2023-12-16
Il compositore assassino «rivive» in un vino
Il compositore Carlo Gesualdo. A destra, l'etichetta a lui dedicata dalla Cantina di Venosa (Getty Images)
La Cantina di Venosa in Basilicata commemora con rosso, bianco e rosato la morte dei nobili Maria d’Avalos e Fabrizio Carafa, amanti uccisi dal marito della donna, Carlo Gesualdo. I vitigni sono un’eccellenza del Vulture, come già certificava il poeta Orazio.Nella notte fra il 16 e il 17 ottobre del 1590 due persone vengono massacrate a Napoli nel Palazzo di Sangro, residenza dei principi di Venosa: sono Maria d’Avalos e Fabrizio Carafa, amanti, bellissima nobildonna lei, duca d’Andria lui. Vengono sorpresi a letto in atteggiamenti inequivocabili, in seguito a una delazione, dal marito della donna, nonché padrone di casa, Carlo Gesualdo, celeberrimo compositore di madrigali. È una esecuzione: i bravacci che scortano il principe cornificato a un suo ordine scaricano gli archibugi sui due. Secondo alcuni storici, Maria non morì subito. Gesualdo la finì pugnalandola ripetutamente nel basso ventre.Il duplice omicidio sollevò un enorme scalpore nel regno aragonese di Napoli, nello Stato Pontificio e in parecchie corti italiane dove il musicista assassino era celebre e celebrato. Oltre alla fama di madrigalista, il principe di Venosa era nipote di due cardinali, Alfonso Gesualdo e Carlo Borromeo, il futuro santo, e pronipote di un Papa, Pio IV. Tra gli amici della coppia c’era il grande Torquato Tasso che in occasione del matrimonio dedicò loro un sonetto. Il processo durò un giorno: Gesualdo fu assolto per giusta causa. Delitto d’onore. Franco Battiato, 400 anni dopo gli dedicò una canzone nell’album L’ombrello e la macchina da cucire: «I madrigali di Gesualdo,/ Principe di Venosa,/ musicista assassino della sposa./ Cosa importa?/ Scocca la sua nota,/ dolce come rosa».Nunc est bibendum, arriviamo al vino del territorio. Gesualdo era nato a Venosa nel 1566. È tutt’ora uno dei compositori del tardo Rinascimento più famosi al mondo. Ha dato molto lustro al paese natio. Venosa, bellissima cittadina, uno dei borghi più belli d’Italia, lo ha ricambiato celebrando la sua musica in varie manifestazioni, raccontando la penosa vita e la lunga agonia - vide morire tutti i figli e si spense oppresso dai rimorsi e dai peccati - prima della morte. Il feroce delitto continua a far notizia per le tre «esse»: sesso, sangue, soldi. A Venosa la truce storia è stata perfino… imbottigliata.La Cantina di Venosa, unica cooperativa vitivinicola della Basilicata, fra le più importanti del Sud Italia (vanta 350 soci e 800 ettari di vigne coltivate in gran parte ad aglianico, produce due milioni di bottiglie) ha creato una linea top che con tre vini molto particolari: il Gesualdo da Venosa, rosso, al 100 % aglianico del Vulture Dop; il D’Avalos, greco bianco con riflessi rinascimentali; l’Incomodo, merlot rosato. Lui, lei, l’altro. Tre vini eccellenti. In particolare il Gesualdo, figlio dei terreni vulcanici che si stendono alle falde del Vulture, come riconosce la guida Bibenda 2024 che gli ha assegnato cinque grappoli, il massimo riconoscimento. Il carattere esplosivo del vulcano e la musicalità e il temperamento del personaggio di cui porta il nome ha trasmesso carattere al vino.Nunc est bibendum. Chi non conosce questo verso di Quinto Orazio Flacco, uno dei più grandi poeti dell’antichità, anche lui figlio di Venosa? Non c’è vigneto, cantina, osteria o ristorante, che non sventoli la bandiera del Nunc. Da secoli è la filosofia di chi apprezza il succo della vite per il colore, il profumo, il sapore; per l’armonia e il carattere, l’allegria, l’amicizia, la convivialità. Il Nunc di Orazio ha attraversato i secoli in bocca ai goliardi, agli artisti, ai poeti. Il vino, per Orazio, era un antidepressivo, soprattutto nella cattiva stagione, quando la natura, anche quella interiore all’uomo, s’intristiva. Ma avvertiva: mai ubriacarsi, per non sproloquiare e per non apprezzare il gusto dei cibi.Il poeta cavalca il tema nelle Odi: «Il vino è un gran cavallo,/ per un poeta lepido;/ ma se tu berrai acqua,/ non partorirai nulla di buono». Attenzione, però, a non isolare queste frasi dal pensiero di Orazio. L’amico di Mecenate, apprezzato dall’imperatore Augusto per l’eleganza del verso e per l’altezza della lirica, non era un crapulone, un gozzovigliatore. Al contrario, i suoi gusti erano semplici. Anche il Carpe diem, l’altro suo celeberrimo verso, non era un invito alla sregolatezza dei piaceri, ma un consiglio a godere le semplici gioie di ogni giorno perché il futuro è imprevedibile.Il poeta di Venosa predicava una filosofia della vita genuina, schietta come il vino che amava: l’aglianico, appunto. Che ai suoi tempi si chiamava Ellenico perché il vitigno era stato introdotto in Italia - Enotria, la terra del vino - dai Greci. Furono i Romani a chiamarlo Ellenico e a usarlo per migliorare la qualità del Falerno, il vino più amato dai grandi poeti dell’impero, Orazio compreso. L’Ellenico cambiò il nome in Aglianico nel quindicesimo secolo, durante il regno degli Aragonesi.A quali piatti Orazio abbinava l’Ellenico-Falerno? A cibi molto semplici. Quando non era costretto a partecipare ai banchetti patrizi amava prepararsi una scodella di zuppa fatta con porro, ceci e lagane. La lagana è l’antenata della lasagna e della lasagnetta, un impasto fresco di acqua e farina tirato sottile. Ancora adesso, duemila e passa anni dopo, uno dei piatti tipici di Venosa e di tutta la Lucania, è il piatto del grande poeta: lagane e ceci. Modernizzato con aglio, pomodoro e olio di oliva, ma sempre lagane e ceci è. Tutt’al più si possono sostituire i ceci con le cicerchie, altro gustoso legume antico. Nella zona del Vulture, degli incantevoli laghetti di Monticchio che occupano il cratere dell’antico vulcano, la pasta con i legumi è ancora chiamata «il piatto del brigante» perché ne erano ghiotti i masnadieri che nell’Ottocento infestavano i boschi del Vulture.Orazio, nelle Satire, raccomanda sale e semplicità: «Cum sale panis latrantem stomachum bene leniet»: il pane con il sale darà una bella calmata allo stomaco che abbaia (per la fame). Molto importanti erano anche le uova che dovevano essere servite all’inizio - ab ovo - del banchetto. Orazio consigliava le uova di longa facies, di forma allungata, perché erano più saporite e fornivano un importante apporto proteico all’alimentazione quotidiana, fatta in gran parte di verdure e legumi. «Chi mangia bene», sentenzia in una Epistola, «vive felice». Ne dà un esempio nelle Satire raccontando la vita tranquilla e beata di Ofello, saggio contadino della Venusia romana, una sorta di Bertoldo dell’antichità, che non può stare senza i piatti frugali della sua terra. È la lezione di Socrate: il miglior condimento è la fame, cibi condimentum esse famem.Sono passati duemila anni, ma la lezione è ancora applicata nella cucina venosina, in casa e nei ristoranti. È una cucina di terra e di carne, di territorio ed emozioni. Di poesia e semplicità legata ai ritmi e ai prodotti delle stagioni. Della bontà delle zuppe abbiamo detto. Nel menu venosino c’è la mitica ciambotta, stufato di verdure (peperoni, pomodori, melanzane, patate su soffritto d’aglio e cipolla) cui si possono aggiungere salsiccia e uova. E i peperoni cruschi? Straordinari. Hanno un sapore unico, inconfondibile. Cruschi significa croccanti: prima si fanno essiccare, poi si friggono nell’olio. Scrocchiano tra le dita e in bocca. Musica al palato. Il peperone crusco è alla base di piatti indimenticabili, con la pasta, con il baccalà. Cos’altro? Di tutto e di più: cavatelli con cime di rapa e carne; past’ e tar’ cucòzz (penne con talli di zucca e pomodori pelati); tagliolini con tartufo e funghi cardoncelli «strascinati» con verza, cicerchie e salsiccia; tegame al forno con migliatidd (interiora di agnello avvolte in budello) Il vino? Aglianico, of course. «È un vino iconico», affermano Francesco Perillo e Donato Gentile, presidente ed enologo della Cantina di Venosa. Nasce grazie a un territorio straordinario e a tecniche di produzione moderne e rispettose della qualità. È un rosso ricco di frutto e struttura nobile, elegante, al tempo stesso slanciato e moderno». Alla faccia di chi lo vuole «nordizzarlo» chiamandolo barolo del Sud.
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)
13 agosto 2025: un F-35 italiano (a sinistra) affianca un Su-27 russo nei cieli del Baltico (Aeronautica Militare)
La mattina del 13 agosto due cacciabombardieri F-35 «Lightning II» dell’Aeronautica Militare italiana erano decollati dalla base di Amari, in Estonia, per attività addestrativa. Durante il volo i piloti italiani hanno ricevuto l’ordine di «scramble» per intercettare velivoli non identificati nello spazio aereo internazionale sotto il controllo della Nato. Intervenuti immediatamente, i due aerei italiani hanno raggiunto i jet russi, due Sukhoi (un Su-27 ed un Su-24), per esercitare l’azione di deterrenza. Per la prima volta dal loro schieramento, le forze aeree italiane hanno risposto ad un allarme del centro di coordinamento Nato CAOC (Combined Air Operations Centre) di Uadem in Germania. Un mese più tardi il segretario della Nato Mark Rutte, anche in seguito all’azione di droni russi in territorio polacco del 10 settembre, ha annunciato l’avvio dell’operazione «Eastern Sentry» (Sentinella dell’Est) per la difesa dello spazio aereo di tutto il fianco orientale dei Paesi europei aderenti all’Alleanza Atlantica di cui l’Aeronautica Militare sarà probabilmente parte attiva.
L’Aeronautica Militare Italiana è da tempo impegnata all’interno della Baltic Air Policing a difesa dei cieli di Lettonia, Estonia e Lituania. La forza aerea italiana partecipa con personale e velivoli provenienti dal 32° Stormo di Amendolara e del 6° Stormo di Ghedi, operanti con F-35 e Eurofighter Typhoon, che verranno schierati dal prossimo mese di ottobre provenienti da altri reparti. Il contingente italiano (di Aeronautica ed Esercito) costituisce in ambito interforze la Task Air Force -32nd Wing e dal 1°agosto 2025 ha assunto il comando della Baltic Air Policing sostituendo l’aeronautica militare portoghese. Attualmente i velivoli italiani sono schierati presso la base aerea di Amari, situata a 37 km a sudovest della capitale Tallinn. L’aeroporto, realizzato nel 1945 al termine della seconda guerra mondiale, fu utilizzato dall’aviazione sovietica per tutti gli anni della Guerra fredda fino al 1996 in seguito all’indipendenza dell’Estonia. Dal 2004, con l’ingresso delle repubbliche baltiche nello spazio aereo occidentale, la base è passata sotto il controllo delle forze aeree dell’Alleanza Atlantica, che hanno provveduto con grandi investimenti alla modernizzazione di un aeroporto rimasto all’era sovietica. Dal 2014, anno dell’invasione russa della Crimea, i velivoli della Nato stazionano in modo continuativo nell’ambito delle operazioni di difesa dello spazio aereo delle repubbliche baltiche. Per quanto riguarda l’Italia, quella del 2025 è la terza missione in Estonia, dopo quelle del 2018 e 2021.
Oltre ai cacciabombardieri F-35 l’Aeronautica Militare ha schierato ad Amari anche un sistema antimissile Samp/T e i velivoli spia Gulfstream E-550 CAEW (come quello decollato da Amari nelle immediate circostanze dell’attacco dei droni in Polonia del 10 settembre) e Beechcraft Super King Air 350ER SPYD-R.
Il contingente italiano dell'Aeronautica Militare è attualmente comandato dal colonnello Gaetano Farina, in passato comandante delle Frecce Tricolori.
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