Caro Gianfranco Fini, le scrivo questa cartolina per festeggiare un avvenimento importante: il suo ritorno ad Atreju, la grande festa nazionale del mainstream meloniano. L’altro giorno quando ho letto sulla Stampa che lei si «è commosso per l’invito» perché viene da «giovani che vogliono capire il passato», mi sono commosso per la sua commozione.
«C’è una continuità in una comunità che si percepisce tale», ha chiosato con quel suo tono da vergine sapientina che è tornato ad esibire pure nelle sortite in tv. Poi ha aggiunto: «Il tempo è sempre galantuomo». E come darle torto? Il tempo è galantuomo. Infatti non lo si può svendere come fosse una casa a Montecarlo.
Ad Atreju lei sarà protagonista di un duello amarcord con Francesco Rutelli, una riedizione del confronto per le comunali di Roma del 1993, che, a suo dire, segnò la fine del «lungo dopoguerra» e l’inizio di «una destra con cultura di governo». Insomma, uno dei momenti più importanti per l’umanità dopo la scoperta del fuoco. Comunque, ci si creda o no, sarà bello vedervi sul ring come due anziani pugili che ricordano quando ancora riuscivano a saltare la corda e non avevano la testa suonata dai troppi knockout. Uno spettacolo imperdibile in una kermesse che fra Mara Venier e Luigi Di Maio, Gianluigi Buffon e Raoul Bova, Giuseppe Conte e Ezio Greggio, promette ricchi premi e cotillons per tutti. Figuriamoci se poteva mancare il siparietto delle vecchie glorie. Glorie, si fa per dire, ovviamente.
Comunque è giusto che i ragazzi giovani la conoscano. Gianfranco Fini, bolognese, 73 anni, già uomo di fiducia di Giorgio Almirante e poi di Giorgio Napolitano (un Giorgio vale l’altro evidentemente), prima segretario del Fronte della Gioventù, poi leader del Msi, poi fondatore e affondatore di Alleanza nazionale, alla fine decise di staccarsi dalla sua storia per fondare Futuro e Libertà, un partito senza futuro e con la libertà un po’ condizionata dai suoi procedimenti giudiziari, relativi alla casa di Montecarlo, una proprietà del partito finita a prezzi di favore nelle mani del cognato. Per quella vicenda s’è beccato una condanna per concorso in riciclaggio. Trent’anni parlamentare, europarlamentare, già ministro degli Esteri, vicepremier e presidente della Camera, ora s’atteggia a nuovo guru della destra. Evidentemente deve averci preso gusto: dopo aver riciclato i soldi, tenta di riciclare sé stesso.
«La destra è un albero che ha radici profonde», dice ancora, ispirato e commosso nel celebrare il suo ritorno ad Atreju. E chi se ne importa se quelle radici lei ha fatto di tutto per reciderle strizzando l’occhio ai salotti chic, cedendo sui temi etici, su quelli dell’immigrazione, spingendo per lo ius soli, appoggiando Monti, vagheggiando «la grande lista civica nazionale», inciuciando con Napolitano, tramando contro il centrodestra e svendendo un pezzo di patrimonio del partito per arricchire la famiglia della sua compagna Elisabetta Tulliani, una specie di Boccia che ce l’ha fatta. Che importa? Tutto questo sul palco di Atreju verrà dimenticato: lo show può iniziare, e lei potrà pavoneggiarsi come Buffalo Bill al circo Barnum senza che nessuno abbia il coraggio di dirle la verità. Che in realtà sta già scritta nel suo nome: c’era una volta Gianfranco. Poi Finì.







