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2018-09-02
Il pompiere Tria rassicura i mercati: «Rispetteremo gli impegni europei»
Ansa
«Non bisogna tener conto di presunte intenzioni, ma solo dei fatti: mercati e agenzie di rating saranno presto convinti e rassicurati dalle azioni concrete del governo». Lo dice da Shanghai il ministro dell'Economia e delle finanze Giovanni Tria, imperturbabile davanti al giudizio di Fitch sull'Italia. La minaccia dell'agenzia di rating si è concretizzata venerdì sera: non ha abbassato il voto dell'Italia confermando il rating BBB, appena due gradini sopra i titoli spazzatura, ma ha abbassato l'outlook, ovvero le prospettive, da «stabili» a «negative», citando il rischio che i provvedimenti promessi dall'esecutivo sull'alleggerimento fiscale possano spingere fuori controllo i saldi di bilancio.
Gli esperti Fitch hanno parlato anche di un rischio elezioni anticipate, probabilmente al 2019 poiché dagli Usa non capiscono come si possa comporre lo «scontro» in atto tra le due anime della maggioranza. Negativo inoltre il giudizio sul decreto Dignità: «Avrà probabilmente un effetto limitato sulle dinamiche del mercato del lavoro ma revisioni delle precedenti riforme strutturali, compresa quella delle pensioni, potrebbero avere un impatto moderatamente negativo sulla crescita a medio termine e sulla finanza pubblica».
E se Palazzo Chigi aveva sottolineato la necessità di aspettare il documento di economia e finanza e l'attuazione delle riforme strutturali, Tria incontrando i giornalisti nell'ultima tappa della sua missione in Cina è andato nel dettaglio: «Vedo il mantenimento del rating da parte di Fitch, e il rinvio di quello di Moody's, come una corretta sospensione di giudizio in attesa di vedere le azioni del governo» ha sottolineato il ministro. «Poiché il programma di governo che si sta mettendo a punto risponde alle linee che sono già state più volte espresse ufficialmente, sia dal presidente del Consiglio sia da me, sia in giugno che ad agosto, al termine di una riunione con i due vicepresidenti Matteo Salvini e Luigi Di Maio, e che delineano i confini di bilancio su cui si sta lavorando. Evidentemente questo non ha convinto perché erano dichiarazioni. Ma adesso che le azioni nelle prossime settimane si tradurranno in documenti ufficiali del governo, io penso che questi giudizi verranno corretti e verranno corretti in senso positivo, poiché di fatto sono giudizi che non si basano su situazioni di fatto, ma si basano su attribuzioni di intenzioni che evidentemente differiscono dalle intenzioni dichiarate dal governo», ha ribadito il ministro.
Gli impegni che lo attendono in Italia sono la nota di aggiornamento al Def a fine settembre, il documento che riassume gli impegni di bilancio per i prossimi anni, e a seguire la legge di Stabilità. Insomma, una rassicurazione da parte di Tria ai dubbi degli analisti e dei mercati che si traducono con l'innalzamento dello spread per il timore che Lega e M5s provino a sfondare il rapporto tra deficit e Pil gonfiando ancora il debito per finanziare alcuni capitoli fondamentali del loro contratto di governo. «Manterremo l'equilibrio di bilancio non perché lo impone l'Europa, ma perché ce lo chiedono i mercati finanziari che non è una dichiarazione astratta. Il deficit significa chiedere prestiti e chiedere prestiti è anche una cosa legittima ma bisogna trovare chi il prestito è disposto a darlo e a quali condizioni», ha ribadito il titolare del Mef, aggiungendo: «Abbiamo impegni europei e vanno rispettati».
Il rapporto fra deficit e Pil è uno dei temi caldi che stanno alimentando le tensioni nella maggioranza. Il vicepremier pentastellato Luigi Di Maio lo vorrebbe più vicino possibile alla soglia limite del 3% per avviare il reddito di cittadinanza, mandando così in soffitta l'impegno preso dal governo Gentiloni con Bruxelles di ridurlo allo 0,8%. Secondo alcune indiscrezioni, per il 2019 il Mef vorrebbe mantenersi intorno all'1,5-1,6%, mentre altri componenti del governo vorrebbero salire almeno fino all'1,8%. Da questo calcolo però potrebbero essere escluse le spese per mettere in sicurezza il Paese: il sottosegretario leghista Giancarlo Giorgetti ha ribadito che il tetto si può sforare per realizzare opere di questo tipo. Ipotesi smentita dal commissario europeo Pierre Moscovici, che, in un'intervista al Sole 24 Ore, ha detto che l'Italia non potrà ottenere flessibilità. Anche in questo caso, Tria è stato attento a non alzare troppo i toni, tanto da esprimere apprezzamento per le «parole gentili» di Moscovici, che recentemente, lo ha definito «un interlocutore serio e ragionevole». «Moscovici ha riferito di un rapporto del tutto tranquillo di dialogo con la Commissione Ue che non è mio personale. Bisogna sempre ricordare che quando parlo con Moscovici e con gli altri componenti della Commissione, parlo come ministro dell'Economia e quindi parlo a nome del governo», ha detto Tria.
Il titolare del Mef ha poi ribadito: «L'essenza del problema è questo: se si vuole comperare una casa, si chiede un mutuo e chi lo concede si fida che verrà restituito, pagando le rate; ma se si chiede il prestito per andare nei ristoranti è più complicato. L'Italia non ha mai usato i soldi per gozzovigliare. A volte, i mercati internazionali sono distratti. A volte leggono, invece di fare analisi attente. Guardano un po' i titoli sui giornali e pensano che in Italia ci sia la finanza allegra».
Per sostenere questa tesi con i dati e non con le parole, il ministro ha ricordato che «sono 20 anni che l'Italia ha un surplus primario, caso unico in Europa. Abbiamo un debito che viene da lontano. L'Italia ha partecipato agli aiuti ad altri Paesi europei che si sono trovati in difficoltà, ma non ha mai ricevuto o richiesto un solo euro a sostegno delle proprie finanze. È stato un comportamento generalmente virtuoso che passa attraverso vari governi, quindi non sto prendendo parte politica. Forse uno scatto d'orgoglio della stampa nazionale su questo sarebbe necessario». «Queste cose le abbiamo spiegate anche ai nostri interlocutori cinesi e ci siamo accorti che erano quasi sorpresi, ma questi sono i fatti».
Il titolare di Via XX settembre ha poi terminato dicendo: «La discontinuità con il governo precedente non sta nel far saltare i conti pubblici ma nel cambiare le politiche, che in ogni caso devono esse portate avanti nell'ambito di un equilibrio di bilancio».
Sarina Biraghi
Fitch sgrida l’Italia ma da anni perdona Francia e Spagna
Bocciatura con riserva. È questo, in estrema sintesi, il giudizio che Fitch ha emesso venerdì nei confronti dell'Italia, come spiegato dalla Verità di ieri. L'agenzia di rating, pur confermando il livello BBB già assegnato in precedenza, ha modificato l'outlook (cioè la prospettiva) da «stabile» a «negativo». Ciò significa che nell'immediato futuro il nostro rating potrebbe andare incontro a un «downgrade», vale a dire a un peggioramento. Il nostro debito sovrano si trova in questo momento a due scalini dal girone dantesco dei «titoli spazzatura». Se dovesse ritrovarcisi, Roma farebbe fatica a finanziarsi in quanto il nostro Paese non sarebbe più considerato affidabile.
Pericolo scampato per alcuni, preoccupante monito per altri. Un declassamento a meno di 100 giorni dall'insediamento avrebbe rappresentato per l'esecutivo guidato da Giuseppe Conte un colpo potenzialmente letale. Ma, al tempo stesso, sarebbe stato una conferma per quanti sostengono la tesi di un possibile attacco speculativo nei confronti del nostro Paese, simile a quello che nel 2011 causò la caduta del governo Berlusconi. Le poche righe con le quali è stata comunicata la decisione di peggiorare l'outlook, d'altro canto, hanno sortito più effetti di tre mesi di opposizione del Pd.
Leggendo le motivazioni riportate dal comunicato stampa si arriva alla conclusione che il caveat di Fitch all'Italia poggi su presupposti poco tecnici e assai politici. Entrando nel merito delle cifre, l'agenzia di rating prevede che quest'anno il rapporto deficit/Pil scenda all'1,8%, per poi risalire al 2,2% nel 2019 e al 2,6% nel 2020. Valori lontani dagli obiettivi fissati dall'Ue, ma anche da quelli inseriti da Pier Carlo Padoan nella nota di aggiornamento al Def pubblicata nel settembre 2017. Secondo le previsioni di via XX settembre, infatti, l'anno prossimo il rapporto deficit/Pil si dovrebbe attestare allo 0,8%, per calare ulteriormente nel 2020 allo 0,2%. Numeri che hanno tutta l'aria di essere stati messi lì per accontentare Bruxelles. D'altronde, Paolo Gentiloni sapeva che, con le elezioni alle porte, la patata bollente sarebbe passata al nuovo governo.
Quello del deficit, tuttavia, rappresenta un falso problema. Basta guardare come Francia e Spagna, nell'ultimo decennio, abbiano allegramente sforato la regola del 3%, senza peraltro subire particolari conseguenze negative. Parigi ha «bucato» il rapporto deficit/Pil sistematicamente dal 2008 al 2016, facendo addirittura segnare il 7,2% nel 2009 e il 6,9% l'anno seguente. Le ultime previsioni dicono che, dopo essere tornata nei ranghi nell'ultimo biennio, la Francia tornerà nel 2019 a sforare il tetto fissato dall'Europa. Madrid ha fatto perfino peggio, andando per ben due volte in doppia cifra (11% nel 2009 e 10,5% nel 2012), prima di posizionarsi negli ultimi anni su livelli più contenuti. Tutto ciò non deve avere impressionato gli analisti di Fitch, dal momento che la Francia ha rating AA e la Spagna A-, rispettivamente sei e due gradini al di sopra dell'Italia.
Passando al capitolo debito pubblico, l'agenzia di rating si dice pessimista, prevedendo solo un lieve calo al 131,8% nel 2017 e al 130,4% nel 2020. Un dato che «lascerebbe l'Italia ai primi posti dei Paesi più indebitati». Secondo l'ultimo Debt sustainability report pubblicato dalla Commissione europea, è vero che il debito pubblico italiano è considerato ad alto rischio, ma questa valutazione è espressa in relazione all'obiettivo fissato dal fiscal compact di riportare il debito al 60% entro il 2032. Roma, tra l'altro, si trova in buona compagnia, visto che nella medesima situazione ci sono anche Francia, Spagna, Portogallo e Belgio. Il vero problema è che quel debito va piazzato e remunerato sui mercati. Preoccupano, da questo punto di vista, l'aumento dei rendimenti sui titoli decennali (saliti dal 2,68% di fine maggio al 3,24% di fine agosto) e l'andamento dello spread (arrivato a 291 punti). Ma, se tanto ci dà tanto, questi ultimi sono due indici che subiscono l'influenza dei giudizi delle agenzie di rating e non viceversa. Come accadde nel 2011, quando i rendimenti e lo spread schizzarono più per il panico dei mercati che per una reale difficoltà dell'Italia nel rimborsare il proprio debito.
Se deficit e debito non rappresentano un rischio più alto di quanto già non fossero, dove sta dunque il problema? Ecco che Fitch ci catapulta nel frastagliato terreno delle ipotesi. «A nostro avviso», si legge nella nota, «il rischio di un'inversione nelle riforme strutturali, fattore che ha un impatto negativo sui fondamentali del credito, è leggermente aumentato». «L'ostilità di alcune frange del governo nei confronti dell'Ue e dell'euro rappresenta un ulteriore rischio, anche se riteniamo molto bassa la probabilità che il governo porti avanti politiche che possano causare l'uscita dall'euro o la creazione di una valuta parallela». Infine, l'incertezza politica. «Non ci aspettiamo che questo governo arrivi alla fine della legislatura», anzi, «riconosciamo la crescente possibilità che si verifichino elezioni anticipate nel 2019». Guarda caso lo stesso anno delle elezioni europee, con l'Internazionale populista di Matteo Salvini a minacciare Emmanuel Macron.
Al di là delle ipotesi, una cosa è certa: se da lunedì finanziare il nostro debito ci costerà di più, dovremo ringraziare anche gli incerti condizionali di Fitch.
Antonio Grizzuti
Il centrodestra frena sulla fusione
Essere o non essere (premier)? Il futuro del centrodestra e quello della Lega sono legati a questo interrogativo: fino a quando Matteo Salvini, di gran lunga il leader politico più popolare, capo del partito che i sondaggi accreditano come il più forte d'Italia (intorno al 30%), si accontenterà di recitare il ruolo di comprimario di lusso, di vicepremier di Giuseppe Conte e di alleato «di minoranza», in termini di ministeri, del M5s?
«Il governo durerà cinque anni», ripete Salvini, e non potrebbe dire nulla di diverso. Ma il prossimo 5 settembre la decisione del tribunale del riesame di Genova sul sequestro dei fondi del Carroccio inciderà sugli sviluppi del quadro politico, in un senso o nell'altro. Se il riesame «salverà» la Lega, tutto resterà come è adesso; se invece i giudici confermeranno il sequestro, ha detto il braccio destro di Salvini, Giancarlo Giorgetti, «è evidente a quel punto che il partito non può più esistere, perché non ha più soldi». Si dovrà procedere alla costituzione di una nuova Lega, non zavorrata dalle conseguenze finanziarie della condanna in primo grado per truffa allo Stato inflitta all'ex leader Umberto Bossi e all'ex tesoriere Francesco Belsito. Secondo l'Huffpost, statuto e nome (Lega per Salvini premier) sono già pronti.
Quale occasione migliore per dare vita a un nuovo contenitore del centrodestra? Un partito unico, nel quale confluiscano il Carroccio, Forza Italia e Fratelli d'Italia? Forza Italia, ovviamente, non ha alcuna intenzione di consegnarsi a Salvini, tanto più che in questa fase sarebbe un'operazione politicamente insostenibile, visto che il «partitone» di centrodestra si ritroverebbe con una corrente interna, quella leghista, al governo con il M5s, e con un'altra all'opposizione.
«Il partito unico», ha detto ieri il capogruppo alla Camera di Forza Italia, Mariastella Gelmini, a TgCom 24, «rievoca un nome bulgaro dal sapore antico, e francamente non ci interessa: lo riteniamo inutile. Noi pensiamo», ha aggiunto la Gelmini, «che il centrodestra sia un'esperienza plurale nella quale ci sono più voci: c'è la voce della Lega, di Fratelli d'Italia e di Forza Italia. Il che permette agli italiani, all'interno del centrodestra, di poter scegliere».
«Il centrodestra», ha aggiunto Mariastella Gelmini, «è evidentemente davanti a una prova nuova: Fratelli d'Italia e Forza Italia sono all'opposizione, la Lega è al governo con il M5s, è chiaro che è una dinamica nuova. Toccherà a Salvini spiegare se questa esperienza di governo è un'esperienza temporanea, legata a un fatto emergenziale, oppure, come qualcuno pensa, se preluda a una maggioranza destinata a durare. Noi crediamo nel centrodestra», ha aggiunto la Gelmini, «e crediamo nelle esperienze di governo, come in Lombardia, Veneto, Liguria, Sicilia, Friuli, Molise. Crediamo in esperienze di governo comunali dove governiamo con tutto il centrodestra unito che è garanzia di buona politica e di buona amministrazione. Pensiamo che si debba ripartire da lì. Toccherà a Salvini illustrare al presidente Silvio Berlusconi e ai leader della coalizione quale sarà la sua posizione».
In realtà, al di là delle dichiarazioni ufficiali, dai piani alti berlusconiani trapela anche una certa irritazione per la coincidenza tra il riaprirsi del dibattito sul partito unico e l'avvicinarsi della sentenza del riesame: «Sciogliere Forza Italia perché la Lega deve cambiare simbolo? Mi sembra una barzelletta», dice alla Verità un parlamentare di lungo corso. In ogni caso, sembra ormai prossimo un vertice tra Matteo Salvini, Silvio Berlusconi e Antonio Tajani, il presidente del Parlamento europeo che ha assunto il ruolo di «vice Silvio» e che non ha alcuna intenzione di essere ricordato come il liquidatore di Forza Italia.
Ma anche a Matteo Salvini, dal punto di vista prettamente elettorale, il partito unico potrebbe non convenire. Il motivo è semplice: se si tornerà al voto prima di aver cambiato la legge elettorale, Salvini, con la crescita esponenziale dei consensi della Lega, recuperati anche al di fuori del perimetro della coalizione, avrebbe la strada per Palazzo Chigi spianata davanti a sé in quanto leader del primo partito del centrodestra, al quale andrebbe anche la stragrande maggioranza dei ministeri. L'apporto di Forza Italia, seppure ridotta a un partito intorno al 10%, sarebbe fondamentale, soprattutto al Sud, per vincere in relativa scioltezza le elezioni, e consentirebbe ai berluscones di andare al governo incassando qualche poltrona. Salvini, ieri a Monza per assistere alle prove del gran premio di Formula 1, ha dribblato le domande dei cronisti sul futuro della Lega: «Oggi solo Ferrari, oggi solo Ferrari», ha detto. Dunque, l'unica cosa certa è che saranno le elezioni regionali (Abruzzo, Sardegna, Trentino Alto Adige) e amministrative in programma tra la fine del 2018 e l'inizio del 2019 il primo banco di prova. La Lega sarà ancora nel centrodestra o preferirà allearsi con il M5s? Un bivio fondamentale per il futuro del Carroccio e di tutta la politica italiana.
Carlo Tarallo
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Riduci
Il ministro Giovanni Tria risponde alle previsioni negative sul Paese: «Discontinuità significa scelte nuove, non far saltare i conti pubblici. I giudizi sulle riforme saranno positivi. Il governo ha già trovato l'intesa sul bilancio».Fitch sgrida l'Italia ma da anni perdona Francia e Spagna. A Parigi e Madrid sono stati concessi sforamenti macroscopici del rapporto deficit/Pil. Il doppiopesismo ha ragioni politiche.Il centrodestra frena sulla fusione. I forzisti sembrano decisi a non creare un partito unico con Lega e Fratelli d'Italia. Anche Matteo Salvini avrebbe dubbi: con il proporzionale il Carroccio vola verso Palazzo Chigi.Lo speciale contiene tre articoli.«Non bisogna tener conto di presunte intenzioni, ma solo dei fatti: mercati e agenzie di rating saranno presto convinti e rassicurati dalle azioni concrete del governo». Lo dice da Shanghai il ministro dell'Economia e delle finanze Giovanni Tria, imperturbabile davanti al giudizio di Fitch sull'Italia. La minaccia dell'agenzia di rating si è concretizzata venerdì sera: non ha abbassato il voto dell'Italia confermando il rating BBB, appena due gradini sopra i titoli spazzatura, ma ha abbassato l'outlook, ovvero le prospettive, da «stabili» a «negative», citando il rischio che i provvedimenti promessi dall'esecutivo sull'alleggerimento fiscale possano spingere fuori controllo i saldi di bilancio. Gli esperti Fitch hanno parlato anche di un rischio elezioni anticipate, probabilmente al 2019 poiché dagli Usa non capiscono come si possa comporre lo «scontro» in atto tra le due anime della maggioranza. Negativo inoltre il giudizio sul decreto Dignità: «Avrà probabilmente un effetto limitato sulle dinamiche del mercato del lavoro ma revisioni delle precedenti riforme strutturali, compresa quella delle pensioni, potrebbero avere un impatto moderatamente negativo sulla crescita a medio termine e sulla finanza pubblica». E se Palazzo Chigi aveva sottolineato la necessità di aspettare il documento di economia e finanza e l'attuazione delle riforme strutturali, Tria incontrando i giornalisti nell'ultima tappa della sua missione in Cina è andato nel dettaglio: «Vedo il mantenimento del rating da parte di Fitch, e il rinvio di quello di Moody's, come una corretta sospensione di giudizio in attesa di vedere le azioni del governo» ha sottolineato il ministro. «Poiché il programma di governo che si sta mettendo a punto risponde alle linee che sono già state più volte espresse ufficialmente, sia dal presidente del Consiglio sia da me, sia in giugno che ad agosto, al termine di una riunione con i due vicepresidenti Matteo Salvini e Luigi Di Maio, e che delineano i confini di bilancio su cui si sta lavorando. Evidentemente questo non ha convinto perché erano dichiarazioni. Ma adesso che le azioni nelle prossime settimane si tradurranno in documenti ufficiali del governo, io penso che questi giudizi verranno corretti e verranno corretti in senso positivo, poiché di fatto sono giudizi che non si basano su situazioni di fatto, ma si basano su attribuzioni di intenzioni che evidentemente differiscono dalle intenzioni dichiarate dal governo», ha ribadito il ministro. Gli impegni che lo attendono in Italia sono la nota di aggiornamento al Def a fine settembre, il documento che riassume gli impegni di bilancio per i prossimi anni, e a seguire la legge di Stabilità. Insomma, una rassicurazione da parte di Tria ai dubbi degli analisti e dei mercati che si traducono con l'innalzamento dello spread per il timore che Lega e M5s provino a sfondare il rapporto tra deficit e Pil gonfiando ancora il debito per finanziare alcuni capitoli fondamentali del loro contratto di governo. «Manterremo l'equilibrio di bilancio non perché lo impone l'Europa, ma perché ce lo chiedono i mercati finanziari che non è una dichiarazione astratta. Il deficit significa chiedere prestiti e chiedere prestiti è anche una cosa legittima ma bisogna trovare chi il prestito è disposto a darlo e a quali condizioni», ha ribadito il titolare del Mef, aggiungendo: «Abbiamo impegni europei e vanno rispettati». Il rapporto fra deficit e Pil è uno dei temi caldi che stanno alimentando le tensioni nella maggioranza. Il vicepremier pentastellato Luigi Di Maio lo vorrebbe più vicino possibile alla soglia limite del 3% per avviare il reddito di cittadinanza, mandando così in soffitta l'impegno preso dal governo Gentiloni con Bruxelles di ridurlo allo 0,8%. Secondo alcune indiscrezioni, per il 2019 il Mef vorrebbe mantenersi intorno all'1,5-1,6%, mentre altri componenti del governo vorrebbero salire almeno fino all'1,8%. Da questo calcolo però potrebbero essere escluse le spese per mettere in sicurezza il Paese: il sottosegretario leghista Giancarlo Giorgetti ha ribadito che il tetto si può sforare per realizzare opere di questo tipo. Ipotesi smentita dal commissario europeo Pierre Moscovici, che, in un'intervista al Sole 24 Ore, ha detto che l'Italia non potrà ottenere flessibilità. Anche in questo caso, Tria è stato attento a non alzare troppo i toni, tanto da esprimere apprezzamento per le «parole gentili» di Moscovici, che recentemente, lo ha definito «un interlocutore serio e ragionevole». «Moscovici ha riferito di un rapporto del tutto tranquillo di dialogo con la Commissione Ue che non è mio personale. Bisogna sempre ricordare che quando parlo con Moscovici e con gli altri componenti della Commissione, parlo come ministro dell'Economia e quindi parlo a nome del governo», ha detto Tria. Il titolare del Mef ha poi ribadito: «L'essenza del problema è questo: se si vuole comperare una casa, si chiede un mutuo e chi lo concede si fida che verrà restituito, pagando le rate; ma se si chiede il prestito per andare nei ristoranti è più complicato. L'Italia non ha mai usato i soldi per gozzovigliare. A volte, i mercati internazionali sono distratti. A volte leggono, invece di fare analisi attente. Guardano un po' i titoli sui giornali e pensano che in Italia ci sia la finanza allegra». Per sostenere questa tesi con i dati e non con le parole, il ministro ha ricordato che «sono 20 anni che l'Italia ha un surplus primario, caso unico in Europa. Abbiamo un debito che viene da lontano. L'Italia ha partecipato agli aiuti ad altri Paesi europei che si sono trovati in difficoltà, ma non ha mai ricevuto o richiesto un solo euro a sostegno delle proprie finanze. È stato un comportamento generalmente virtuoso che passa attraverso vari governi, quindi non sto prendendo parte politica. Forse uno scatto d'orgoglio della stampa nazionale su questo sarebbe necessario». «Queste cose le abbiamo spiegate anche ai nostri interlocutori cinesi e ci siamo accorti che erano quasi sorpresi, ma questi sono i fatti». Il titolare di Via XX settembre ha poi terminato dicendo: «La discontinuità con il governo precedente non sta nel far saltare i conti pubblici ma nel cambiare le politiche, che in ogni caso devono esse portate avanti nell'ambito di un equilibrio di bilancio». Sarina Biraghi<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-pompiere-tria-rassicura-i-mercati-rispetteremo-gli-impegni-europei-2601085246.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="fitch-sgrida-litalia-ma-da-anni-perdona-francia-e-spagna" data-post-id="2601085246" data-published-at="1765399530" data-use-pagination="False"> Fitch sgrida l’Italia ma da anni perdona Francia e Spagna Bocciatura con riserva. È questo, in estrema sintesi, il giudizio che Fitch ha emesso venerdì nei confronti dell'Italia, come spiegato dalla Verità di ieri. L'agenzia di rating, pur confermando il livello BBB già assegnato in precedenza, ha modificato l'outlook (cioè la prospettiva) da «stabile» a «negativo». Ciò significa che nell'immediato futuro il nostro rating potrebbe andare incontro a un «downgrade», vale a dire a un peggioramento. Il nostro debito sovrano si trova in questo momento a due scalini dal girone dantesco dei «titoli spazzatura». Se dovesse ritrovarcisi, Roma farebbe fatica a finanziarsi in quanto il nostro Paese non sarebbe più considerato affidabile. Pericolo scampato per alcuni, preoccupante monito per altri. Un declassamento a meno di 100 giorni dall'insediamento avrebbe rappresentato per l'esecutivo guidato da Giuseppe Conte un colpo potenzialmente letale. Ma, al tempo stesso, sarebbe stato una conferma per quanti sostengono la tesi di un possibile attacco speculativo nei confronti del nostro Paese, simile a quello che nel 2011 causò la caduta del governo Berlusconi. Le poche righe con le quali è stata comunicata la decisione di peggiorare l'outlook, d'altro canto, hanno sortito più effetti di tre mesi di opposizione del Pd. Leggendo le motivazioni riportate dal comunicato stampa si arriva alla conclusione che il caveat di Fitch all'Italia poggi su presupposti poco tecnici e assai politici. Entrando nel merito delle cifre, l'agenzia di rating prevede che quest'anno il rapporto deficit/Pil scenda all'1,8%, per poi risalire al 2,2% nel 2019 e al 2,6% nel 2020. Valori lontani dagli obiettivi fissati dall'Ue, ma anche da quelli inseriti da Pier Carlo Padoan nella nota di aggiornamento al Def pubblicata nel settembre 2017. Secondo le previsioni di via XX settembre, infatti, l'anno prossimo il rapporto deficit/Pil si dovrebbe attestare allo 0,8%, per calare ulteriormente nel 2020 allo 0,2%. Numeri che hanno tutta l'aria di essere stati messi lì per accontentare Bruxelles. D'altronde, Paolo Gentiloni sapeva che, con le elezioni alle porte, la patata bollente sarebbe passata al nuovo governo. Quello del deficit, tuttavia, rappresenta un falso problema. Basta guardare come Francia e Spagna, nell'ultimo decennio, abbiano allegramente sforato la regola del 3%, senza peraltro subire particolari conseguenze negative. Parigi ha «bucato» il rapporto deficit/Pil sistematicamente dal 2008 al 2016, facendo addirittura segnare il 7,2% nel 2009 e il 6,9% l'anno seguente. Le ultime previsioni dicono che, dopo essere tornata nei ranghi nell'ultimo biennio, la Francia tornerà nel 2019 a sforare il tetto fissato dall'Europa. Madrid ha fatto perfino peggio, andando per ben due volte in doppia cifra (11% nel 2009 e 10,5% nel 2012), prima di posizionarsi negli ultimi anni su livelli più contenuti. Tutto ciò non deve avere impressionato gli analisti di Fitch, dal momento che la Francia ha rating AA e la Spagna A-, rispettivamente sei e due gradini al di sopra dell'Italia. Passando al capitolo debito pubblico, l'agenzia di rating si dice pessimista, prevedendo solo un lieve calo al 131,8% nel 2017 e al 130,4% nel 2020. Un dato che «lascerebbe l'Italia ai primi posti dei Paesi più indebitati». Secondo l'ultimo Debt sustainability report pubblicato dalla Commissione europea, è vero che il debito pubblico italiano è considerato ad alto rischio, ma questa valutazione è espressa in relazione all'obiettivo fissato dal fiscal compact di riportare il debito al 60% entro il 2032. Roma, tra l'altro, si trova in buona compagnia, visto che nella medesima situazione ci sono anche Francia, Spagna, Portogallo e Belgio. Il vero problema è che quel debito va piazzato e remunerato sui mercati. Preoccupano, da questo punto di vista, l'aumento dei rendimenti sui titoli decennali (saliti dal 2,68% di fine maggio al 3,24% di fine agosto) e l'andamento dello spread (arrivato a 291 punti). Ma, se tanto ci dà tanto, questi ultimi sono due indici che subiscono l'influenza dei giudizi delle agenzie di rating e non viceversa. Come accadde nel 2011, quando i rendimenti e lo spread schizzarono più per il panico dei mercati che per una reale difficoltà dell'Italia nel rimborsare il proprio debito. Se deficit e debito non rappresentano un rischio più alto di quanto già non fossero, dove sta dunque il problema? Ecco che Fitch ci catapulta nel frastagliato terreno delle ipotesi. «A nostro avviso», si legge nella nota, «il rischio di un'inversione nelle riforme strutturali, fattore che ha un impatto negativo sui fondamentali del credito, è leggermente aumentato». «L'ostilità di alcune frange del governo nei confronti dell'Ue e dell'euro rappresenta un ulteriore rischio, anche se riteniamo molto bassa la probabilità che il governo porti avanti politiche che possano causare l'uscita dall'euro o la creazione di una valuta parallela». Infine, l'incertezza politica. «Non ci aspettiamo che questo governo arrivi alla fine della legislatura», anzi, «riconosciamo la crescente possibilità che si verifichino elezioni anticipate nel 2019». Guarda caso lo stesso anno delle elezioni europee, con l'Internazionale populista di Matteo Salvini a minacciare Emmanuel Macron. Al di là delle ipotesi, una cosa è certa: se da lunedì finanziare il nostro debito ci costerà di più, dovremo ringraziare anche gli incerti condizionali di Fitch. Antonio Grizzuti <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-pompiere-tria-rassicura-i-mercati-rispetteremo-gli-impegni-europei-2601085246.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="il-centrodestra-frena-sulla-fusione" data-post-id="2601085246" data-published-at="1765399530" data-use-pagination="False"> Il centrodestra frena sulla fusione Essere o non essere (premier)? Il futuro del centrodestra e quello della Lega sono legati a questo interrogativo: fino a quando Matteo Salvini, di gran lunga il leader politico più popolare, capo del partito che i sondaggi accreditano come il più forte d'Italia (intorno al 30%), si accontenterà di recitare il ruolo di comprimario di lusso, di vicepremier di Giuseppe Conte e di alleato «di minoranza», in termini di ministeri, del M5s? «Il governo durerà cinque anni», ripete Salvini, e non potrebbe dire nulla di diverso. Ma il prossimo 5 settembre la decisione del tribunale del riesame di Genova sul sequestro dei fondi del Carroccio inciderà sugli sviluppi del quadro politico, in un senso o nell'altro. Se il riesame «salverà» la Lega, tutto resterà come è adesso; se invece i giudici confermeranno il sequestro, ha detto il braccio destro di Salvini, Giancarlo Giorgetti, «è evidente a quel punto che il partito non può più esistere, perché non ha più soldi». Si dovrà procedere alla costituzione di una nuova Lega, non zavorrata dalle conseguenze finanziarie della condanna in primo grado per truffa allo Stato inflitta all'ex leader Umberto Bossi e all'ex tesoriere Francesco Belsito. Secondo l'Huffpost, statuto e nome (Lega per Salvini premier) sono già pronti. Quale occasione migliore per dare vita a un nuovo contenitore del centrodestra? Un partito unico, nel quale confluiscano il Carroccio, Forza Italia e Fratelli d'Italia? Forza Italia, ovviamente, non ha alcuna intenzione di consegnarsi a Salvini, tanto più che in questa fase sarebbe un'operazione politicamente insostenibile, visto che il «partitone» di centrodestra si ritroverebbe con una corrente interna, quella leghista, al governo con il M5s, e con un'altra all'opposizione. «Il partito unico», ha detto ieri il capogruppo alla Camera di Forza Italia, Mariastella Gelmini, a TgCom 24, «rievoca un nome bulgaro dal sapore antico, e francamente non ci interessa: lo riteniamo inutile. Noi pensiamo», ha aggiunto la Gelmini, «che il centrodestra sia un'esperienza plurale nella quale ci sono più voci: c'è la voce della Lega, di Fratelli d'Italia e di Forza Italia. Il che permette agli italiani, all'interno del centrodestra, di poter scegliere». «Il centrodestra», ha aggiunto Mariastella Gelmini, «è evidentemente davanti a una prova nuova: Fratelli d'Italia e Forza Italia sono all'opposizione, la Lega è al governo con il M5s, è chiaro che è una dinamica nuova. Toccherà a Salvini spiegare se questa esperienza di governo è un'esperienza temporanea, legata a un fatto emergenziale, oppure, come qualcuno pensa, se preluda a una maggioranza destinata a durare. Noi crediamo nel centrodestra», ha aggiunto la Gelmini, «e crediamo nelle esperienze di governo, come in Lombardia, Veneto, Liguria, Sicilia, Friuli, Molise. Crediamo in esperienze di governo comunali dove governiamo con tutto il centrodestra unito che è garanzia di buona politica e di buona amministrazione. Pensiamo che si debba ripartire da lì. Toccherà a Salvini illustrare al presidente Silvio Berlusconi e ai leader della coalizione quale sarà la sua posizione». In realtà, al di là delle dichiarazioni ufficiali, dai piani alti berlusconiani trapela anche una certa irritazione per la coincidenza tra il riaprirsi del dibattito sul partito unico e l'avvicinarsi della sentenza del riesame: «Sciogliere Forza Italia perché la Lega deve cambiare simbolo? Mi sembra una barzelletta», dice alla Verità un parlamentare di lungo corso. In ogni caso, sembra ormai prossimo un vertice tra Matteo Salvini, Silvio Berlusconi e Antonio Tajani, il presidente del Parlamento europeo che ha assunto il ruolo di «vice Silvio» e che non ha alcuna intenzione di essere ricordato come il liquidatore di Forza Italia. Ma anche a Matteo Salvini, dal punto di vista prettamente elettorale, il partito unico potrebbe non convenire. Il motivo è semplice: se si tornerà al voto prima di aver cambiato la legge elettorale, Salvini, con la crescita esponenziale dei consensi della Lega, recuperati anche al di fuori del perimetro della coalizione, avrebbe la strada per Palazzo Chigi spianata davanti a sé in quanto leader del primo partito del centrodestra, al quale andrebbe anche la stragrande maggioranza dei ministeri. L'apporto di Forza Italia, seppure ridotta a un partito intorno al 10%, sarebbe fondamentale, soprattutto al Sud, per vincere in relativa scioltezza le elezioni, e consentirebbe ai berluscones di andare al governo incassando qualche poltrona. Salvini, ieri a Monza per assistere alle prove del gran premio di Formula 1, ha dribblato le domande dei cronisti sul futuro della Lega: «Oggi solo Ferrari, oggi solo Ferrari», ha detto. Dunque, l'unica cosa certa è che saranno le elezioni regionali (Abruzzo, Sardegna, Trentino Alto Adige) e amministrative in programma tra la fine del 2018 e l'inizio del 2019 il primo banco di prova. La Lega sarà ancora nel centrodestra o preferirà allearsi con il M5s? Un bivio fondamentale per il futuro del Carroccio e di tutta la politica italiana. Carlo Tarallo
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Riduci
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Riduci
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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