2020-01-05
Il M5s ha un Richelieu a cui affidarsi: la consorte iraniana di Grillo l’Elevato
Il partito ha un debole per Teheran, anche a causa dei legami del fondatore con il Paese del Golfo. Che adesso si fanno sentire. Non è dato sapere se l'Elevato stia trascorrendo gli ultimi scampoli di vacanze nella magione kenyota, in quella di Bibbona o sia già nel villone genovese sulla collina di Sant'Ilario. Ma di certo, questi, sono giorni tribolati per Beppe Grillo e congiunti. L'uccisione a Baghdad del generale iraniano Qassem Soleimani, caduto sotto i colpi statunitensi, non può lasciare indifferente il fondatore dei 5 stelle. Per un motivo molto semplice: per lui il Paese del Golfo è una questione di cuore e affetti. È iraniana la moglie di Grillo, Parvin Tadjik. Così come la cognata Nadereh, a cui il comico è legatissimo. Ed era nato a Teheran il suocero, Nasratollah, ex importatore di tappeti morto a marzo del 2013. Colui che il demiurgo pentastellato, suscitando più di qualche ironia, aveva eletto suo faro nella politica estera. Da qui, l'acritica vicinanza all'Iran e una certa avversione contro Israele. Due concetti declinati nel tempo con baldanza e temerarietà. A giugno del 2012, mentre i governi stranieri s'interrogano sul Movimento, il comico concede una lunga intervista al quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth. Il tema del colloquio è, com'è ovvio, il Medio Oriente. Beppe non si sottrae. L'Iran? «Un giorno ho visto impiccare una persona, su una piazza di Isfahan. Ero lì. Mi son chiesto: cos'è questa barbarie? Ma poi ho pensato agli Usa. Anche loro hanno la pena di morte: hanno messo uno a dieta, prima d'ucciderlo, perché la testa non si staccasse. E allora: che cos'è più barbaro?». Va bene, ma i diritti delle donne? «Mia moglie è iraniana. Ho scoperto che la donna, in Iran, è al centro della famiglia. Le nostre paure nascono da cose che non conosciamo». E il regime di Teheran? «Quelli che scappano, sono oppositori. Ma chi è rimasto non ha le stesse preoccupazioni che abbiamo noi all'estero. L'economia lì va bene, le persone lavorano. È come il Sudamerica: prima si stava molto peggio. Ho un cugino che costruisce autostrade in Iran. Mi dice che non sono per nulla preoccupati». Mahmud Ahmadinejad, l'allora presidente, vuole cancellare Israele dalle mappe… «Cambierà idea» risponde serafico Grillo. «Non penso lo voglia davvero: lo dice e basta. Del resto, anche quando uscivano i discorsi di Bin Laden, mio suocero iraniano m'ha spiegato che le traduzioni non erano esatte...». Capito l'Elevato? Era e resta un orgoglioso filoiraniano. E Parvin, la sua affascinante consorte, l'ha reso certamente ancor più edotto e partecipe. Solo che, fino a qualche anno fa, i 5 stelle volevano aprire il Parlamento «come una scatoletta di tonno». Mentre oggi, una giravolta dopo l'altra, partecipano inebriati al banchetto del potere. E nell'ultima spartizione giallorossa, la Farnesina è finita persino nelle loro mani. Ovvero, sotto la malferma guida di Luigi Di Maio, ormai eterodiretto da Grillo, grande artefice dell'alleanza con il Pd. Non a caso il ministro degli Esteri, nonostante la morte Soleimani rischi di sconquassare il mondo, incredibilmente balbetta. Così, non resta che aggrapparsi alle sue ultime ed eloquenti dichiarazioni, sibilate qualche tempo fa: «L'Italia vuole mantenere il dialogo con l'Iran». È uno dei pochi temi che non lo divide da Alessandro Di Battista, a capo dell'ala barricadera del M5s. Dibba è in partenza proprio per l'Iran, dove resterà diverse settimane per vergare le sue ormai indispensabili corrispondenze. Nell'attesa, si è schierato contro l'uccisione del super generale: quello di Trump è stato «un attacco vigliacco» e anche «pericoloso e stupido».Tra le file pentastellate, la vicinanza al regime è però trasversale. Ed è condivisa proprio dai parlamentari più coinvolti nella politica estera. Manlio Di Stefano, sottosegretario alla Farnesina, a metà novembre 2018 incontra l'ambasciatore iraniano a Roma, Hamid Bayat. La stampa iraniana scrive che ha apprezzato la cooperazione in Yemen. E la complicità, deplorata dall'Onu, con gli Houthi, sciiti yemeniti tacciati di crimini di guerra? Transeat. La presidente della commissione Esteri della Camera, Marta Grande, a ottobre 2018 invita invece in Parlamento due membri del think tank iraniano che nel 2006 organizzò a Teheran la conferenza sul negazionismo dell'Olocausto. Nell'audizione, i due attaccano Stati Uniti e Israele, creando più di qualche dissapore diplomatico con gli interessati. Due mesi dopo, arriva il momento di Vito Petrocelli, pure lui alla guida della commissione Esteri, ma a Palazzo Madama. Il senatore pentastellato presenta un'ardita mozione per impegnare l'allora governo gialloblù a mantenere con l'Iran accordi nucleari e commerciali.Insomma i 5 stelle, tra fughe ed espulsioni, si staranno pure spappolando un pezzetto alla volta. Ma, diamogliene atto, almeno su questo sembrano uniti come un sol uomo: con Teheran, senza se e senza ma. La rotta mediorientale, del resto, è già stata tracciata dall'Elevato e famiglia. Stavolta non serve nemmeno il voto su Rousseau.