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2020-07-09
I renziani in soccorso di Berlusconi (ri)mettono Bonafede nel mirino
Alfonso Bonafede (Ansa)
Un question time per chiarire in Parlamento le dichiarazioni del giudice Amedeo Franco che hanno riaperto il caso della sentenza di condanna per Silvio Berlusconi per l'affare dei diritti tv. Lo ha chiesto a sorpresa il gruppo di Italia viva in Senato. Il bubbone è stato messo dai renziani nelle mani del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, che dovrà rispondere oggi alle 15. Gli uomini del fu Rottamatore chiedono al ministro «di fare chiarezza», scrivono i senatori, «sulle dichiarazioni del giudice Franco apparse sui media in merito alla condanna definitiva nell'agosto 2013 di Berlusconi». Una mossa che deve aver spiazzato non poco gli alleati pentastellati. L'atto formale segue di pochi giorni una dichiarazione dell'ormai senatore semplice Renzi, che sulla questione aveva già tracciato la linea. La premessa era questa: «Io sono un avversario politico di Silvio Berlusconi e non tocca a me valutare». La questione politica, però, deve aver fatto gola a Matteo: «Politicamente ho il dovere di dire che non può essere ignorata la richiesta di fare chiarezza su una vicenda che coinvolge un ex presidente del consiglio». Il Bullo ha anche svelato di essersi sentito con il Cavaliere. E in una intervista al Riformista si è anche spinto un po' di più: «Berlusconi va rispettato come uomo ed ex presidente del Consiglio. Le accuse contenute nell'audio, se confermate, offrono un quadro gravissimo su cui è urgente fare chiarezza». E, visto che è stato l'unico da sinistra a parlarne, ha mandato anche qualche messaggio agli alleati: «Tocca alle sedi opportune capire se lo sfogo di questo magistrato è una cosa seria o no. È un fatto tuttavia di cui è doveroso parlare, non può essere eluso da chi fischietta e fa finta di nulla». E a far finta di nulla c'è tutto il governo giallorosso.
Uno degli incontri registrati risale al 14 febbraio 2014, otto giorni prima della nascita del governo Renzi. Berlusconi in quelle intercettazioni sembra avere le idee chiare sul nuovo gabinetto guidato dall'ex sindaco di Firenze con cui a gennaio dello stesso anno aveva siglato il cosiddetto Patto del Nazareno. Berlusconi, con Franco (che è deceduto l'anno scorso), dopo aver annunciato che i sondaggi davano avanti il centrodestra di cinque punti sul centrosinistra,commenta: «A furia di venirmi addosso si accorgono che diventa un boomerang per loro. Adesso vediamo che cosa fa Renzi. Accetto scommesse. Entro il 20 manda a casa questo governo e si mette lui presidente del Consiglio. (…) Io resto all'opposizione e voto le riforme, perché le inseguo da vent'anni e quindi noi faremo opposizione se mettono nuove tasse, se fanno cose sballate, ma daremo il nostro voto sulla riforma della burocrazia, la riforma fiscale, la riforma del lavoro, la riforma della giustizia (…) su cui noi potremmo essere d'accordo». Berlusconi, insomma, non vedeva con astio l'ascesa del Bullo. Fin qui la questione politica. Sulla restante parte delle conversazioni, Forza Italia chiede una commissione d'inchiesta. E ora chiede a Italia viva di votare a favore della proposta. «Ci colpisce positivamente questo impeto garantista di un partito che pure fa parte della maggioranza più giacobina dal dopoguerra a oggi, e anticipiamo oggi una propostaa cui stiamo lavorando da giorni per fare un ulteriore passo avanti nella ricerca della verità», ha dichiarato la presidente dei senatori azzurri Anna Maria Bernini.
Mentre gli avvocati del Cavaliere, allegando quelle conversazioni, hanno impugnato la sentenza della Cassazione davanti alla Corte europea dei diritti umani. «Berlusconi deve essere condannato a priori perché è un mascalzone! Questa è la realtà... A mio parere è stato trattato ingiustamente e ha subito una grave ingiustizia... L'impressione che tutta questa vicenda sia stata guidata dall'alto», affermò Franco. Poi, in un crescendo: «In effetti hanno fatto una porcheria perché che senso ha mandarla alla sezione feriale? Voglio per sgravarmi la coscienza, perché mi porto questo peso del... ci continuo a pensare. Non mi libero... Io gli stavo dicendo che la sentenza faceva schifo».
Sempre secondo Franco, «i pregiudizi per forza che ci stavano... si potesse fare... si potesse scegliere... si potesse... si poteva cercare di evitare che andasse a finire in mano a questo plotone di esecuzione, come è capitato, perché di peggio non poteva capitare». E infine: «Sussiste una malafede del presidente del collegio, sicuramente», disse Franco. Esposito, che nel frattempo è andato in pensione e ora scrive articoli per il Fatto quotidiano, ha annunciato querele. Contesta anche tre dichiarazioni allegate al ricorso dei legali del Cavaliere. Le hanno rese i dipendenti dell'hotel Villa Svizzera di Domenico De Siano, senatore e coordinatore di Forza Italia in Campania. Contengono le testimonianze su alcune frasi rivolte al Cavaliere e attribuite a Esposito. Un paio di siluri a salve sulla questione il giudice li ha anche sparati a Napoli: uno al Consiglio dell'ordine degli avvocati contro uno dei legali di Berlusconi; l'altro in Procura, dove c'è un fascicolo iscritto contro ignoti e senza ipotesi di reato. Almeno per ora.
Il Csm blinda il processo a Palamara
Il blog delle toghe fuori dalle correnti, «Uguale per tutti», ha messo online il suo progetto per una vera riforma della magistratura: «La giustizia italiana sta sprofondando nel fango. Aiutateci a restituire ai cittadini la Giustizia che meritano, trasparente, credibile, non politicizzata» premettono i promotori prima di snocciolare le tre proposte chiave per il rinnovamento che auspicano: sorteggio dei candidati al Csm, rotazione dei dirigenti, abolizione dell'immunità dei componenti del Csm». Idee per impedire di creare una casta di privilegiati e mettere tutte le toghe al servizio del sistema.
Ad animare il sito sono una quindicina di magistrati, tra cui Andrea Reale, che con la lista Proposta B era riuscito a entrare nella stanza dei bottoni dell'Associazione nazionale magistrati, nonostante prospettasse regole che impedissero di usare l'Anm come trampolino di lancio per far carriera.
Sino a oggi hanno sottoscritto il manifesto di «Uguale per tutti» più di 100 magistrati (127 per il sorteggio), tra cui la gip romana Clementina Forleo, il procuratore di Siracusa Sabrina Gambino e il presidente del Tribunale di sorveglianza di Taranto Lydia Deiure. Tra i firmatari, a sorpresa, anche due consiglieri di primo piano del Csm, l'indipendente Nino Di Matteo e l'amico e collega siciliano Sebastiano Ardita, esponente della corrente Autonomia & indipendenza, quella fondata da Pier Camillo Davigo. Di Matteo è da tempo un punto di riferimento per i non allineati, soprattutto dopo che ha accusato il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede di non aver mantenuto la parola e di aver ritirato l'offerta che gli aveva fatto di diventare capo del Dap. Ardita è, invece, presidente di una delle commissioni più importanti del Csm, quella che deve valutare le incompatibilità ambientali delle toghe e che quindi è particolarmente sotto pressione in queste settimane dopo il deposito delle 49.000 pagine di chat con Palamara. Sul sito l'adesione dei due pesi massimi viene accolta «con soddisfazione» e commentata in un post intitolato «La breccia», dove, a proposito dei due componenti del Csm, si legge: «Siamo consapevoli della responsabilità che hanno esercitato nel manifestare la pubblica condivisione delle nostre tre proposte».
Le toghe ribelli e i due consiglieri sarebbero accomunati dall'«amore per l'Istituzione» che va salvaguardata «dalle aggressioni improprie del correntismo». Per i blogger «essere d'accordo su quei tre capisaldi supera ogni legittima differenziazione ideologica», ma «non implica la cancellazione delle diversità culturali tra i magistrati che resteranno liberi di associarsi come meglio credono», a patto che «quelle private associazioni non mirino a condizionare, in qualsiasi modo, l'indipendente ed imparziale esercizio della giurisdizione».
Ieri Ardita e Di Matteo hanno votato a favore della modifica del regolamento interno del Csm, sull'elezione dei componenti supplenti della sezione disciplinare per aumentarne il numero da 10 a 14 (3 togati e 1 laico). La correzione dovrebbe scongiurare il rischio che venga a mancare, tra astensioni e possibili ricusazioni, il numero legale di componenti (sei) nel collegio che dovrà giudicare, a partire dal 21 luglio, Luca Palamara, Cosimo Ferri e altri cinque ex membri del Csm.
Quattro consiglieri si sono astenuti sulla proposta: si tratta del laico di Forza Italia Alessio Lanzi, del 5 stelle Filippo Donati e dei due togati di Magistratura indipendente Loredana Micciché e Antonio D'Amato.
Per il relatore, Giuseppe Cascini, capogruppo del cartello progressista di Area e un tempo amico di Palamara, «si tratta di una modifica necessaria», perché «nell'ultimo periodo sono aumentati i procedimenti disciplinari a carico dei magistrati» e «soprattutto sono aumentati, purtroppo, i casi di applicazione di misure cautelari, quali il trasferimento o la sospensione».
Il laico Lanzi ha, invece, espresso «serie perplessità» sulla modifica regolamentare, perché «la modifica si pone in tensione con l'articolo 25 della Costituzione sulla precostituzione del giudice per legge (…) creando di fatto dei giudici nuovi che andranno a valutare fatti precedenti alla loro nomina». Per Lanzi sarebbe stato preferibile che una riforma che incide così pesantemente sulla composizione della sezione disciplinare fosse decisa dal Parlamento o dal Governo. Lanzi, infine, ha intravisto un ulteriore rischio: «La modifica porta i componenti complessivi della sezione a 20 su 24 consiglieri del Csm, con conseguenti difficoltà per il funzionamento e le attività di tutto il Consiglio».
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Riduci
Il gruppo di Italia viva al Senato ha deciso di chiamare in causa direttamente il ministro della Giustizia sul caso della registrazione del giudice Amedeo Franco. La mossa rischia di aprire una crisi nella maggioranzaAumentano i magistrati della sezione disciplinare che dovrà decidere dell'ex leader di Unicost e di sei toghe. A sorpresa Nino Di Matteo e Sebastiano Ardita passano coi «ribelli» anti casta.Lo speciale contiene due articoliUn question time per chiarire in Parlamento le dichiarazioni del giudice Amedeo Franco che hanno riaperto il caso della sentenza di condanna per Silvio Berlusconi per l'affare dei diritti tv. Lo ha chiesto a sorpresa il gruppo di Italia viva in Senato. Il bubbone è stato messo dai renziani nelle mani del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, che dovrà rispondere oggi alle 15. Gli uomini del fu Rottamatore chiedono al ministro «di fare chiarezza», scrivono i senatori, «sulle dichiarazioni del giudice Franco apparse sui media in merito alla condanna definitiva nell'agosto 2013 di Berlusconi». Una mossa che deve aver spiazzato non poco gli alleati pentastellati. L'atto formale segue di pochi giorni una dichiarazione dell'ormai senatore semplice Renzi, che sulla questione aveva già tracciato la linea. La premessa era questa: «Io sono un avversario politico di Silvio Berlusconi e non tocca a me valutare». La questione politica, però, deve aver fatto gola a Matteo: «Politicamente ho il dovere di dire che non può essere ignorata la richiesta di fare chiarezza su una vicenda che coinvolge un ex presidente del consiglio». Il Bullo ha anche svelato di essersi sentito con il Cavaliere. E in una intervista al Riformista si è anche spinto un po' di più: «Berlusconi va rispettato come uomo ed ex presidente del Consiglio. Le accuse contenute nell'audio, se confermate, offrono un quadro gravissimo su cui è urgente fare chiarezza». E, visto che è stato l'unico da sinistra a parlarne, ha mandato anche qualche messaggio agli alleati: «Tocca alle sedi opportune capire se lo sfogo di questo magistrato è una cosa seria o no. È un fatto tuttavia di cui è doveroso parlare, non può essere eluso da chi fischietta e fa finta di nulla». E a far finta di nulla c'è tutto il governo giallorosso. Uno degli incontri registrati risale al 14 febbraio 2014, otto giorni prima della nascita del governo Renzi. Berlusconi in quelle intercettazioni sembra avere le idee chiare sul nuovo gabinetto guidato dall'ex sindaco di Firenze con cui a gennaio dello stesso anno aveva siglato il cosiddetto Patto del Nazareno. Berlusconi, con Franco (che è deceduto l'anno scorso), dopo aver annunciato che i sondaggi davano avanti il centrodestra di cinque punti sul centrosinistra,commenta: «A furia di venirmi addosso si accorgono che diventa un boomerang per loro. Adesso vediamo che cosa fa Renzi. Accetto scommesse. Entro il 20 manda a casa questo governo e si mette lui presidente del Consiglio. (…) Io resto all'opposizione e voto le riforme, perché le inseguo da vent'anni e quindi noi faremo opposizione se mettono nuove tasse, se fanno cose sballate, ma daremo il nostro voto sulla riforma della burocrazia, la riforma fiscale, la riforma del lavoro, la riforma della giustizia (…) su cui noi potremmo essere d'accordo». Berlusconi, insomma, non vedeva con astio l'ascesa del Bullo. Fin qui la questione politica. Sulla restante parte delle conversazioni, Forza Italia chiede una commissione d'inchiesta. E ora chiede a Italia viva di votare a favore della proposta. «Ci colpisce positivamente questo impeto garantista di un partito che pure fa parte della maggioranza più giacobina dal dopoguerra a oggi, e anticipiamo oggi una propostaa cui stiamo lavorando da giorni per fare un ulteriore passo avanti nella ricerca della verità», ha dichiarato la presidente dei senatori azzurri Anna Maria Bernini. Mentre gli avvocati del Cavaliere, allegando quelle conversazioni, hanno impugnato la sentenza della Cassazione davanti alla Corte europea dei diritti umani. «Berlusconi deve essere condannato a priori perché è un mascalzone! Questa è la realtà... A mio parere è stato trattato ingiustamente e ha subito una grave ingiustizia... L'impressione che tutta questa vicenda sia stata guidata dall'alto», affermò Franco. Poi, in un crescendo: «In effetti hanno fatto una porcheria perché che senso ha mandarla alla sezione feriale? Voglio per sgravarmi la coscienza, perché mi porto questo peso del... ci continuo a pensare. Non mi libero... Io gli stavo dicendo che la sentenza faceva schifo». Sempre secondo Franco, «i pregiudizi per forza che ci stavano... si potesse fare... si potesse scegliere... si potesse... si poteva cercare di evitare che andasse a finire in mano a questo plotone di esecuzione, come è capitato, perché di peggio non poteva capitare». E infine: «Sussiste una malafede del presidente del collegio, sicuramente», disse Franco. Esposito, che nel frattempo è andato in pensione e ora scrive articoli per il Fatto quotidiano, ha annunciato querele. Contesta anche tre dichiarazioni allegate al ricorso dei legali del Cavaliere. Le hanno rese i dipendenti dell'hotel Villa Svizzera di Domenico De Siano, senatore e coordinatore di Forza Italia in Campania. Contengono le testimonianze su alcune frasi rivolte al Cavaliere e attribuite a Esposito. Un paio di siluri a salve sulla questione il giudice li ha anche sparati a Napoli: uno al Consiglio dell'ordine degli avvocati contro uno dei legali di Berlusconi; l'altro in Procura, dove c'è un fascicolo iscritto contro ignoti e senza ipotesi di reato. Almeno per ora. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-renziani-in-soccorso-di-berlusconi-ri-mettono-bonafede-nel-mirino-2646369422.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-csm-blinda-il-processo-a-palamara" data-post-id="2646369422" data-published-at="1594246221" data-use-pagination="False"> Il Csm blinda il processo a Palamara Il blog delle toghe fuori dalle correnti, «Uguale per tutti», ha messo online il suo progetto per una vera riforma della magistratura: «La giustizia italiana sta sprofondando nel fango. Aiutateci a restituire ai cittadini la Giustizia che meritano, trasparente, credibile, non politicizzata» premettono i promotori prima di snocciolare le tre proposte chiave per il rinnovamento che auspicano: sorteggio dei candidati al Csm, rotazione dei dirigenti, abolizione dell'immunità dei componenti del Csm». Idee per impedire di creare una casta di privilegiati e mettere tutte le toghe al servizio del sistema. Ad animare il sito sono una quindicina di magistrati, tra cui Andrea Reale, che con la lista Proposta B era riuscito a entrare nella stanza dei bottoni dell'Associazione nazionale magistrati, nonostante prospettasse regole che impedissero di usare l'Anm come trampolino di lancio per far carriera. Sino a oggi hanno sottoscritto il manifesto di «Uguale per tutti» più di 100 magistrati (127 per il sorteggio), tra cui la gip romana Clementina Forleo, il procuratore di Siracusa Sabrina Gambino e il presidente del Tribunale di sorveglianza di Taranto Lydia Deiure. Tra i firmatari, a sorpresa, anche due consiglieri di primo piano del Csm, l'indipendente Nino Di Matteo e l'amico e collega siciliano Sebastiano Ardita, esponente della corrente Autonomia & indipendenza, quella fondata da Pier Camillo Davigo. Di Matteo è da tempo un punto di riferimento per i non allineati, soprattutto dopo che ha accusato il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede di non aver mantenuto la parola e di aver ritirato l'offerta che gli aveva fatto di diventare capo del Dap. Ardita è, invece, presidente di una delle commissioni più importanti del Csm, quella che deve valutare le incompatibilità ambientali delle toghe e che quindi è particolarmente sotto pressione in queste settimane dopo il deposito delle 49.000 pagine di chat con Palamara. Sul sito l'adesione dei due pesi massimi viene accolta «con soddisfazione» e commentata in un post intitolato «La breccia», dove, a proposito dei due componenti del Csm, si legge: «Siamo consapevoli della responsabilità che hanno esercitato nel manifestare la pubblica condivisione delle nostre tre proposte». Le toghe ribelli e i due consiglieri sarebbero accomunati dall'«amore per l'Istituzione» che va salvaguardata «dalle aggressioni improprie del correntismo». Per i blogger «essere d'accordo su quei tre capisaldi supera ogni legittima differenziazione ideologica», ma «non implica la cancellazione delle diversità culturali tra i magistrati che resteranno liberi di associarsi come meglio credono», a patto che «quelle private associazioni non mirino a condizionare, in qualsiasi modo, l'indipendente ed imparziale esercizio della giurisdizione». Ieri Ardita e Di Matteo hanno votato a favore della modifica del regolamento interno del Csm, sull'elezione dei componenti supplenti della sezione disciplinare per aumentarne il numero da 10 a 14 (3 togati e 1 laico). La correzione dovrebbe scongiurare il rischio che venga a mancare, tra astensioni e possibili ricusazioni, il numero legale di componenti (sei) nel collegio che dovrà giudicare, a partire dal 21 luglio, Luca Palamara, Cosimo Ferri e altri cinque ex membri del Csm. Quattro consiglieri si sono astenuti sulla proposta: si tratta del laico di Forza Italia Alessio Lanzi, del 5 stelle Filippo Donati e dei due togati di Magistratura indipendente Loredana Micciché e Antonio D'Amato. Per il relatore, Giuseppe Cascini, capogruppo del cartello progressista di Area e un tempo amico di Palamara, «si tratta di una modifica necessaria», perché «nell'ultimo periodo sono aumentati i procedimenti disciplinari a carico dei magistrati» e «soprattutto sono aumentati, purtroppo, i casi di applicazione di misure cautelari, quali il trasferimento o la sospensione». Il laico Lanzi ha, invece, espresso «serie perplessità» sulla modifica regolamentare, perché «la modifica si pone in tensione con l'articolo 25 della Costituzione sulla precostituzione del giudice per legge (…) creando di fatto dei giudici nuovi che andranno a valutare fatti precedenti alla loro nomina». Per Lanzi sarebbe stato preferibile che una riforma che incide così pesantemente sulla composizione della sezione disciplinare fosse decisa dal Parlamento o dal Governo. Lanzi, infine, ha intravisto un ulteriore rischio: «La modifica porta i componenti complessivi della sezione a 20 su 24 consiglieri del Csm, con conseguenti difficoltà per il funzionamento e le attività di tutto il Consiglio».
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Riduci
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Riduci
Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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