2020-03-06
L’azienda del primo focolaio europeo ha due sedi e 541 dipendenti in Italia
La Webasto, azienda del manager bavarese contagiato a gennaio da una cinese, opera a Torino e Bologna. La filiale italiana: «Nessun rapporto con la divisione coinvolta». E i tamponi? «Non li abbiamo effettuati».La rivista Nejm ripubblica lo studio che fa luce sull'infezione scoppiata in Germania. Prima di Codogno e forse a esso collegata.Lo speciale contiene due articoli.A Venaria Reale, paesone dell'area metropolitana di Torino, in corso Asti, la Webasto Spa, azienda dell'automotive che produce tetti panoramici apribili, modanature in policarbonato, box per batterie agli ioni di litio e componenti vari, è al lavoro con i suoi 339 addetti. L'unità locale produce, i camion scaricano materie prime e caricano i componenti per auto ultimati da immettere sul mercato. Stessa scena a Molinella, in provincia di Bologna, dove, però, i 202 addetti sono per la gran parte impiegati. Nelle due sedi italiane dell'azienda, che sembra aver ospitato il primo focolaio europeo di coronavirus, le giornate paiono scorrere tranquille. «Qui stiamo tutti bene», confermano dall'ufficio stampa contattato dalla Verità seguendo la voce guida del centralino che risponde al numero di telefono collegato al sito dell'azienda bolognese. Dalla casa madre, che ha il suo quartier generale a Stockdorf, a pochi chilometri da Monaco di Baviera, il 28 gennaio hanno comunicato tramite la mail interna e poi anche sul sito Web aziendale che un manager era risultato positivo al coronavirus (successivamente l'uomo ha contagiato tutta la sua famiglia: la moglie e due figli). In pochi giorni il virus si è diffuso nel quartier generale della Webasto e qualche giorno dopo il bollettino dei contagiati è salito a 14 («tutti guariti», ha comunicato proprio ieri l'azienda, «e tornati alle loro case, da familiari e amici»). Il paziente zero, nel caso della Webasto (e, stando a uno studio americano scovato ieri dalla Verità, forse anche in Europa), era una dipendente cinese che aveva raggiunto Stockdorf per una riunione tra il 20 e il 21 gennaio. Aveva incontrato il collega tedesco contagiato ed era ripartita per Wuhan, città dalla quale il Covid-19 si è diffuso in tutto il mondo. Lì, coincidenza, la multinazionale di Stockdorf ha una sede produttiva (ma gli stabilimenti in tutta la Cina sono 12. L'azienda bavarese deve il successo degli ultimi anni soprattutto al business cinese da 1,2 miliardi di euro sui 3,5 miliardi complessivi di fatturato). Dei 13.000 addetti, 3.500 sono impegnati lì. Al suo rientro, pur essendo asintomatica, la dipendente cinese ha scoperto di essere stata contagiata dal coronavirus. L'azienda, quindi, dal 28 gennaio in poi, ovvero a quasi 10 giorni di distanza dalla visita della dipendente partita da Wuhan, è corsa ai ripari: ha disposto un isolamento di 14 giorni nel quartier generale per evitare una ulteriore diffusione del virus tra gli uomini della compagnia (gli impiegati hanno continuato a lavorare dalle loro abitazioni), ha bloccato i viaggi di lavoro da e per la Cina fino alla fine di marzo 2020, avviato test tra i propri dipendenti e chiuso la sede di Wuhan per pulire e disinfettare gli uffici e gli impianti. Per le relazioni con i Paesi considerati a rischio (Cina, Sud Corea, Iran e - ironia amara della sorte - Italia), invece, la Webasto ha un regolamento interno. La compagnia ha previsto che gli impiegati possano intraprendere volontariamente i viaggi di lavoro pianificati, ma solo dopo l'eccezionale approvazione della direzione. «Le nostre sedi italiane non hanno avuto relazioni con la divisione colpita in Germania da coronavirus», afferma Elena Girardi dell'ufficio marketing e communication manager della Webasto. E se per gli uffici di Molinella ci sarebbero stati contatti regolari con la casa madre (ma non con la divisione colpita) fino alla scoperta del contagio, con Venaria Reale, che è uno stabilimento produttivo, invece, stando alle informazioni fornite dall'ufficio stampa, pare non sia previsto alcun contatto esterno. «A me non risulta che siano stati fatti i tamponi», dice Girardi, «ma, comunque, qui in Italia non sono stati segnalati casi di contagio». Sul motivo per il quale non sono stati fatti i tamponi nelle sedi italiane l'ufficio stampa non sa rispondere. «Bisognerebbe parlare con il capo delle risorse umane», sostiene Girardi, «che in questo momento è molto impegnato». Inutile insistere: «Da qualche giorno», afferma Girardi, «non risponde neanche a me». E, infatti, tutti i tentativi di contatto passando per il centralino sono stati inutili. Impossibile riuscire a ottenere un numero di cellulare. «L'azienda», spiega la communication manager, «è stata da subito molto trasparente. Noi dipendenti siamo stati informati con il sistema di comunicazione interno, mentre tutti gli aggiornamenti sui contagi da coronavirus sono stati pubblicati sul sito Web aziendale». E anche negli stabilimenti italiani, stando alle comunicazioni ufficiali, pur non essendoci casi di contagio segnalati, sono comunque state adottate tutte le precauzioni disposte da Stockdorf e comunicate dall'ufficio delle risorse umane: «Non facciamo viaggi né trasferte e non abbiamo avuto contatti con contagiati», chiosa Gerardi. Si spiegherebbe così la scelta di non effettuare test sanitari su tutto il personale: non essendo stati segnalati al management dipendenti con i sintomi da coronavirus, probabilmente è stata ritenuta una operazione superflua. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-colosso-tedesco-del-focolaio-1-da-noi-ha-due-sedi-e-541-dipendenti-2645398840.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="grazie-alla-verita-e-chiaro-a-tutti-non-siamo-gli-untori" data-post-id="2645398840" data-published-at="1757875542" data-use-pagination="False"> Grazie alla «Verità» è chiaro a tutti: non siamo gli untori Nelle ultimi giorni la scienza sta ribaltando la vulgata che dipinge gli italiani come gli untori del mondo. Una credenza infamante, peraltro, alimentata dallo stesso premier Giuseppe Conte, che appena dieci giorni fa accusava di negligenza l'ospedale di Codogno: «Non ha rispettato i protocolli favorendo la nascita di uno dei due focolai che ora cerchiamo di contenere con misure draconiane». I danni di questo fuoco amico - compresa la vergognosa infografica pubblicata mercoledì dalla Cnn nella quale si indicava il nostro Paese (e non la Cina) come l'epicentro del contagio a livello globale - sono sotto gli occhi di tutti. Oggi un numero crescente di ricercatori, invece, è pronto a mettere seriamente in dubbio il dogma secondo il quale il Coronavirus si sia servito del nostro Paese come testa di ponte dalla Cina per la sua diffusione nel resto del mondo. E la Verità è stata la prima a raccontare questa sorprendente inversione di marcia. Crescono le evidenze scientifiche a sostegno dell'ipotesi che, prima di approdare nel nord Italia, in realtà il patogeno sia sbarcato altrove. Per la precisione in Germania. C'è prima di tutto l'aspetto epidemiologico, quello legato cioè alla diffusione del virus. La notizia è circolata sui siti di informazione ieri, ma era già sulle nostre pagine dalla mattina: il «paziente 1» europeo non è italiano, bensì tedesco. Si tratta di un manager di 33 anni della Webasto, azienda di componentistica auto con sede a Stockdorf, in Baviera. Dopo aver presentato intorno al 24 gennaio i sintomi classici del Covid-19 (febbre, tosse e dolori articolari) e averli scambiati per le conseguenze di una banale influenza, il 27 dello stesso mese l'uomo era tornato tranquillamente al lavoro. Peccato però - per lui e per noi - che pochi giorni prima, precisamente tra il 20 e il 21 gennaio, aveva partecipato a Monaco ad alcuni incontri di lavoro con una collega cinese, asintomatica durante la permanenza in Germania ma poi risultata positiva al test al rientro in patria. Dal momento che i due erano stati a stretto contatto, l'uomo aveva ricevuto dalle autorità locali una convocazione per effettuare il tampone, risultando anch'egli positivo. Nel frattempo aveva contagiato alcuni colleghi, dando origine al primo focolaio europeo. La storia del giovane uomo d'affari della Webasto è descritta nei dettagli in un articolo redatto da un gruppo di ricercatori dell'Università di Monaco, e pubblicata sulla prestigiosa rivista New England journal of medicine il 30 gennaio scorso, dunque molti giorni prima che il «paziente 1» di Codogno risultasse positivo al test. E spunta anche un piccolo giallo. Curiosamente, infatti, la stessa e identica lettera è stata ripubblicata sul Nejm con la nuova data di ieri. Contattata dalla Verità, una delle autrici dell'articolo, la dottoressa Camilla Rothe, ha parlato di un «errore tecnico», confermando che «l'articolo è stato già pubblicato (a gennaio, ndr) e lo stesso e identico testo non avrebbe dovuto essere pubblicato nuovamente». Certo, curioso che il caso del «paziente 1» tedesco sia scoppiato proprio all'indomani della pubblicazione dei risultati sulle similitudini genetiche tra i campioni di virus prelevati in giro per il mondo. Come spiegato ieri in anteprima dalla Verità, secondo il ricercatore che ha messo insieme i dati, Trevor Bedford, il ceppo tedesco sarebbe il «diretto antenato» di quello italiano, e perciò responsabile «di una certa frazione dell'epidemia in corso in Europa». Successivamente, con una serie di tweet, Bedford ha precisato che «i risultati non sono definitivi» e che quella illustrata «non è l'unica possibilità». Ma la sostanza cambia davvero di poco, anche perché un altro gruppo di ricercatori che si è occupato di studiare i primi casi del Covid-19 in Sudamerica è giunto alle medesime conclusioni di Bedford. La somiglianza di una campione brasiliano con il ceppo tedesco suggerisce che, prima di transitare in Italia, il patogeno si trovasse in Germania. Un dubbio ci assale: se il virus si è spostato dalla Baviera alla Lombardia, forse allora la Germania non ha fatto abbastanza per contenere il contagio. È vero che lo stabilimento della Webasto a Stockdorf è rimasto chiuso per 14 giorni, e tutte le persone ricoverate sono state dimesse in questi giorni dalle strutture ospedaliere. Ma nessuno può mettere la mano sul fuoco sull'accuratezza delle misure di contenimento messe in atto in quei giorni, anche perché l'Oms non aveva ancora proclamato lo stato di emergenza a livello mondiale. Nei giorni dell'esplosione dei casi in Baviera, il virus ha perciò potuto circolare indisturbato senza particolari limitazioni. Risalire alla catena esatta è impossibile, anche perché basta uno starnuto, un bicchiere lavato male, una stretta di mano di troppo. È così che il Covid-19 può essere arrivato fino a Codogno.Non si tratta di puntare il dito contro nessuno, tutt'altro. Piuttosto, il discorso è utile a ribadire quanto sia offensiva e irrazionale la campagna d'odio lanciata contro l'Italia e pompata dai media di mezzo mondo. Come dice un proverbio (ironia della sorte) cinese: «Chi accusa gli altri ha ancora molta strada da fare, chi dà la colpa a sé stesso è a metà del cammino, chi invece non dà la colpa a nessuno è già arrivato alla meta».
Jose Mourinho (Getty Images)