2022-05-15
«Il nucleare è sicuro e non inquina. A bloccarlo sono solo i pregiudizi»
Il fisico italiano Luca Romano si è trasformato in «avvocato dell’atomo» per smentire i luoghi comuni sulle centrali. «Fondamentali per l’indipendenza energetica. Se non iniziamo ora, fra 10 anni saremo ancora nei guai».Studi di fisica a Torino, poi un master in giornalismo e, per gradire, un diploma in pianoforte. A rendere famoso Luca Romano, tuttavia, sono state le pagine digitali in cui si presenta come «L’avvocato dell’atomo» (questo è anche il titolo del suo libro appena uscito per Fazi) e cerca di smontare pregiudizi e bufale sul nucleare.Se avessimo il nucleare non dovremmo preoccuparci così tanto della dipendenza energetica dalla Russia. È così? «Non si tratta solo del nucleare. La politica energetica italiana in generale è stata contraddistinta negli ultimi trent’anni da mancanza di lungimiranza. Il nucleare, tra i vari vantaggi, ha quello di garantire un certo margine di indipendenza energetica. Ecco perché ora sarebbe da ripensare non tanto per risolvere la crisi contingente, ma per evitare di ritrovarci in una crisi uguale tra dieci anni, magari dovuta alla dipendenza dalle terre rare cinesi». Quanto tempo servirebbe all’Italia per «passare al nucleare»? «Intanto servirebbero un framework regolatorio e dei decreti autorizzativi quindi, anche al di là della discussione politica, ci sono alcuni passaggi preliminari e burocratici che vanno fatti e richiedono del tempo. L’Italia da questo punto di vista, avendo già avuto degli impianti in passato, alcune di queste fasi le potrebbe saltare, ma non tutte. Per la costruzione di un primo reattore, la media mondiale si aggira sui sette anni. In Europa sono spesso diventati molti di più, anche perché - soprattutto dopo Chernobyl - non sono state costruite molte centrali, perdendo una generazione di esperienza. La mia ipotesi è che per costruire uno o due reattori impiegheremmo dodici anni. Se però ne dovessimo costruire una quindicina o una ventina, quelli di cui l’Italia avrebbe bisogno, i primi due magari avrebbero dei ritardi, ma dal quinto in avanti saremmo a regime, con un reattore completato ogni cinque sei anni. Come fanno cinesi coreani, russi, indiani.La Francia quanti reattori possiede?«Ne ha 56, ma è un caso quasi unico al mondo perché non usa solo il nucleare per il carico di base, quindi per la parte di fabbisogno energetico costante, ma anche per i picchi di domanda. È l’unico Paese al mondo che modula la potenza dei suoi reattori invece di tenerli a potenza fissa. La Francia ha evidentemente più reattori di quelli che le servono, visto che è il primo esportatore mondiale di energia elettrica: ne vende all’Italia, alla Spagna, all’Inghilterra, al Belgio, al Lussemburgo e alla Svizzera. Letteralmente a tutti i Paesi con cui confina». Macron intende potenziere ulteriormente il settore. «Vero. Dipende in parte dal fatto che, come tutte le economie occidentali, la Francia va verso un aumento di consumo di energia elettrica dovuto all’elettrificazione del parco autoveicoli, ai processi industriali e ai riscaldamenti. Nel piano di Macron, infatti, c’è anche una massiccia incentivazione all’uso dell’auto elettrica. Quindi ovviamente servirà più elettricità. Poi bisogna tenere conto delle politiche energetiche dei vicini. La Germania dismette i programmi nucleari, e aumenterà l’import di energia. L’Italia, prevede di aumentare il ricorso all’import energetico. Il Portogallo - che al momento non importa dalla Francia - ha chiesto a Parigi di costruire interconnessioni. La Spagna vorrebbe aumentare l’import energetico perché nel 2035 chiuderà i suoi reattori, e non ne costruirà di nuovi. Insomma la Francia si sta preparando a diventare la maxi-centrale elettrica d’Europa».Oggi sentiamo molto parlare di transizione ecologica e svolte verdi. Di energia eolica e solare. Basterebbero a renderci indipendenti?«Il solare e l’eolico una parte possono farla, ma fino a che non esisteranno sistemi di accumulo energetico su scala nazionale, non basteranno. Pensiamo alla Germania: il suo stanziamento per le rinnovabili dal 2011 al 2030 è pari a 580 miliardi. Eppure ciò non ha impedito alla Germania di dipendere dalla Russia per l’energia. Questo dimostra che gli investimenti in rinnovabili da soli non bastano«. Anche noi, è noto, dipendiamo molto dalla Russia. «Noi siamo dopo la Germania uno dei Paesi più esposti alla dipendenza del gas russo. Il problema è che i politici italiani non hanno molto bene idea di come funzionino i sistemi energetici, e continuano a dire che dobbiamo fare più rinnovabili. Non si rendono conto che a un certo punto si raggiunge un tetto, e continuare con le rinnovabili significa nei fatti buttare energia. Inoltre queste fonti hanno un problema: quando non producono, perché manca il sole o il vento, ti tocca comunque usare il gas. E da qualche parte va preso. Tra l’altro queste fonti generano elettricità, non calore. L’Italia è ancora piena di caldaie a gas... O andiamo ad elettrificare tutti i riscaldamenti domestici oppure il gas ci servirà comunque. Lo stesso vale per molti processi industriali. Insomma, non bastano le rinnovabili per slegarsi dall’indipendenza energetica. Non basta neanche il nucleare da solo: servono più soluzioni contemporaneamente. Nucleare, rinnovabili, import di gas da altri Paesi…».Veniamo alle questioni ideologiche. Sul nucleare, lei sostiene, circolano tanti pregiudizi. Quali sono a suo parere i principali?«Direi che riguardano principalmente tre questioni: gestione delle scorie, sicurezza e possibili infiltrazioni mafiose nella filiera dell’atomo. Io credo che nascano dallo stesso errore di ragionamento». E cioè?«Non si fanno adeguati confronti tra il nucleare e le sue alternative. Uno pensa che il nucleare generi rifiuti di difficile gestione e sembra che le altre tecnologie non lo facciano, quando invece non è così. L’industria dei combustibili fossili genera un sacco di rifiuti tossici nelle fasi di raffinazione degli idrocarburi, per non parlare dell’inquinamento atmosferico e della Co2. Le stesse energie rinnovabili generano rifiuti tossici nella fase di estrazione e lavorazione delle materie prime con cui si vanno poi a produrre i pannelli solari e le turbine. Servono inoltre metalli e terre rare la cui estrazione pone non pochi problemi a livello geopolitico. Se si ignora tutto questo, sembra che la filiera nucleare sia l’unica a produrre rifiuti. Ma se si fanno i dovuti confronti scopriamo che i rifiuti nucleari hanno certamente una gestione complessa, ma se ne producono milioni di volte di meno». Parliamo dei rischi per la sicurezza. «Il primo pensiero va sempre a Chernobyl. Certo è successo, è stato un evento gravissimo. Ma, di nuovo, vogliamo andare a vedere che cosa è accaduto con altre fonti di energia? Sono crollate dighe e sono morte decine di migliaia di persone; sono saltate per aria raffinerie e anche lì ci sono state centinaia di morti…».Il punto è che un disastro nucleare - almeno questo si pensa di solito - potrebbe causare danni prolungati nel tempo, creare uno scenario apocalittico, da disaster movie. «Non è così. Una centrale nucleare non salta per aria e non crea scenari da disaster movie. Non esistono più, da nessuna parte, reattori del tipo di Chernobyl. In operatività ce ne sono 8, sono tutti in Russia e chiuderanno entro il prossimo decennio». Niente Chernobyl, bene. Ma Fukushima?«Il disastro c’è stato, come no. Ma è stato causato dal quarto terremoto più forte mai registrato, parliamo di magnitudo 9: un cataclisma. E dopo il terremoto è arrivata un’onda di tredici metri. Questo evento ha causato 13.000 morti, poi lo tsunami ha investito la centrale, causando un incidente. Ma nonostante tutto il clamore mediatico, questo incidente ha fatto morti».No?«No. È scritto nero su bianco nel rapporto Onu. Anche la dispersione di radioattività non avrà effetti percepibili sulla salute di nessuno. Non ci sono pesci contaminati a Fukushima. Anzi i pescatori si lamentano con il governo per lo sversamento di acque contaminate che fa perdere clienti in Occidente... Bene: se anche con un cataclisma del genere non muore nessuno, forse le centrali non sono poi così pericolose, no? Forse la pericolosità è un mito per l’associazione inconscia tra nucleare civile e bombe atomiche. Se andiamo a vedere i maggiori disastri della storia - il disastro chimico di Bhopal in India, il crollo della diga di Banqiao in Cina - vediamo che hanno causato decine di migliaia di morti: più di Chernobyl». L’ultimo pregiudizio è quello riguardante le infiltrazioni mafiose. «Innanzitutto, vale sempre lo stesso discorso di prima: se uno ha questa preoccupazione sul nucleare, perché non chiudiamo le 2000 imprese chimiche presenti in Italia, visto che potrebbero causare più disastri? Se la mafia può essere un fattore dirimente per il nucleare, deve esserlo per tutto il resto. Però vorrebbe dire arrendersi alla mafia, ritirarsi. Guardate, il nucleare è la filiera a minor rischio di infiltrazione mafiosa, perché è ad alta specializzazione tecnica, quindi, è molto difficile che una organizzazione criminale possa infiltrarsi. Tra l’altro le centrali sono soggette a rigidissimi controlli internazionali. Persino i mini-reattori per la ricerca sono sottoposti ai controlli delle agenzie internazionali, figuriamoci le centrali.... C’è l’ente di controllo europeo, quello italiano, ci sono quelli degli altri Paesi... Senza contare che i rifiuti nucleari sono molto pochi, quindi, facili da tracciare. Inoltre, essendo radioattivi, sono molto facili da rilevare. Uno non può buttare un rifiuto nucleare sotto un metro di terra: lo si scopre subito».