2018-08-12
Il filosofo che inguaia la capotreno ora ce l’ha con la Lega: «Odio verso di me»
L'ex blogger dell'Unità Raffaele Ariano: «Scatenati 42.000 haters contro di me». Ma, insulti a parte, perché non risponde alle critiche?Da Emmanuel Macron ai democratici americani nasce l'internazionale della censura. A Londra vietato criticare l'islam, profili di destra schedati in Francia e banditi negli Usa.Lo speciale contiene due articoli.Raffaele Ariano, ricercatore cremonese autoproclamatosi paladino dell'antirazzismo, si è accorto che la notorietà non porta con sé soltanto applausi. Ci sono anche critiche e, dai meno educati, piovono pure insulti. Soprattutto se la fama mediatica è stata conseguita mettendo alla pubblica gogna una capotreno di Trenord, esasperata dalle difficoltà del suo lavoro, dalle minacce, dai soprusi di chi non paga il biglietto e da quella umanità che trasforma i convogli regionali in trincee di guerra.Non vogliamo giustificarla, ha sbagliato nei toni e si è anche scusata. Presumiamo sia pentita. Quell'annuncio sul regionale 2653 da Milano era sintomo di una persona, una lavoratrice, esacerbata: «I passeggeri sono pregati di non dare monete ai molestatori. E nemmeno agli zingari. Scendete alla prossima fermata, perché avete rotto i c...». Ha sbagliato lo sa, ma le sono saltati i nervi davanti all'ennesimo passeggero, che nel caso specifico era un rom, che disturbava, non voleva pagare il biglietto e neppure scendere. Errare fa purtroppo parte della imperfetta natura umana. Ma resta anche il fatto che il crescente numero dei controllori aggrediti, presi a calci e pugni e bersagli di provocazioni desta preoccupazione, anche tra i sindacati di sinistra. Non si tratta di un tranquillo lavoro da scrivania.Detto questo, Raffaele Ariano, dopo aver rilasciato interviste in ogni angolo del Web, adesso lamenta di essere diventato obiettivo, assieme alla sua famiglia, degli haters. Che gli hanno rivolto una sequela di insulti e minacce. Quindi ha presentato denuncia alla polizia postale che, come suo dovere, passerà al setaccio i post di offesa e intimidazione provenienti dai social. Quello che stupisce è la sorpresa di Ariano nell'accorgersi che la Rete non è frequentata solo da gentleman, fatto che dovrebbe conoscere essendo lui ex blogger dell'Unità. Secondo il ricercatore in filosofia, ad avere orchestrato il bombardamento di messaggi contro di lui sarebbe stata la Lega segnalando il suo profilo Facebook. Ma non c'era alcun segreto. E non c'era alcun bisogno di segnalazioni, visto che è lo stesso Raffaele Ariano ad aver divulgato il suo nome. In sostanza, non pare che si sia adoperato per difendere la sua privacy, anzi tutt'altro.Il che è perfettamente lecito, stride però con le sue lamentele per essere stato preso di mira dagli haters, che ovviamente non incontrano la nostra simpatia e che condanniamo. Tuttavia - come nel caso dei tweet contro il Quirinale dopo la bocciatura di Paolo Savona a ministro dell'Economia - un conto è insultare, ben altro è esprimere un'opinione che può essere critica, anche aspra, ma senza scivolare nell'offesa.Leggiamo, per esempio, i commenti scritti sulla vicenda dai lettori della Provincia di Cremona, il giornale locale che più si è occupato del caso e che, certamente, non è organo della Lega né tanto meno megafono di pulsioni xenofobe. Scrive Renzo: «Se fosse coerente, oltre a denunciare la frase presunta razzista, avrebbe dovuto denunciare anche coloro che, sprovvisti di titoli, stavano viaggiando sul treno. Questo rappresenta un furto, quindi un reato, e non ci si può voltare da un'altra parte...». E ancora Rosso Verdi: «Ecco svelato il mistero: la denuncia si deve nientemeno che a un ricercatore! La prova che troppi studi portano talvolta molto lontano dalla realtà dove vive (e parla) la gente comune. L'intellettuale del politically correct, invece di preoccuparsi del degrado e dell'illegalità, si strugge a favore di gente che non solo circola abusivamente sui treni, ma disturba anche gli altri viaggiatori chiedendo soldi. Lui invece si preoccupa del fatto che sono stati chiamati zingari molestatori e invitati a scendere». Un altro lettore, Vittorio, si rivolge direttamente all'ex blogger di sinistra: «Signor Raffaele Ariano non capisco, ma sembrerebbe che lei sia un pendolare che tutti i giorni elargisce carità cristiana sotto forma di donazioni in denaro agli zingari che, solo con lei, hanno un approccio educato e non insistente. Se le cose stanno così, quello che scrive ha una sua logica!». Come si vede, non ci sono insulti e non sono presenti offese, eppure sono in molti a giudicare eccessiva la denuncia, e la ribalta della medesima, di Ariano. Fabio gli manda la sua solidarietà e condanna quelli che lo hanno minacciato «dietro il paravento dei social». Però puntualizza: «Anch'io sono più a favore della capotreno perché bisogna vedere tutto il contesto nel quale è avvenuto il fatto (il personale viaggiante è sottoposto a stress, basta leggere le cronache di quello che subiscono): forse avrebbe dovuto farlo anche lui e poi, se non soddisfatto delle spiegazioni, fare la sua denuncia. Siamo in un Paese democratico e ognuno ha libertà di pensiero. Quindi anche se non d'accordo con lui si può esporre il proprio pensiero».La maggior parte dei commenti va in questa direzione: perché se è così ligio non ha denunciato anche i viaggiatori abusivi? Perché non ha pensato alle conseguenze della sua denuncia e alle condizioni difficili in cui lavora il personale dei treni? Perché tirare di mezzo il governo Conte? E ancora: perché non ha, almeno momentaneamente, bloccato il suo account Facebook? Forse perché tanti messaggi, anche negativi, aumentano la popolarità?Ripensamenti, comunque, Raffaele Ariano pare non averne. Nonostante i 42.000 post che dichiara avere ricevuto dagli haters. Alla domanda lei lo rifarebbe?, ecco la sua risposta: «Assolutamente sì. Anzi, le reazioni suscitate rafforzano ulteriormente la mia convinzione che episodi del genere vadano resi pubblici. Per questo ho lasciato aperta e visibile a tutti la mia bacheca su Facebook: gli insulti che ho ricevuto da persone a me sconosciute devono essere visti e registrati, addirittura scolpiti nella pietra. Bisogna vedere cos'è diventata l'Italia e rendersi conto del fatto che questi sono gli elettori della Lega, dei 5 stelle e in primis di Matteo Salvini, che non cercano di arginare, ma anzi alimentano e sfruttano il clima di odio e xenofobia».Alfredo Arduino<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-filosofo-che-inguaia-la-capotreno-ora-ce-lha-con-la-lega-odio-verso-di-me-2594876720.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="da-macron-ai-democratici-americani-nasce-linternazionale-della-censura" data-post-id="2594876720" data-published-at="1757675856" data-use-pagination="False"> Da Macron ai democratici americani nasce l’internazionale della censura Sta forse nascendo una «internazionale» della censura e della schedatura? Difficile dirlo, ma certamente inquietano - dagli Usa alla Francia, passando per il Regno Unito - alcuni episodi che testimoniano la condizione precaria della libertà di parola nel nostro Occidente. In qualche caso, c'è un movente di faziosità politica, in altri i frutti avvelenati del «politicamente corretto»: ma il risultato finale è lo stesso. Cominciamo dagli Stati Uniti, dove, nelle riviste della sinistra antitrumpiana, sono in corso i festeggiamenti per la decisione di Facebook, YouTube, Apple e Spotify (ma non di Twitter) di rimuovere tutti i contenuti (pagine, podcast, audiovideo) di Alex Jones, un conduttore radiofonico (per inciso, sostenitore di Trump: di qui il giubilo della sinistra) accusato di diffondere teorie cospirazioniste. Intendiamoci: Jones ha spesso alimentato tesi repellenti (sull'11 settembre, sulla guerra in Siria, sulle stragi nelle scuole), ma forse questa è una delle prime volte in cui negli Usa si accetta una clamorosa lesione del «free speech» reso sacro dal Primo emendamento. Non è difficile immaginare cosa potrebbe accadere in Europa, dove le barriere costituzionali non sono certo più forti, e dove la magistratura potrebbe farsi direttamente paladina dalla lotta all'«hate speech» (incitamento all'odio), stabilendo pericolose frontiere tra ciò che «si può» e «non si può» dire. Perfino la gloriosa Inghilterra vive tempi cupi. È di questi giorni l'aggressione (nel suo stesso partito conservatore) contro Boris Johnson, l'ex ministro degli Esteri. Personaggio fiammeggiante, in Italia raccontato solo per i suoi capelli scarmigliati: ma in realtà un giornalista di raro talento (leggendarie le sue antiche corrispondenze euroscettiche da Bruxelles per il Telegraph) e uno scrittore coi fiocchi (segnalo la sua biografia di Churchill e un saggio coltissimo sull'Impero romano). Questa settimana Johnson ha osato l'inosabile: ha attaccato l'estremismo islamista e il burqa come offesa alla libertà. Da conservatore liberale, non vuole un divieto giuridico del burqa, ma pretende di mantenere il diritto di definirlo un orrore. Così, ha detto che le donne che lo indossano sono ridotte alla condizione di «cassette della posta» o di «rapinatrici». Apriti cielo! Theresa May pretende le sue scuse, e nel suo partito sarà sottoposto a una specie di inchiesta. Clima impensabile anche nelle università inglesi. Secondo una ricerca dell'Adam Smith Institute, nel 90% delle università del Regno Unito sono avvenuti negli ultimi anni episodi di censura. A Oxford, un anno fa, vi fu un tentativo di rimuovere la statua di Cecil Rhodes, in quanto «imperialista e colonialista». È sempre più comune la pratica dei «safe space», cioè di spazi concessi ad associazioni autorizzate a escludere opinioni diverse dalle loro: tenendo fisicamente fuori libri e interlocutori «sgraditi». Sempre più regolarmente, gli insegnanti hanno l'obbligo di dare il «trigger warning» (cioè un avvertimento) all'inizio di una lezione, nel caso in cui stiano per affrontare temi sensibili (religione, sesso, ecc), in modo da consentire (ad esempio agli studenti islamici) di lasciare l'aula. È via via più diffusa la figura orwelliana del «diversity officer», un funzionario che, seguendo le lezioni, ha il compito di cogliere le espressioni offensive e di segnalarle in privato al «colpevole», prospettando sanzioni. Così, opinioni non conformiste (o semplicemente non conformi) sono classificate come «hate speech». L'ultima tappa di questo viaggio (forse la peggiore) ci porta in Francia, e a una sorta di schedatura di massa. Un'entità dai contorni da chiarire, l'agenzia di comunicazione DisinfoEU ha organizzato un megamonitoraggio dei profili Twitter che si sono attivati contro Emmanuel Macron nel corso del Benalla-gate, il tentativo dell'Eliseo di proteggere le imprese (pestaggio di manifestanti, più gli incredibili privilegi) del bodyguard intimo della coppia presidenziale. Così sono stati classificati 55.000 account, suddivisi per «categorie», con una particolare attenzione a quelli ritenuti «russofili». Molti interessati hanno immediatamente sporto denuncia presso il garante della privacy. E la cosa che ha destato sconcerto è che tale Marina Tymen, una delle «consulenti» dell'associazione, sembra essere un'entusiasta attivista di En Marche, il partito di Macron. Tutte situazioni diverse, come si vede, ma un unico denominatore: la libertà d'espressione in pericolo. Daniele Capezzone