volumi. La causa principale del rallentamento della produzione era imputabile all'acciaieria che non riusciva a smaltire la ghisa prodotta». Più passano i mesi, più la situazione peggiora. I manager stranieri chiedono la cassa per 1.300 lavoratori. «Il terzo trimestre è stato peggiore anche del secondo e a detta di Jehl dovevamo recuperare 140 milioni, con taglio del personale con cassaintegrazione guadagni». Infine, «Il quarto trimestre sarà difficilissimo perché a seguito del piano di fermata è sostanzialmente tutto fermo, abbiamo disdettato gli ordini». Frustaci, a questo proposito, ricorda il caso polacco: «Ci fu detto dal ceo Europa del gruppo (Gert Van Poelvoorde) che analoghe misure di ridimensionamento degli impianti produttivi, in termini soprattutto di "fermata degli stabilimenti" erano state prese in altri Paesi, ad esempio, in Polonia, nello stabilimento di Cracovia». Alessandro Da Rold
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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