2018-05-01
Se si impantana senza i numeri il centrodestra fa la fine del M5s
Certo: centrodestra unito. Certo: Salvini premier. Certo: non-si-può-non-tenere-conto-del-voto-del-Friuli Venezia Giulia. Certo: bisogna ripartire dai programmi, la coalizione cresce ancora, è compatta e a questo punto l'incarico per formare l'esecutivo sarebbe naturale. Certo. Ma poi dove si trovano i voti? Si fa un governo di minoranza, come dice Berlusconi? Si vanno a chiedere ai 5 stelle, come forse vorrebbe Salvini? Si vanno a raccattare in giro per il Parlamento, fra transfughi e pentiti, grillini desiderosi di tenersi l'intero stipendio o piddini più o meno mascherati? E ha senso andare al governo con una maggioranza di questo genere? O al centrodestra, piuttosto, conviene puntare tutte le fiche su nuove elezioni? È ovvio che la decisione finale toccherà al presidente Mattarella. Ma in questo momento, dopo che Renzi ha tagliato contemporaneamente le gambe a Martina e Di Maio, costringendoli entrambi a gettare la spugna, è evidente che il pallino ce l'ha in mano il centrodestra. E al di là dei tweet festeggianti, dei due di picche, delle legittime soddisfazioni di Berlusconi e della Meloni, dei selfie pugliesi di un Salvini sempre pronto per Palazzo Chigi, è evidente che sotterranea e insistente circola la domanda delle cento pistole: ma qual è il vero obiettivo del centrodestra ora più unito che mai? Cercare di formare un governo? Davvero? L'obiettivo è realmente quello di provarci in ogni modo? Contro tutti e contro tutto? O piuttosto è il ritorno alle urne? Che cosa diranno, insomma, al Quirinale? Accetteranno la sfida di Di Maio sul ballottaggio (già a giugno o al massimo a settembre) o si proporranno per l'impresa semi-kamikaze di cercare una maggioranza? Il problema di cercare una maggioranza, scusate la banalità, è che poi bisogna trovarla. Certo: se si potesse votare con il sistema usato per le regionali non ci sarebbe dubbio che oggi il centrodestra governerebbe il Paese, esattamente come governa il Molise e il Friuli Venezia Giulia, dove il risultato si è avuto a poche ore dalla chiusura delle urne (dimostrazione del fatto che è una balla sesquipedale quella che ci ripetono sempre nei talk show: non c'è una maggioranza perché ci sono tre forze politiche… In Molise non c'erano forse tre forze politiche? E in Friuli Venezia Giulia? Non siamo candidati all'instabilità: l'hanno voluta appositamente con una legge elettorale demenziale). Ma in questa situazione al centrodestra mancano una cinquantina di voti alla Camera dei deputati e una trentina di voti al Senato: dove li andranno a prendere, nel caso? Proviamo ad analizzare sinteticamente. Le ipotesi sono quattro: alleanza con i 5 stelle, alleanza con il Pd, voti sparsi, governo di minoranza. La prima, dopo le dichiarazioni di Di Maio, sembra a oggi piuttosto improbabile. La seconda non sembra essere fra quelle ritenute possibili dal premier designato dal centrodestra, cioè Salvini. Le ultime due strade sarebbero sulla carta più percorribili, ma al massimo darebbero certo vita ad un governo traballante, sempre sotto ricatto, non certo così stabile da affrontare quelle riforme profonde che gli italiani si aspettano. E per le quali hanno votato il centrodestra. Dunque il centrodestra si trova davanti a un bivio. La tentazione di chiedere con forza l'incarico al presidente Mattarella si sente, si avverte, si annusa. E gli accadimenti delle ultime ore sembrano rafforzarla: «Di Maio ha fallito? Allora tocca a noi». «In Friuli Venezia Giulia abbiamo stravinto? Allora tocca a noi». «I grillini perdono voti e si dimostrano inaffidabili? Allora tocca a noi». «Ci siamo dimostrati compatti? Allora tocca a noi». Ma dietro questa tentazione c'è una trappola: la stessa in cui è caduto anche Di Maio. Se fosse incaricato, infatti, Salvini si potrebbe trovare nella stessa situazione del leader 5 stelle, costretto ad andare in giro a mendicare voti, a proporre accordi o contratti, a sottolineare temi e interventi, mentre grillini e renziani se lo cuociono a fuoco lento. Proprio come è stato fatto con Gigetto. E allora, se questo è il rischio, forse vale la pena che anche il centrodestra, se davvero vuole restare compatto e prepararsi a governare il Paese per cambiarlo, davanti al bivio imbocchi l'altro sentiero, per quanto stretto e accidentato, quello che porta alla richiesta di elezioni. Starà al presidente Mattarella decidere, ovviamente, se la richiesta può essere accolta o no, e quando, e come. Ed è del tutto evidente che questo non è lo sbocco migliore per nessuno, soprattutto non è quello che gli italiani volevano il 4 marzo, oltre al fatto che ci costerà altri soldi. Ma che ci volete fare? Se l'unica alternativa al voto è un governo pasticciato, instabile, frullato, ricattabile, al sapor di macedonia con il retrogusto di Scilipoti e Razzi, allora forse meglio rassegnarsi a ridare la parola agli italiani. Che poi, per altro, sono quelli che finora, in questa complicata vicenda, si sono dimostrati più saggi di tutti.