2024-08-02
Ideologia al tappeto in 46 secondi. Carini si ritira: «Mi fa malissimo»
La pugile italiana abbandona l’incontro con l’algerino Khelif al primo, violentissimo colpo. Come volevasi dimostrare, chi ha la struttura fisica di un uomo, picchia come un uomo. E una valente atleta ne fa le spese.«È una donna, usa il pugno come un ferro da stiro». Al di là della pessima battuta raccolta nella tribuna dell’Arena Paris Nord, il match fra l’algerina intersex e l’azzurra Angela Carini dura 46 secondi, il tempo per la discussa nordafricana di piazzare due diretti destri al volto stile Carlos Monzon (soprattutto il secondo), e la nostra Tiger si arrende. Alza il braccio e si ritira davanti alla determinazione maschile, all’aggressività maschile, al peso dei colpi partiti dalla muscolatura maschile che rendono micidiale Imane Khelif. Ma sul suo passaporto c’è scritto «female» e il Cio genderfluid la premia; ai quarti di finale del torneo olimpico di boxe, pesi welter, ci va lei. Bella forza.«Sono salita sul ring e ho provato a combattere, volevo vincere», spiega la ragazza napoletana (25 anni) dai lineamenti dolci ma dalla grinta guerriera. «Ho ricevuto due colpi sul naso e dopo il secondo non respiravo più, mi ha fatto malissimo. Allora sono andata all’angolo dal mio maestro, Emanuele Renzini, e con ho detto basta. Poteva essere il match della vita, ma ho dovuto pensare a salvaguardare la mia incolumità. Per me questa non è una sconfitta». Il coach ha fatto un cenno all’arbitro Emerson Arreaga, guatemalteco imperturbabile con il papillon da maître d’hotel, che da regolamento ha dato la vittoria all’algerina mentre l’italiana si inginocchiava sul tappeto in lacrime. Erano trascorsi 46 secondi; l’incontro più breve per una vigilia così lunga, trascorsa a chiedersi se avesse senso mettere fra le triple corde del ring una donna e una persona nata con i cromosomi da maschio.Se lo domandano in tanti alle 12.20, quando Angela e Imane incrociano i guantoni nell’atto più surreale di queste Olimpiadi arcobaleno tendenza gay pride. L’italiana è mancina, alta 1,72, già vicecampione del mondo e d’Europa, determinata a tenere alta la memoria di papà Giuseppe che la guarda da lassù. Ha davanti l’avversario algerino, 1,78, ambasciatore dell’ Unicef del suo Paese, con Muhammad Alì come idolo, orgogliosa di farsi chiamare «the Greatest». E con parecchi problemi a rientrare nei 66 kg della categoria.Per Khelif non è questo l’unico indicatore volatile. Lo scorso anno fu squalificato ai mondiali di New Dehli perché al controllo sulla sessualità furono evidenziati cromosomi maschili nell’organismo e un livello di testosterone non conforme alle gare femminili. Imane non si potrebbe definire tecnicamente transessuale in quanto non ci sono prove che abbia cambiato sesso (pratica peraltro illegale in Algeria); rientrerebbe quindi secondo alcuni nell’alveo delle persone intersex, con caratteri sessuali non definibili come esclusivamente maschili o femminili. Di fatto, un anno dopo è di nuovo in gara. In nome della realpolitik nei confronti del turbo-laicismo della Francia ospitante, il Cio ha cambiato ente regolatore e parametri.Il match di fatto non esiste e si chiude con la regola del due. Due scaramucce, due fastidi della Carini con il caschetto allacciato male, due pugni in faccia, due frasi di Angela intercettate col labiale: «Mi ha fatto malissimo», «Non è giusto». L’azzurra abbandona e fatica a salutare la rivale, scende dal ring piangendo. Poi si sfoga, peraltro senza mai accusare la vincitrice. «Ho sempre combattuto come una guerriera, ma anche i guerrieri a volte si arrendono. E quando la battaglia è persa conficcano la spada per terra, con onore. È quello che ho fatto io, ho detto a me stessa che non era il mio momento. Ho incrociato i guantoni anche con uomini (suo fratello Antonio è pugile pure lui, ndr) ma oggi ho sentito troppo dolore. Dopo la morte di mio padre non mi fa paura nulla, se è andata così significa che Dio e mio padre hanno voluto così in questo ultimo chilometro».Angela Carini ottiene la solidarietà della premier Giorgia Meloni («Non è stato un match ad armi pari») e del ministro dello Sport, Andrea Abodi («Ha messo un punto con le sue parole»). Il silenzio del Coni è assordante, forse comprensibile, ma non sempre pedalare a ruota del Cio è cosa nobile. È inevitabile domandare all’azzurra se sia stata condizionata dalle polemiche della vigilia. Qualche giornale insinua, lei nega. «Non sono nessuno per giudicare e non ho nulla contro la mia avversaria. Avevo un compito e l’ho eseguito anche se non ce l’ho fatta. Tutto quello che è accaduto prima dell’incontro non ha influito assolutamente». Precisa il concetto il coach Renzini: «Ha ricevuto centinaia di messaggi che la invitavano a non combattere. Sarebbe stato più facile non presentarsi ma lei era motivata a combattere. Al sorteggio, quando ha conosciuto l’avversaria, mi ha detto: non è giusto. Ma non c’è stata alcuna premeditazione».Va avanti Imane Khelif, da oggi definita «iperandrogina» nel nome della correctness. Con poche parole ma chiare: «Le polemiche mi caricano, adesso punto a vincere l’oro». Il passaporto le dà ragione e la federazione algerina scende in campo in sua difesa: «Da media stranieri abbiamo subìto attacchi dannosi e immorali, bugie ingiustificabili». Rimangono nell’aria le frasi di donna Angela, ragazza specchiata che conosce quel mondo perché lo frequenta tutti i giorni. «Non respiravo più. Non è giusto. Dovevo salvaguardare la mia incolumità. Per me questa non è una sconfitta». Altrettanti messaggi in bottiglia. L’azzurra non sta parlando a Imane, sta parlando al Cio (e al Coni), sta indicando i parrucconi che l’hanno eliminata stando comodamente seduti sulle loro poltrone di pelle. Poi saluta giochi e giochini.
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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