2020-07-09
I renziani in soccorso di Berlusconi (ri)mettono Bonafede nel mirino
Il gruppo di Italia viva al Senato ha deciso di chiamare in causa direttamente il ministro della Giustizia sul caso della registrazione del giudice Amedeo Franco. La mossa rischia di aprire una crisi nella maggioranzaAumentano i magistrati della sezione disciplinare che dovrà decidere dell'ex leader di Unicost e di sei toghe. A sorpresa Nino Di Matteo e Sebastiano Ardita passano coi «ribelli» anti casta.Lo speciale contiene due articoliUn question time per chiarire in Parlamento le dichiarazioni del giudice Amedeo Franco che hanno riaperto il caso della sentenza di condanna per Silvio Berlusconi per l'affare dei diritti tv. Lo ha chiesto a sorpresa il gruppo di Italia viva in Senato. Il bubbone è stato messo dai renziani nelle mani del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, che dovrà rispondere oggi alle 15. Gli uomini del fu Rottamatore chiedono al ministro «di fare chiarezza», scrivono i senatori, «sulle dichiarazioni del giudice Franco apparse sui media in merito alla condanna definitiva nell'agosto 2013 di Berlusconi». Una mossa che deve aver spiazzato non poco gli alleati pentastellati. L'atto formale segue di pochi giorni una dichiarazione dell'ormai senatore semplice Renzi, che sulla questione aveva già tracciato la linea. La premessa era questa: «Io sono un avversario politico di Silvio Berlusconi e non tocca a me valutare». La questione politica, però, deve aver fatto gola a Matteo: «Politicamente ho il dovere di dire che non può essere ignorata la richiesta di fare chiarezza su una vicenda che coinvolge un ex presidente del consiglio». Il Bullo ha anche svelato di essersi sentito con il Cavaliere. E in una intervista al Riformista si è anche spinto un po' di più: «Berlusconi va rispettato come uomo ed ex presidente del Consiglio. Le accuse contenute nell'audio, se confermate, offrono un quadro gravissimo su cui è urgente fare chiarezza». E, visto che è stato l'unico da sinistra a parlarne, ha mandato anche qualche messaggio agli alleati: «Tocca alle sedi opportune capire se lo sfogo di questo magistrato è una cosa seria o no. È un fatto tuttavia di cui è doveroso parlare, non può essere eluso da chi fischietta e fa finta di nulla». E a far finta di nulla c'è tutto il governo giallorosso. Uno degli incontri registrati risale al 14 febbraio 2014, otto giorni prima della nascita del governo Renzi. Berlusconi in quelle intercettazioni sembra avere le idee chiare sul nuovo gabinetto guidato dall'ex sindaco di Firenze con cui a gennaio dello stesso anno aveva siglato il cosiddetto Patto del Nazareno. Berlusconi, con Franco (che è deceduto l'anno scorso), dopo aver annunciato che i sondaggi davano avanti il centrodestra di cinque punti sul centrosinistra,commenta: «A furia di venirmi addosso si accorgono che diventa un boomerang per loro. Adesso vediamo che cosa fa Renzi. Accetto scommesse. Entro il 20 manda a casa questo governo e si mette lui presidente del Consiglio. (…) Io resto all'opposizione e voto le riforme, perché le inseguo da vent'anni e quindi noi faremo opposizione se mettono nuove tasse, se fanno cose sballate, ma daremo il nostro voto sulla riforma della burocrazia, la riforma fiscale, la riforma del lavoro, la riforma della giustizia (…) su cui noi potremmo essere d'accordo». Berlusconi, insomma, non vedeva con astio l'ascesa del Bullo. Fin qui la questione politica. Sulla restante parte delle conversazioni, Forza Italia chiede una commissione d'inchiesta. E ora chiede a Italia viva di votare a favore della proposta. «Ci colpisce positivamente questo impeto garantista di un partito che pure fa parte della maggioranza più giacobina dal dopoguerra a oggi, e anticipiamo oggi una propostaa cui stiamo lavorando da giorni per fare un ulteriore passo avanti nella ricerca della verità», ha dichiarato la presidente dei senatori azzurri Anna Maria Bernini. Mentre gli avvocati del Cavaliere, allegando quelle conversazioni, hanno impugnato la sentenza della Cassazione davanti alla Corte europea dei diritti umani. «Berlusconi deve essere condannato a priori perché è un mascalzone! Questa è la realtà... A mio parere è stato trattato ingiustamente e ha subito una grave ingiustizia... L'impressione che tutta questa vicenda sia stata guidata dall'alto», affermò Franco. Poi, in un crescendo: «In effetti hanno fatto una porcheria perché che senso ha mandarla alla sezione feriale? Voglio per sgravarmi la coscienza, perché mi porto questo peso del... ci continuo a pensare. Non mi libero... Io gli stavo dicendo che la sentenza faceva schifo». Sempre secondo Franco, «i pregiudizi per forza che ci stavano... si potesse fare... si potesse scegliere... si potesse... si poteva cercare di evitare che andasse a finire in mano a questo plotone di esecuzione, come è capitato, perché di peggio non poteva capitare». E infine: «Sussiste una malafede del presidente del collegio, sicuramente», disse Franco. Esposito, che nel frattempo è andato in pensione e ora scrive articoli per il Fatto quotidiano, ha annunciato querele. Contesta anche tre dichiarazioni allegate al ricorso dei legali del Cavaliere. Le hanno rese i dipendenti dell'hotel Villa Svizzera di Domenico De Siano, senatore e coordinatore di Forza Italia in Campania. Contengono le testimonianze su alcune frasi rivolte al Cavaliere e attribuite a Esposito. Un paio di siluri a salve sulla questione il giudice li ha anche sparati a Napoli: uno al Consiglio dell'ordine degli avvocati contro uno dei legali di Berlusconi; l'altro in Procura, dove c'è un fascicolo iscritto contro ignoti e senza ipotesi di reato. Almeno per ora. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-renziani-in-soccorso-di-berlusconi-ri-mettono-bonafede-nel-mirino-2646369422.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-csm-blinda-il-processo-a-palamara" data-post-id="2646369422" data-published-at="1594246221" data-use-pagination="False"> Il Csm blinda il processo a Palamara Il blog delle toghe fuori dalle correnti, «Uguale per tutti», ha messo online il suo progetto per una vera riforma della magistratura: «La giustizia italiana sta sprofondando nel fango. Aiutateci a restituire ai cittadini la Giustizia che meritano, trasparente, credibile, non politicizzata» premettono i promotori prima di snocciolare le tre proposte chiave per il rinnovamento che auspicano: sorteggio dei candidati al Csm, rotazione dei dirigenti, abolizione dell'immunità dei componenti del Csm». Idee per impedire di creare una casta di privilegiati e mettere tutte le toghe al servizio del sistema. Ad animare il sito sono una quindicina di magistrati, tra cui Andrea Reale, che con la lista Proposta B era riuscito a entrare nella stanza dei bottoni dell'Associazione nazionale magistrati, nonostante prospettasse regole che impedissero di usare l'Anm come trampolino di lancio per far carriera. Sino a oggi hanno sottoscritto il manifesto di «Uguale per tutti» più di 100 magistrati (127 per il sorteggio), tra cui la gip romana Clementina Forleo, il procuratore di Siracusa Sabrina Gambino e il presidente del Tribunale di sorveglianza di Taranto Lydia Deiure. Tra i firmatari, a sorpresa, anche due consiglieri di primo piano del Csm, l'indipendente Nino Di Matteo e l'amico e collega siciliano Sebastiano Ardita, esponente della corrente Autonomia & indipendenza, quella fondata da Pier Camillo Davigo. Di Matteo è da tempo un punto di riferimento per i non allineati, soprattutto dopo che ha accusato il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede di non aver mantenuto la parola e di aver ritirato l'offerta che gli aveva fatto di diventare capo del Dap. Ardita è, invece, presidente di una delle commissioni più importanti del Csm, quella che deve valutare le incompatibilità ambientali delle toghe e che quindi è particolarmente sotto pressione in queste settimane dopo il deposito delle 49.000 pagine di chat con Palamara. Sul sito l'adesione dei due pesi massimi viene accolta «con soddisfazione» e commentata in un post intitolato «La breccia», dove, a proposito dei due componenti del Csm, si legge: «Siamo consapevoli della responsabilità che hanno esercitato nel manifestare la pubblica condivisione delle nostre tre proposte». Le toghe ribelli e i due consiglieri sarebbero accomunati dall'«amore per l'Istituzione» che va salvaguardata «dalle aggressioni improprie del correntismo». Per i blogger «essere d'accordo su quei tre capisaldi supera ogni legittima differenziazione ideologica», ma «non implica la cancellazione delle diversità culturali tra i magistrati che resteranno liberi di associarsi come meglio credono», a patto che «quelle private associazioni non mirino a condizionare, in qualsiasi modo, l'indipendente ed imparziale esercizio della giurisdizione». Ieri Ardita e Di Matteo hanno votato a favore della modifica del regolamento interno del Csm, sull'elezione dei componenti supplenti della sezione disciplinare per aumentarne il numero da 10 a 14 (3 togati e 1 laico). La correzione dovrebbe scongiurare il rischio che venga a mancare, tra astensioni e possibili ricusazioni, il numero legale di componenti (sei) nel collegio che dovrà giudicare, a partire dal 21 luglio, Luca Palamara, Cosimo Ferri e altri cinque ex membri del Csm. Quattro consiglieri si sono astenuti sulla proposta: si tratta del laico di Forza Italia Alessio Lanzi, del 5 stelle Filippo Donati e dei due togati di Magistratura indipendente Loredana Micciché e Antonio D'Amato. Per il relatore, Giuseppe Cascini, capogruppo del cartello progressista di Area e un tempo amico di Palamara, «si tratta di una modifica necessaria», perché «nell'ultimo periodo sono aumentati i procedimenti disciplinari a carico dei magistrati» e «soprattutto sono aumentati, purtroppo, i casi di applicazione di misure cautelari, quali il trasferimento o la sospensione». Il laico Lanzi ha, invece, espresso «serie perplessità» sulla modifica regolamentare, perché «la modifica si pone in tensione con l'articolo 25 della Costituzione sulla precostituzione del giudice per legge (…) creando di fatto dei giudici nuovi che andranno a valutare fatti precedenti alla loro nomina». Per Lanzi sarebbe stato preferibile che una riforma che incide così pesantemente sulla composizione della sezione disciplinare fosse decisa dal Parlamento o dal Governo. Lanzi, infine, ha intravisto un ulteriore rischio: «La modifica porta i componenti complessivi della sezione a 20 su 24 consiglieri del Csm, con conseguenti difficoltà per il funzionamento e le attività di tutto il Consiglio».
Rod Dreher (Getty Images)