2020-04-01
I sostenitori della dittatura sanitaria s’indignano per i pieni poteri a Orbán
Giornali e politici di sinistra scandalizzati dal voto del Parlamento ungherese. Ma fino a ieri erano i primi a tifare per la «stretta coreana», a celebrare il regime cinese e a invocare la soppressione delle voci critiche.Dopo giorni stranianti che hanno sgretolato una per una le nostre antiche abitudini, ieri finalmente abbiamo potuto riempirci il cuore e i polmoni con una ventata di profumatissima normalità. Quanto ci erano mancate le sfavillanti tirate sul fascismo che avanza, sulla dittatura che, calzando gli stivaloni, è già giunta dietro l'angolo... Complice Viktor Orbán, la stampa progressista ci ha regalato una folata d'indignazione vecchio stile, che dall'Ungheria è ruzzolata giù fino all'Italia, battendo alla porta di Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Poco importa che Orbán i suoi «poteri speciali» li abbia ottenuti grazie a un voto del Parlamento sovrano con ampia maggioranza: «Tutti i fascismi, forse con la sola eccezione di Franco in Spagna, si sono sempre fatti consegnare il potere da un Parlamento democratico», ci ha ricordato con acribia Andrea Bonanni su Repubblica. «I pieni poteri non furono consegnati a Mussolini e Hitler dallo Spirito Santo o dal Gatto Silvestro, ma dalle rispettive maggioranze parlamentari», aggiunge Mattia Feltri sulla Stampa. Sintetizzando, il Pensiero Unico Progressista è il seguente: Orbán è un fassista, un dittatore che ha ottenuto ciò che voleva, mentre Salvini&Meloni sono fassisti anche loro, non hanno avuto il successo dell'amico ungherese, ma l'avrebbero certo gradito. Orbán, spiega ancora Repubblica, è il primo che è «riuscito davvero a farsi dare quei pieni poteri che chiedeva anche il ministro Salvini». È un pericolo pubblico, e andrebbe cacciato dall'Ue: «L'Europa deve dare un segnale chiaro che solo le democrazie possono far parte dell'Unione e il regime falso liberale di Orbán deve cambiare subito», ha tuonato Gianni Riotta. Comprendiamo senz'altro la gioia della sinistra, che finalmente è riuscita - pigiando e sbuffando - a far rientrare anche il virus dentro le sue logore categorie. Tuttavia restiamo sinceramente stupefatti nel notare tanto sconcerto sulle pagine degli stessi giornali che, fino a ieri, hanno tifato per la sospensione della democrazia pure in Italia. Quelli che mesi fa si strappavano i capelli per la richiesta salviniana di «pieni poteri», e che ora la ritirano in ballo con gridolini isterici, hanno passato le ultime settimane a invocare controlli a tappeto, pugno duro contro le «bufale in Rete», congelamento dei diritti civili. Il segretario dem Nicola Zingaretti fa ironia su Orbán e i sovranisti: «Appena possono hanno questo vizio: ridurre le libertà delle persone». Eppure è stato il sottosegretario all'editoria del Pd, Andrea Martella, ad annunciare la creazione di una «task force» contro le «fake news» e a spiegare che «dovrà essere rafforzato il ruolo della Polizia postale per consentirle di individuare tempestivamente le cosiddette “fonti tossiche"». E nessun editorialista per bene si è scandalizzato o ha gridato alla soppressione della libertà di espressione. In effetti, di questa «task force» i grandi giornali non hanno alcun bisogno: hanno provveduto da soli a cancellare ogni pur velata critica al governo. Da settimane sfornano titoli bellici, da oro alla Patria. Giusto ieri Repubblica gridava in prima pagina: «Forza italiani», strepitosa riedizione post berlusconiana del «Buona domenica» di Gianfranco Funari all'Indipendente. Ne abbiamo letti altri, di strilli del genere, tutti all'insegna del «non disturbate il manovratore» (leggasi Giuseppe Conte). Critiche e accuse vanno bene soltanto se rivolte alle Regioni e ai Comuni guidati da amministratori di destra, oppure se indirizzate ai cittadini colpevoli di aver sparso il contagio («Colpa dei runner», «colpa dei giovinastri che escono», «colpa degli evasori fiscali che distruggono la sanità»). Sempre su Repubblica abbiamo letto le intemerate di Michele Serra contro chi non ingoia la sospensione dalla libertà: «Mi domando a quale livello demenziale fosse giunto il concetto di libertà individuale, per sollevare sospetti e recriminazioni politiche perfino su misure di evidente salute pubblica», ha scritto il piccolo Vate. E ieri ha rincarato la dose, invocando la sparizione dagli schermi televisivi dei giornalisti e dei politici «che non hanno studiato, non hanno letto e non hanno ascoltato» e non si rassegnano a «abbassare i toni». Cioè quelli che non piacciono a Serra. «Non è il momento delle polemiche», sono andati ripetendo uomini di governo e commentatori beneducati sui quotidiani e in tv. In tanti (troppi) hanno richiesto a gran voce una «stretta coreana» comprensiva di tracciamento digitale dei cittadini, occhiuta sorveglianza su spostamenti, prelievi, pagamenti con carta di credito... Ora però si spettinano se il Parlamento ungherese - tramite voto - concede al premier poteri speciali al fine di fronteggiare un'emergenza. Intendiamoci, è legittimo farsi iniettare in corpo un po' d'inquietudine da certe misure draconiane. Ma il punto è sempre la coerenza: se non vi piace il pugno di ferro di Orbán, perché gradite il pugnetto di Conte, che per altro il Parlamento lo sorvola del tutto? Tanto per restare in tema di dittature (vere o presunte) vale poi la pena di ricordare l'atteggiamento assunto dai sorridenti progressisti nei confronti della Cina. Il governo (quasi) sovranista del perfido Viktor, d'un tratto, è diventato decisamente peggiore del regime comunista di Pechino, che ha nascosto i numeri del contagio, che ancora continua a mentire sui morti e che vuol approfittare della situazione per comprarci. Con i cinesi si doveva «essere solidali», «evitare discriminazioni», inviare abbracci e complimenti. Per Orbán bastano le maledizioni. Ancora una volta, sembra confermarsi il sospetto: la sinistra odia la tirannia. A meno che non sia lei a instaurarla.