2024-12-12
Il Pd spara a zero sulle rottamazioni però sogna l’uomo che le ha fatte (male)
Ernesto Maria Ruffini (Getty images)
Il capo delle Entrate Ernesto Maria Ruffini, ora acclamato come nuovo Prodi, elogiava la pace fiscale. Ma incassò meno della metà del previsto.Perciò se il primo patriarca (Romano Prodi) era stato l’attuatore delle privatizzazioni, quello che deve venire è il campione del recupero dei debiti con l’Erario. Privatizzazioni e rottamazioni, due parole che a sinistra hanno sempre causato pruriti, anche se pure il Pd vi ha fatto ricorso dopo essersi dimenticato di pagare parte della cassa integrazione dei suoi dipendenti.Nei giorni scorsi, di fronte alla prospettiva di una rottamazione quinquies, la capogruppo del Pd alla Camera Chiara Braga ha iniziato a fumare dalle orecchie: «È all’esame della maggioranza un provvedimento per una nuova rottamazione delle cartelle. Questa volta una rottamazione davvero straordinaria perché riguarderebbe anche le cartelle future. Quelle degli evasori che verranno. Non parliamo di aiuti a chi non ce la fa a pagare e magari chiede una rateizzazione, ma di un ennesimo condono – più di 20 in due anni di governo –, un incentivo indiretto a evadere». Secondo la Braga «tra rottamazioni, concordati e condoni nelle casse dello Stato è entrato ben poco, ma il messaggio è stato chiaro: non pagare le tasse conviene».lo stesso spartito Nei mesi precedenti altri esponenti dem si erano esibiti usando lo stesso spartito. Pescando a caso possiamo citare Dario Parrini («La riapertura dei termini per la rottamazione delle cartelle è un regalo agli evasori») oppure Virginio Merola («Il governo Meloni incentiva i contribuenti a evadere per poi negoziare la rateizzazione del debito»). Interessante l’analisi di Maria Cecilia Guerra: «Si permette di pagare con ritardo le rate della rottamazione […]. Una vera pacchia: è come ottenere un prestito dallo Stato a tasso zero. Il messaggio a chi evade è sempre lo stesso: puoi dormire sonni tranquilli, dammi il tuo voto». Ma a manovrare questa presunta macchina del consenso, che strizza l’occhio agli evasori, almeno sino a oggi, oltre al viceministro Maurizio Leo, c’è l’uomo che media e politici cattolici d’area progressista, a partire da Prodi, vedono come possibile homo novus del centrosinistra.E il curriculum sembra quello giusto: una bella lista di insuccessi. A partire proprio dalle definizioni agevolate delle cartelle esattoriali, che sono state un parziale fallimento: avevano un piano di rientro di 4 anni e rate trimestrali, condizioni che, come vedremo, hanno causato moltissime decadenze e un gettito molto inferiore alle previsioni.La nuova formula, ipotizzata dalla maggioranza di governo, spalmerebbe l’importo dovuto su 10 anni (120 rate anziché 18). Una soluzione che consente di immaginare percentuali di abbandono molto inferiori.Ma la nuova soluzione è fortemente sponsorizzata dalla Lega più che da Ruffini, che, infatti, sembra pronto al grande salto nell’agone politico.Eppure era stato lui a portare avanti gran parte delle precedenti deficitarie rottamazioni. Tutto iniziò nell’ormai lontano 2016, quando l’allora premier Matteo Renzi, detto, guarda caso, il Rottamatore (ma non per l’idiosincrasia alle cartelle esattoriali), decise di dichiarare guerra a Equitalia. Per farlo le cambiò nome e diede il via alla cosiddetta pace fiscale.Ruffini si mise subito in scia e si rallegrò pubblicamente per il boom di accessi al sito dell’agenzia: a dicembre 1,2 milioni di utenti visitarono il sito della società di riscossione e il dato venne interpretato come spia di un successo annunciato. L’avvocato tributarista palermitano sentenziò soddisfatto: «Solo creando fiducia si può richiedere lealtà».A marzo, in un attacco di populismo, Ruffini raccontò di aver spedito in prima linea, dietro agli sportelli, anche i dirigenti per sostenere «il lavoro straordinario» in arrivo e affrontare la torma di cittadini ansiosi di pagare le tasse. lettera ai dipendentiLa rivoluzionaria iniziativa fu benedetta da Ruffini in una lettera inviata ai dipendenti dopo il suo insediamento al vertice dell’Agenzia delle Entrate (e non più solo della defunta Equitalia): «Le politiche fiscali messe in campo dai governi in questi ultimissimi anni e mesi hanno consentito di avviare un percorso di riforme innovativo anche per capovolgere il rapporto con i cittadini. […] Vi è la necessità di offrire agli italiani un servizio diverso. La parola d’ordine dovrà essere in realtà un piccolo semplice tratto: il segno meno. Meno burocrazia, carta e timbri, meno adempimenti, ingiustizie, meno distacco dalla vita reale di chi produce, meno distanza dalla lingua italiana e, se saremo bravi, anche meno balzelli». Ispiratissimo soggiunse: «Dobbiamo rendere più leggero lo sforzo di chi ogni mattina alza la saracinesca della propria impresa». Con afflato encomiabile concluse: «Non appartengo alla squadra di chi sostiene che gli italiani hanno nel proprio Dna la furbizia dell’evasore. Non esiste questo tratto genetico. A chi in Agenzia vede gli italiani come contribuenti prima che come cittadini, come evasori prima che come contribuenti, consiglio di cambiare approccio in tempi rapidissimi». Mancava solo partisse l’inno degli Italiani. Poropopò. Ruffini non mancò di citare il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, suo amico ed estimatore, che aveva auspicato «un serrato e continuo dialogo collaborativo tra fisco e contribuente».Dunque il grido di battaglia era: non solo lotta all’evasione, ma soprattutto dialogo.Ma dopo i risultati deludenti delle sue rottamazioni, che il governo sta provando a correggere, Ruffini ha cambiato atteggiamento e ha indossato i panni dell’esattore inflessibile, richiamando gli italiani alla cruda realtà: «Il fisco non può essere amico». Nel 2022, un po’ piccato, ha dichiarato: «Sono 19 milioni i contribuenti che hanno cartelle non pagate […]. Con le rottamazioni abbiamo incassato 20 miliardi su un magazzino (il credito complessivo dell’Erario nei confronti dei cittadini, ndr) di 1.100 miliardi, gli strumenti il legislatore li ha offerti, ma solo 3 milioni su 19 milioni hanno accettato questa possibilità». In un altro intervento dello stesso periodo ha aggiunto: «È dal 2015 che il Parlamento è informato. Un magazzino così non può essere gestito. Si sono fatti dei tentativi con la rottamazione, il saldo e stralcio e altri istituti similari, che non hanno portato, però, alla sua riduzione […] Ogni anno entrano 70 miliardi di crediti da riscuotere e ne escono meno di 10 miliardi di crediti riscossi. Attualmente il magazzino ha circa 130.140 milioni di cartelle con 16 milioni di cittadini iscritti a ruolo». Insomma gli italiani, a un lustro di distanza dalla prima rottamazione, erano ridiventati un popolo di evasori. mutamenti di rottaIn quelle ore Ruffini sembra perdere la pazienza con i «contribuenti che hanno debiti irrisori, che comunque vanno pagati»: «La metà ha debiti sotto mille euro, perché non vengono rateizzati e pagati? Potrebbero fare rate da 50 euro al mese e in due anni si toglierebbero il debito. La difficoltà esiste, ci sono molte famiglie in difficoltà, però, ci sono anche molti cittadini in difficoltà che pagano».Con il nuovo governo di centrodestra Ruffini cerca di tornare l’uomo del dialogo e di fronte alla nuova rottamazione concede: «Può essere una buona ultima volta».In realtà, come anticipato, le prime tre rottamazioni e il saldo e stralcio, gestiti quasi interamente da Ruffini, tranne che per un breve periodo (agosto 2018 - gennaio 2020, quando a dirigere l’Agenzia è stato un generale della Guardia di finanza), sono state un mezzo disastro. Lucia Albano, sottosegretario all’Economia, durante un question time del febbraio scorso, ha spiegato che il famoso magazzino fiscale è sceso di soli 112 miliardi e in gran parte per l’annullamento delle cartelle più piccole: «Le prime tre edizioni della rottamazione e il cosiddetto saldo e stralcio hanno inciso sul magazzino per oltre 30 miliardi di euro, mentre le misure di annullamento (cosiddetti stralci) per oltre 82 miliardi di euro». Nel 2023 nelle casse dell’Ade sono entrati 4,3 miliardi di euro della rottamazione-quater e un po’ di briciole della rottamazione-ter (0,2 miliardi di euro).Rispetto agli importi attesi per lo stesso anno, pari a 11,9 miliardi di euro, il tasso di decadenza si è attestato al 45,4% (5,4 miliardi di euro). Le prime tre rottamazioni avevano registrato una percentuale di abbandono addirittura superiore: rispettivamente del 53% (la prima), del 67% (la seconda rottamazione) e del 70% (la terza rottamazione), anche se questa finestra, aperta dal governo giallo-verde, prevedeva pagamenti più dilazionati nel tempo.numeri impietosiI dati definitivi riguardano le prime due rottamazione gestite da Ruffini e l’Osservatorio dei conti pubblici italiani dell’Università cattolica di Milano ha descritto i risultati: «Per “Rottamazione” e “Rottamazione-bis” hanno fatto domanda 2,3 milioni di soggetti, per debiti (inclusi interessi di mora e sanzioni) di 45 miliardi. Al netto della “rottamazione” - quindi senza interessi e sanzioni - era previsto un gettito di 26 miliardi. Tuttavia, dopo aver presentato domanda, molti soggetti non hanno versato le somme nei termini previsti (perdendo così il beneficio). Per questo motivo, la riscossione effettiva si è fermata a soli 11 miliardi». Meno della metà di quanto previsto. Addirittura, secondo un recente report della stessa Ade, la rottamazione delle cartelle avrebbe fatto incassare nel 2017 e nel 2018 soli 7 miliardi. In conclusione il nuovo aspirante Prodi non solo promuove le rottamazioni odiate, almeno a parole, dalla sinistra, ma non le sa nemmeno fare così bene.
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)