2020-01-07
Il generale morto fa il tour dell’Iran. I Pasdaran: «Sarà un nuovo Vietnam»
Funerali con bagno di folla a Teheran per Qassem Soleimani, poi la salma va nella città di Qom, luogo sacro degli sciiti. Ali Khamenei piange sul feretro, la figlia del militare minaccia Washington: «Siete pazzi, i vostri figli periranno».Baruffa su Twitter per il raid non annunciato. Però Barack Obama, in Libia, fece lo stesso. Il presidente: «Pronti a reazioni sproporzionate».Lo speciale contiene due articoli.Arriverà oggi a Kerman la salma di Qassem Soleimani. Il generale dei Pasdaran, ritenuto il numero due del regime iraniano secondo soltanto all'ayatollah Ali Khamenei, verrà sepolto nella sua città natale, capoluogo dell'omonima regione nel Sud Est del Paese, ai margini del deserto di sale chiamato Dash E Lut.Ieri milioni di iraniani si sono ritrovati a Teheran per i funerali del generale ucciso a Baghdad, in Iraq, venerdì da un raid delle forze statunitensi autorizzato dal presidente Donald Trump. Durante il passaggio del feretro la folla sventolava immagini del generale e di Abu Mahdi Al Muhandis, il numero due delle Forze di mobilitazione popolare irachene filoiraniane, morto anch'egli nell'attacco a stelle e strisce. Alla manifestazione anche canti e slogan di vendetta contro Stati Uniti, Regno Unito e Israele.La salma del generale e delle quattro guardie rivoluzionarie uccise assieme a lui a Baghdad sono state accolte ieri mattina a Teheran dall'ayatollah Khamenei in lacrime, arrivate con un volo Mahan Air, la compagnia sotto sanzioni statunitensi per terrorismo e proliferazione nucleare, al centro di una lunga contesta tra il dipartimento di Stato americano e il ministro degli Esteri italiano culminata con lo stop Enac al vettore dal dicembre 15 scorso. La processione nella capitale e la cerimonia all'università sono state trasmesse in diretta dalla televisione di Stato che, in lutto, ha reso omaggio al «martire» Soleimani. Poi il trasferimento per un'altra cerimonia funebre nella città santa di Qom. Proprio qui alcuni giorni fa è stata issata la bandiera dell'imam Hussein, nipote del profeta Maometto, sopra la moschea di Jamkaran. «È il segno che precede ogni grande battaglia: il rosso indica il sangue che verrà versato in guerra come sacrificio e vendetta per la morte di Soleimani», ha spiegato su Twitter Tiziana Ciavardini, studiosa ed esperta di Iran. Che ha aggiunto: «La bandiera simboleggia la forza della battaglia come quella di Kerbala e il colore del sangue che presto verrà versato per vendicare la morte del martire».Soleimani, che verrà oggi sepolto nella sua terra natale, Kerman, si sarebbe trovato venerdì a Baghdad per una trattativa riservata con l'Arabia Saudita per conto del proprio Paese. È quanto dichiarato all'agenzia nazionale irachena dal premier dimissionario Adil Abdul Mahdi. Soleimani, ha detto il capo dell'esecutivo di Baghdad, avrebbe portato un messaggio del suo governo in risposta a un altro proveniente da Riad nel corso di un negoziato diplomatico finalizzato ad allentare le tensioni tra i due Paesi attraverso la mediazione irachena. Il premier Mahdi ha aggiunto che avrebbe dovuto incontrare Soleimani alle 8,30 ora locale del 3 gennaio, cioè nella mattinata di venerdì scorso, quando è stato ucciso dal raid statunitense.I funerali sono stati uno spettacolo di antioccidentalismo puro. La figlia del generale, Zeinab Soleimani, ha ripetuto i concetti pronunciati dal presidente iraniano Hassan Rohani il giorno stesso della morte del generale: le famiglie dei soldati statunitensi in Medio Oriente dovrebbero «aspettarsi la morte dei loro figli». «Pazzo Trump», ha aggiunto, «non pensate che tutto sia finito con il martirio di mio padre». Tra coloro che hanno tenuto un discorso durante la cerimonia il leader politico della formazione palestinese Hamas Ismail Haniyeh, il suo vice Salah Al Aruri, il leader della Jihad islamica Ziad Nakhale e il brigadiere generale Amir Ali Hajizadeh, comandante delle unità aerospaziali dei Pasdaran. Quest'ultimo ha detto: «Anche se colpissimo tutte le basi Usa, o uccidessimo Trump o il suo ministro della Difesa, non sarebbe sufficiente a vendicare l'uccisione di Qassem. Solo l'espulsione degli americani dalla regione lo sarà». Per Ali Akbar Velayati, consigliere di Khamenei «se gli Stati Uniti non ritirano le forze dalla regione, affronteranno un altro Vietnam». Va sottolineato però come la presenza dei leader palestinesi rischi soltanto di aumentare la pressione sull'Iran e sui palestinesi: infatti, i media di Gaza riferiscono che la loro partecipazione rischia di provocare frizioni con i principali Paesi sunniti, Egitto ed Arabia Saudita, finendo per allontanarli anche dalla causa palestinese.C'è, infine, da considerare il fronte diplomatico. Il Giappone, ritenuto fino a poco fa uno dei possibili mediatori tra Usa e Iran, ha annunciato l'invio di una nave da guerra e di due aerei da ricognizione per attività di intelligence nel Golfo a protezione anche delle sue navi commerciali. L'Unione europea, invece, sta provando debolmente a rientrare in partita dopo che anche l'Iran ha annunciato la decisone di abbandonare l'accordo nucleare Jcpoa e iniziare l'arricchimento dell'uranio oltre il 20%, strada maestra verso l'arma atomica. Pur «deplorando profondamente» l'uscita di Teheran, il capo della diplomazia europea Joseph Borrell ha spiegato che l'invito da parte dell'Unione europea al ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif a recarsi a Bruxelles resta valido. Ma Bruxelles prima non ha difeso l'accordo dopo l'uscita degli Usa irritando l'Iran, poi ha deluso Washington per le reazioni all'uccisione di Soleimani. Ecco perché l'Ue, vittima anche degli individualismi francese e tedesco, pecca di superbia quando prova a proporsi come mediatrice su un accordo nucleare morto da tempo.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-generale-morto-fa-il-tour-delliran-i-pasdaran-sara-un-nuovo-vietnam-2644288483.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-congresso-censura-trump-ma-con-obama-non-fiato" data-post-id="2644288483" data-published-at="1758115665" data-use-pagination="False"> Il Congresso censura Trump ma con Obama non fiatò La crisi iraniana sta determinando profonde fratture dalle parti di Washington. Donald Trump ha affermato che gli Stati Uniti potrebbero rispondere in modo «sproporzionato» ad un eventuale attacco iraniano, lasciando inoltre intendere che i suoi tweet basterebbero come notifiche al Congresso in caso di ritorsioni militari da parte americana. Non si è fatta troppo attendere la replica della commissione esteri della Camera che - sempre su Twitter - ha dichiarato: «Questo post servirà a ricordare che i poteri di guerra appartengono al Congresso ai sensi della Costituzione degli Stati Uniti. E che dovresti leggere il War Powers Act. E che non sei un dittatore». Nei giorni scorsi, i democratici hanno criticato Trump per aver ordinato l'uccisione di Soleimani senza chiedere l'autorizzazione del Congresso. La speaker dem della Camera, Nancy Pelosi, ha quindi annunciato che presenterà una risoluzione, volta a limitare il potere del presidente sul dossier iraniano: tutto ciò, nonostante si tratti di una situazione sostanzialmente simile a quella in cui si trovò Barack Obama, quando nel 2011 avviò l'intervento bellico in Libia senza chiedere alcun beneplacito del Campidoglio. Il consigliere dell'attuale presidente, Kellyanne Conway, ha comunque difeso ieri la scelta di bypassare il Congresso, sostenendo che Trump non si fidi di alcuni parlamentari democratici: parlamentari che - ha detto - avrebbero potuto far trapelare dettagli alla stampa. «Sembra che stiano difendendo Soleimani e attaccando questo presidente», ha chiarito, «Sono un po' stanca di questo culto eroico verso chiunque il presidente abbia eliminato». Le fibrillazioni non si fermano tuttavia qui. L'inquilino della Casa Bianca si è infatti detto intenzionato ad imporre pesanti sanzioni economiche sull'Iraq, qualora il Paese obbligasse le truppe statunitensi lì stanziate a ritirarsi. «Se c'è qualche ostilità, se fanno qualsiasi cosa riteniamo inappropriata, applicheremo sanzioni all'Iraq, sanzioni molto grandi all'Iraq», ha minacciato il presidente, che ha aggiunto: «Abbiamo una base aerea straordinariamente costosa che è lì. Costruirla è costato miliardi di dollari. Molto prima che io mi insediassi. Non ce ne andremo se non ci ridaranno i soldi». Non dimentichiamo che domenica scorsa il Parlamento iracheno aveva votato una risoluzione non vincolante per espellere i soldati stranieri dal territorio e smantellare l'accordo che consente a Washington di inviare truppe in loco per contrastare l'Isis. Intanto il premier iracheno, Mahdi, ha ricevuto ieri l'ambasciatore cinese, che ha garantito il sostegno di Pechino al Paese. Se le relazioni con Baghdad non sembrano ottimali, ben peggiori risultano quelle con Teheran. Trump ha infatti ribadito la sua disponibilità ad attaccare i siti culturali iraniani. «Possono usare bombe lungo la strada e far esplodere la nostra gente. E non ci è permesso di toccare i loro siti culturali? Non funziona così», ha tuonato. Dura anche la posizione sul disimpegno iraniano dall'accordo sul nucleare. «L'Iran non avrà mai un'arma nucleare», ha twittato ieri. Sul tema è intervenuto anche il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, secondo cui «gli alleati hanno affermato che l'Iran non deve mai ottenere l'arma nucleare e si sono detti preoccupati dal programma missilistico dell'Iran». Il segretario ha tuttavia voluto precisare che l'eliminazione di Soleimani sia stata una «decisione Usa e non della Nato». La Conway ha comunque reso noto ieri che Trump sarebbe ancora fiducioso sulla possibilità di rinegoziare con Teheran l'intesa sul nucleare.