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2019-03-07
Fermate quel farmaco, fa male ai ragazzi
Butterfly
Sconosciuta fino a pochi giorni ai più, la triptorelina è assurta agli onori delle cronache dopo che l'Aifa ha deciso di inserirla nell'elenco dei farmaci a carico del Sistema sanitario nazionale per il trattamento dei casi accertati di disforia di genere. La deliberazione dell'Agenzia, pubblicata in Gazzetta ufficiale il 2 marzo con decorrenza dal giorno successivo, ha avuto il duplice effetto di sancire da un lato l'efficacia (presunta in realtà) di questo medicinale nei casi di adolescenti che non si riconoscono nel sesso fenotipico (cioè quello di nascita), e dall'altro stabilire che a farsi carico di questi casi debbano essere i contribuenti.
La triptorelina fino a oggi è stata utilizzata con efficacia principalmente nella cura dei tumori. Tra le indicazioni riportate sul sito dell'Aifa, troviamo infatti il carcinoma della prostata, quello della mammella, l'endometriosi, i fibromi uterini non operabili e il trattamento pre-chirurgico dei fibromi uterini. Per queste patologie, come si legge nella cosiddetta «nota 51» diramata dall'Agenzia, è prevista l'esenzione dal pagamento del ticket. L'esenzione copre anche il trattamento della pubertà precoce (nota anche come «pubertà patologica»): in questi casi, il farmaco agisce sospendendo lo sviluppo puberale, al fine di evitare danni permanenti (sviluppo osteoarticolare, muscolare, metabolico), ma l'uso è limitato a soggetti di età inferiore a 8 anni nelle bambine e 10 anni nel bambino.
Per tutti gli altri utilizzi diversi da quelli previsti dal formulario, compreso l'impiego in soggetti con età più elevata, la responsabilità anche penale della prescrizione del farmaco ricadeva sul medico, lasciando i costi a carico dei pazienti. Si tratta di quella prassi che in gergo viene chiamata prescrizione «off label». Di questo aspetto si sono lamentate a lungo le associazioni della galassia Lgbt, da tempo in prima linea per la lotta al riconoscimento della gratuità del farmaco. Ma finora l'impiego off label nei casi di disforia di genere aveva rappresentato una scelta praticamente obbligata. La relazione inviata lo scorso luglio all'Aifa da parte del Comitato nazionale di bioetica (Cnb), infatti, metteva in guardia da un utilizzo indiscriminato della triptorelina. Tra i potenziali rischi e perplessità mediche citate dai saggi del Cnb rientrano l'assenza di «studi di sicurezza e dati sufficienti di follow up in grado di rassicurare sulla mancanza di effetti collaterali a breve e a lungo termine», la scarsità di conoscenze circa le «conseguenze del blocco dello sviluppo sessuale in rapporto allo sviluppo emotivo-cognitivo che procede», e i forti dubbi in merito alla «partecipazione e il consenso al programma terapeutico dell'adolescente».
Non si tratta di osservazioni di poco conto, se si pensa che ogni farmaco per poter essere introdotto nel mercato è soggetto a controlli rigidissimi. D'altronde, potrà sembrare scontato specificarlo, in ballo c'è la salute dei pazienti. Una preoccupazione resa ancora più forte dal fatto che i destinatari del trattamento sono soggetti minori peraltro, avverte il Cnb, «particolarmente vulnerabili sotto il profilo psicologico e sociale».
Per contro, il provvedimento reso noto venerdì sembra invece voler sdoganare una volta per tutte l'utilizzo del triptorelina nella cura di questo tipo di disturbi. Oggi la triptorelina è attualmente in commercio sotto forma di soluzione iniettabile con il nome di Decapeptyl (prodotto da Ipsen Spa) e di Gonapeptyl (prodotto da Ferring Spa), i cui costi si aggirano intorno ai 170 euro per ciascuna confezione. Nella richiesta di parere per l'utilizzo del principio attivo per il trattamento dei pazienti adolescenti affetti da disforia di genere, inviata al Cnb nell'aprile del 2018, l'Aifa valuta di «difficile esecuzione» la stima accurata di pazienti che potrebbero fare ricorso al farmaco. Considerando una platea totale di circa 2,8 milioni di ragazzi tra i 10 e 14 anni e un'incidenza tra lo 0,002% e lo 0,005%, i soggetti interessati potrebbero essere compresi tra i 90 e i 140 all'anno. Complessivamente, dal momento che il primo anno del trattamento costerebbe intorno ai 2.300 euro, la spesa per il Ssn andrebbe dai 207.000 euro ai 322.000 euro circa. Contattata dalla Verità, una referente della Ferring Spa (una delle due case farmaceutiche che distribuiscono nel nostro Paese la triptorelina) si è detta «sorpresa» della decisione dell'Aifa, spiegando che «l'azienda non ha effettuato alcun tipo di pressione» per l'estensione dell'utilizzo del farmaco e che è «tuttora in corso una valutazione sui possibili impatti economici di questo provvedimento».
Antonio Grizzuti
Il blocco della pubertà? Un rischio enorme
Il senatore leghista Simone Pillon è comprensibilmente irritato: «La notizia relativa al via libera per la triptorelina, che potrà essere prescritta agli adolescenti per bloccare la pubertà in ossequio alle ideologie genderiste è una decisione vergognosa», dice. E promette: «Sarà mio preciso impegno compiere ogni passo per far annullare questa determina, adottata oltretutto durante la vacanza della presidenza Aifa, e con evidenze scientifiche ed etiche contrastanti».
Come abbiamo scritto ieri, la triptorelina, il medicinale che blocca la pubertà, verrà coperto dal servizio sanitario nazionale nei casi di disforia di genere. Il fatto, però, è che su questi medicinali le informazioni sono pochissime, e sono sostanzialmente sconosciuti i danni che i minorenni potrebbero riportare. A spiegarlo sono esperti piuttosto autorevoli, di certo non sospettabili di omofobia o transfobia.
Per esempio, un signore chiamato Carl Heneghan, docente di Medicina basata sull'evidenza a Oxford, nonché direttore della sezione del British medical journal dedicata alla sua disciplina. Un luminare, per farla breve. Il 25 febbraio di quest'anno, proprio sull'autorevole rivista scientifica britannica, Heneghan ha pubblicato un articolo dedicato al cambio di sesso di bambini e adolescenti.
Secondo il professore, «i trattamenti per bambini e adolescenti con disforia di genere sotto i 18 anni rimangono in gran parte sperimentali. Ci sono un gran numero di domande senza risposta che includono l'età, la reversibilità; eventi avversi, effetti a lungo termine sulla salute mentale, qualità della vita, densità minerale ossea, osteoporosi in età avanzata».
Lo studioso, in sostanza, afferma che somministrare certi farmaci a bambini e ragazzini potrebbe essere estremamente rischioso. In particolare, parlando dei medicinali che bloccano la pubertà, dice che le prove scientifiche attualmente disponibili sono pochissime e limitate. E conclude: «L'attuale base di prove non consente un processo decisionale informato e una pratica sicura». Tanto basterebbe per suggerire di andarci cauti. Ma l'inglese non è il solo a esprimere dubbi pesanti. Persino Polly Carmichael, direttrice del Gids (il centro britannico che si occupa di bimbi e ragazzi con disforia di genere), nel corso degli anni ha sempre espresso perplessità. Qualche tempo fa ha dichiarato al Guardian: «La domanda è: se interrompi i tuoi ormoni sessuali in modo che il tuo cervello non viva la pubertà, stai in qualche modo alterando il corso della natura?». In seguito ha aggiunto: «Il dibattito ruota intorno alla reversibilità di questo intervento: fisico e anche psicologico, in termini di possibile influenza degli ormoni sessuali sul cervello e sullo sviluppo dell'identità». Marcus Evans, un altro medico inglese che ha lavorato per il Gids, ha scritto in un articolo: «Non riesco a pensare ad un'altra area della medicina in cui sarebbe lecito utilizzare in modo così diffuso farmaci i cui effetti a lungo termine sono sconosciuti».
Non è finita. Vale la pena di citare anche ciò che dicono gli studiosi della Ucsf, l'Università della California di San Francisco. Anche lì esiste una «gender clinic» che segue bambini e adolescenti. A gestirla sono esperti decisamente schierati a favore dei diritti trans, che non fanno mistero di avere un «approccio affermativo». In soldoni, significa che sono portati ad assecondare i ragazzini che dichiarano di voler cambiare sesso. Ecco: perfino questi studiosi ammettono che sui farmaci non ci sono sufficienti informazioni. Diane Ehrensaft, psicologa clinica e dirigente della «gender clinic» dell'ateneo ha dichiarato ai giornali: «I genitori ci chiedono: “Che cosa sapete veramente degli effetti a lungo termine dei bloccanti della pubertà? Chi ha davvero studiato i bambini per 20 anni?". E noi diciamo: “Questo è quello che intendiamo fare"». Già: i medici di San Francisco hanno iniziato circa tre anni fa a monitorare i numerosi minorenni che fanno ricorso ai farmaci per bloccare la pubertà. Si sono imbarcati nell'impresa proprio perché si sono resi conto che non c'erano abbastanza informazioni sull'argomento. Quindi bisognerà aspettare ancora un bel po' prima di avere risultati seri. Anche l'autorevolissima rivista medica The Lancet, in un articolo del 2017 dedicato ai farmaci che bloccano la pubertà, ha scritto: «Nonostante promettenti prove preliminari sull'utilità clinica di questo approccio, c'è carenza di ricerca».
Insomma, qui il rischio è che si sdogani un farmaco che può avere effetti pesanti sui minorenni. Un medicinale il cui utilizzo, nel nostro Paese, è stato molto circoscritto. In altri Stati viene usato su larga scala, perché si segue il già citato approccio affermativo: per accontentare attivisti e difensori delle minoranze, si mettono in pericolo bambini e ragazzi che già vivono enormi difficoltà.
Francesco Borgonovo
Spadafora vuol spendere 8 milioni solo contro le discriminazioni Lgbt
«Perché le discriminazioni riguarderebbero solo le persone Lgbt e l'onorevole Vincenzo Spadafora non fa menzione di tutte le altre emergenze?». Giusy D'Amico, presidente dell'associazione Non si tocca la famiglia replica al sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alle Pari opportunità e ai giovani, che alla Camera ha dichiarato di voler promuovere «la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere», con 8 milioni di euro per il 2019. «In particolare, le azioni riguardano gli ambiti del lavoro, della salute, della sicurezza, del trattamento carcerario, della formazione del personale della pubblica amministrazione», spiegava Spadafora, rispondendo all'interpellanza dei deputati dem che chiedevano al governo misure urgenti «per contrastare episodi dilaganti di omotransfobia». Il sottosegretario precisava che utilizzerà subito il finanziamento previsto fino al 2022, «con l'intenzione di chiedere ulteriori fondi per i prossimi anni». La decisione dice di averla presa assieme all'Unar, l'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali coordinato dall'amico Luigi Manconi, paladino delle adozioni per le coppie dello stesso sesso e della maternità surrogata.
L'Unar è beneficiario di risorse del Pon inclusione, programma operativo nazionale (cofinanziato dal Fondo sociale europeo) che supporta misure e servizi contro la povertà e la marginalità sociale. Buona parte dei finanziamenti serviranno a favorire l'inclusione socio lavorativa delle persone Lgbt, in particolar modo dei giovani «che saranno destinatari di molte delle iniziative che ho elencato», ricordava Spadafora. «Come in un brutto film già visto, parlare di giovani significherà scuole che, già invase dal gender, si troveranno a subire nuove ondate di iniziative su cui vogliamo invece poter dire la nostra, perché sia rispettato il principio della libertà educativa dei genitori sulla trattazione di temi sensibili», commenta preoccupata D'Amico. La presidente non comprende perché una somma così ingente sia destinata solo in direzione Lgbt, ignorando altre e più diffuse discriminazioni. «Non è stato fatto alcun cenno, ad esempio, all'impellente necessità di promuovere la famiglia, intervenendo anche sulle difficoltà economiche “discriminanti" che i nuclei più numerosi soffrono rispetto a chi ha solo uno, o due figli».
Il sottosegretario vuole più soldi per contrastare nei diversi ambiti della vita sociale e lavorativa la «discriminazione nei confronti di persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender» e nel suo intervento alla Camera dei deputati si è augurato che l'Unar diventi al più presto «un ufficio totalmente autonomo e, quindi, in grado di operare su questi temi al di sopra delle parti e in totale autonomia dal Governo». Così da avere più margini di manovra per finanziare interventi pro Lgbt. Spadafora ha ricordato che il dipartimento Pari opportunità collabora con l'Unar e con l'Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (Oscad) per arginare l'omotransfobia, ma anche su questo punto la presidente di Non si tocca la famiglia precisa che la realtà e un'altra. «Su un totale di 2.030 segnalazioni raccolte tra il 2010 e il 2017 dall'Oscad, circa la metà, 1.036, costituiscono un reato. Il 60% dei reati di matrice discriminatoria sono dovuti all'origine o provenienza della vittima “razza/etnia" e un 18,1% all'appartenenza religiosa. Solo l'1,2% delle discriminazioni - che sicuramente sono sempre inaccettabili- riguarderebbe l'identità di genere. Eppure l'onorevole Spadafora sta concentrando un finanziamento di 8 milioni di euro unicamente per le tematiche Lgbt», ironizza Giusy D'Amico. «Per le discriminazioni a sfondo etnico e religioso, in testa alle segnalazioni Oscad, quanti denari toccheranno? Forse neanche uno».
La presidente ricorda che già nel 2017, dopo lo scandalo Unar «avevamo chiesto che il denaro pubblico sottratto ai cittadini per finanziare presunte associazioni culturali volte a favorire incontri sessuali gay con fenomeni di incoraggiamento alla prostituzione, venisse assegnato alle associazioni di famiglie, genitori e docenti con immediata convocazione di un tavolo tecnico per elaborare una nuova e condivisa strategia nazionale educativa, contro tutte le forme di discriminazione. Nulla è stato fatto. Attendiamo di essere convocati urgentemente dall'onorevole Spadafora perché migliaia di famiglie, composte da cittadini contribuenti, attendono una risposta ed eque ripartizioni di finanziamenti pubblici».
Patrizia Floder Ritter
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Riduci
Una portavoce di Ferring Spa, l'azienda che distribuisce il medicinale, dichiara: «Non siamo stati noi a fare pressione».Sulle terapie che fermano lo sviluppo dei minorenni prima del cambio di sesso ci sono troppe domande ancora senza risposta Lo spiegano esperti autorevoli da tutto il mondo: «Non conosciamo le conseguenze che potrebbero avere sui pazienti».Secondo il sottosegretario grillino non esisterebbero altre vittime di episodi di violenza o sopraffazione La replica dell'associazione. Non si tocca la famiglia: «Sono solo l'1,2%».Lo speciale contiene tre articoliSconosciuta fino a pochi giorni ai più, la triptorelina è assurta agli onori delle cronache dopo che l'Aifa ha deciso di inserirla nell'elenco dei farmaci a carico del Sistema sanitario nazionale per il trattamento dei casi accertati di disforia di genere. La deliberazione dell'Agenzia, pubblicata in Gazzetta ufficiale il 2 marzo con decorrenza dal giorno successivo, ha avuto il duplice effetto di sancire da un lato l'efficacia (presunta in realtà) di questo medicinale nei casi di adolescenti che non si riconoscono nel sesso fenotipico (cioè quello di nascita), e dall'altro stabilire che a farsi carico di questi casi debbano essere i contribuenti.La triptorelina fino a oggi è stata utilizzata con efficacia principalmente nella cura dei tumori. Tra le indicazioni riportate sul sito dell'Aifa, troviamo infatti il carcinoma della prostata, quello della mammella, l'endometriosi, i fibromi uterini non operabili e il trattamento pre-chirurgico dei fibromi uterini. Per queste patologie, come si legge nella cosiddetta «nota 51» diramata dall'Agenzia, è prevista l'esenzione dal pagamento del ticket. L'esenzione copre anche il trattamento della pubertà precoce (nota anche come «pubertà patologica»): in questi casi, il farmaco agisce sospendendo lo sviluppo puberale, al fine di evitare danni permanenti (sviluppo osteoarticolare, muscolare, metabolico), ma l'uso è limitato a soggetti di età inferiore a 8 anni nelle bambine e 10 anni nel bambino. Per tutti gli altri utilizzi diversi da quelli previsti dal formulario, compreso l'impiego in soggetti con età più elevata, la responsabilità anche penale della prescrizione del farmaco ricadeva sul medico, lasciando i costi a carico dei pazienti. Si tratta di quella prassi che in gergo viene chiamata prescrizione «off label». Di questo aspetto si sono lamentate a lungo le associazioni della galassia Lgbt, da tempo in prima linea per la lotta al riconoscimento della gratuità del farmaco. Ma finora l'impiego off label nei casi di disforia di genere aveva rappresentato una scelta praticamente obbligata. La relazione inviata lo scorso luglio all'Aifa da parte del Comitato nazionale di bioetica (Cnb), infatti, metteva in guardia da un utilizzo indiscriminato della triptorelina. Tra i potenziali rischi e perplessità mediche citate dai saggi del Cnb rientrano l'assenza di «studi di sicurezza e dati sufficienti di follow up in grado di rassicurare sulla mancanza di effetti collaterali a breve e a lungo termine», la scarsità di conoscenze circa le «conseguenze del blocco dello sviluppo sessuale in rapporto allo sviluppo emotivo-cognitivo che procede», e i forti dubbi in merito alla «partecipazione e il consenso al programma terapeutico dell'adolescente».Non si tratta di osservazioni di poco conto, se si pensa che ogni farmaco per poter essere introdotto nel mercato è soggetto a controlli rigidissimi. D'altronde, potrà sembrare scontato specificarlo, in ballo c'è la salute dei pazienti. Una preoccupazione resa ancora più forte dal fatto che i destinatari del trattamento sono soggetti minori peraltro, avverte il Cnb, «particolarmente vulnerabili sotto il profilo psicologico e sociale». Per contro, il provvedimento reso noto venerdì sembra invece voler sdoganare una volta per tutte l'utilizzo del triptorelina nella cura di questo tipo di disturbi. Oggi la triptorelina è attualmente in commercio sotto forma di soluzione iniettabile con il nome di Decapeptyl (prodotto da Ipsen Spa) e di Gonapeptyl (prodotto da Ferring Spa), i cui costi si aggirano intorno ai 170 euro per ciascuna confezione. Nella richiesta di parere per l'utilizzo del principio attivo per il trattamento dei pazienti adolescenti affetti da disforia di genere, inviata al Cnb nell'aprile del 2018, l'Aifa valuta di «difficile esecuzione» la stima accurata di pazienti che potrebbero fare ricorso al farmaco. Considerando una platea totale di circa 2,8 milioni di ragazzi tra i 10 e 14 anni e un'incidenza tra lo 0,002% e lo 0,005%, i soggetti interessati potrebbero essere compresi tra i 90 e i 140 all'anno. Complessivamente, dal momento che il primo anno del trattamento costerebbe intorno ai 2.300 euro, la spesa per il Ssn andrebbe dai 207.000 euro ai 322.000 euro circa. Contattata dalla Verità, una referente della Ferring Spa (una delle due case farmaceutiche che distribuiscono nel nostro Paese la triptorelina) si è detta «sorpresa» della decisione dell'Aifa, spiegando che «l'azienda non ha effettuato alcun tipo di pressione» per l'estensione dell'utilizzo del farmaco e che è «tuttora in corso una valutazione sui possibili impatti economici di questo provvedimento».Antonio Grizzuti<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-produttori-del-farmaco-dei-trans-siamo-stupiti-dalla-scelta-dellaifa-2630849197.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-blocco-della-puberta-un-rischio-enorme" data-post-id="2630849197" data-published-at="1765636507" data-use-pagination="False"> Il blocco della pubertà? Un rischio enorme Il senatore leghista Simone Pillon è comprensibilmente irritato: «La notizia relativa al via libera per la triptorelina, che potrà essere prescritta agli adolescenti per bloccare la pubertà in ossequio alle ideologie genderiste è una decisione vergognosa», dice. E promette: «Sarà mio preciso impegno compiere ogni passo per far annullare questa determina, adottata oltretutto durante la vacanza della presidenza Aifa, e con evidenze scientifiche ed etiche contrastanti». Come abbiamo scritto ieri, la triptorelina, il medicinale che blocca la pubertà, verrà coperto dal servizio sanitario nazionale nei casi di disforia di genere. Il fatto, però, è che su questi medicinali le informazioni sono pochissime, e sono sostanzialmente sconosciuti i danni che i minorenni potrebbero riportare. A spiegarlo sono esperti piuttosto autorevoli, di certo non sospettabili di omofobia o transfobia. Per esempio, un signore chiamato Carl Heneghan, docente di Medicina basata sull'evidenza a Oxford, nonché direttore della sezione del British medical journal dedicata alla sua disciplina. Un luminare, per farla breve. Il 25 febbraio di quest'anno, proprio sull'autorevole rivista scientifica britannica, Heneghan ha pubblicato un articolo dedicato al cambio di sesso di bambini e adolescenti. Secondo il professore, «i trattamenti per bambini e adolescenti con disforia di genere sotto i 18 anni rimangono in gran parte sperimentali. Ci sono un gran numero di domande senza risposta che includono l'età, la reversibilità; eventi avversi, effetti a lungo termine sulla salute mentale, qualità della vita, densità minerale ossea, osteoporosi in età avanzata». Lo studioso, in sostanza, afferma che somministrare certi farmaci a bambini e ragazzini potrebbe essere estremamente rischioso. In particolare, parlando dei medicinali che bloccano la pubertà, dice che le prove scientifiche attualmente disponibili sono pochissime e limitate. E conclude: «L'attuale base di prove non consente un processo decisionale informato e una pratica sicura». Tanto basterebbe per suggerire di andarci cauti. Ma l'inglese non è il solo a esprimere dubbi pesanti. Persino Polly Carmichael, direttrice del Gids (il centro britannico che si occupa di bimbi e ragazzi con disforia di genere), nel corso degli anni ha sempre espresso perplessità. Qualche tempo fa ha dichiarato al Guardian: «La domanda è: se interrompi i tuoi ormoni sessuali in modo che il tuo cervello non viva la pubertà, stai in qualche modo alterando il corso della natura?». In seguito ha aggiunto: «Il dibattito ruota intorno alla reversibilità di questo intervento: fisico e anche psicologico, in termini di possibile influenza degli ormoni sessuali sul cervello e sullo sviluppo dell'identità». Marcus Evans, un altro medico inglese che ha lavorato per il Gids, ha scritto in un articolo: «Non riesco a pensare ad un'altra area della medicina in cui sarebbe lecito utilizzare in modo così diffuso farmaci i cui effetti a lungo termine sono sconosciuti». Non è finita. Vale la pena di citare anche ciò che dicono gli studiosi della Ucsf, l'Università della California di San Francisco. Anche lì esiste una «gender clinic» che segue bambini e adolescenti. A gestirla sono esperti decisamente schierati a favore dei diritti trans, che non fanno mistero di avere un «approccio affermativo». In soldoni, significa che sono portati ad assecondare i ragazzini che dichiarano di voler cambiare sesso. Ecco: perfino questi studiosi ammettono che sui farmaci non ci sono sufficienti informazioni. Diane Ehrensaft, psicologa clinica e dirigente della «gender clinic» dell'ateneo ha dichiarato ai giornali: «I genitori ci chiedono: “Che cosa sapete veramente degli effetti a lungo termine dei bloccanti della pubertà? Chi ha davvero studiato i bambini per 20 anni?". E noi diciamo: “Questo è quello che intendiamo fare"». Già: i medici di San Francisco hanno iniziato circa tre anni fa a monitorare i numerosi minorenni che fanno ricorso ai farmaci per bloccare la pubertà. Si sono imbarcati nell'impresa proprio perché si sono resi conto che non c'erano abbastanza informazioni sull'argomento. Quindi bisognerà aspettare ancora un bel po' prima di avere risultati seri. Anche l'autorevolissima rivista medica The Lancet, in un articolo del 2017 dedicato ai farmaci che bloccano la pubertà, ha scritto: «Nonostante promettenti prove preliminari sull'utilità clinica di questo approccio, c'è carenza di ricerca». Insomma, qui il rischio è che si sdogani un farmaco che può avere effetti pesanti sui minorenni. Un medicinale il cui utilizzo, nel nostro Paese, è stato molto circoscritto. In altri Stati viene usato su larga scala, perché si segue il già citato approccio affermativo: per accontentare attivisti e difensori delle minoranze, si mettono in pericolo bambini e ragazzi che già vivono enormi difficoltà. Francesco Borgonovo <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-produttori-del-farmaco-dei-trans-siamo-stupiti-dalla-scelta-dellaifa-2630849197.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="spadafora-vuol-spendere-8-milioni-solo-contro-le-discriminazioni-lgbt" data-post-id="2630849197" data-published-at="1765636507" data-use-pagination="False"> Spadafora vuol spendere 8 milioni solo contro le discriminazioni Lgbt «Perché le discriminazioni riguarderebbero solo le persone Lgbt e l'onorevole Vincenzo Spadafora non fa menzione di tutte le altre emergenze?». Giusy D'Amico, presidente dell'associazione Non si tocca la famiglia replica al sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alle Pari opportunità e ai giovani, che alla Camera ha dichiarato di voler promuovere «la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere», con 8 milioni di euro per il 2019. «In particolare, le azioni riguardano gli ambiti del lavoro, della salute, della sicurezza, del trattamento carcerario, della formazione del personale della pubblica amministrazione», spiegava Spadafora, rispondendo all'interpellanza dei deputati dem che chiedevano al governo misure urgenti «per contrastare episodi dilaganti di omotransfobia». Il sottosegretario precisava che utilizzerà subito il finanziamento previsto fino al 2022, «con l'intenzione di chiedere ulteriori fondi per i prossimi anni». La decisione dice di averla presa assieme all'Unar, l'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali coordinato dall'amico Luigi Manconi, paladino delle adozioni per le coppie dello stesso sesso e della maternità surrogata. L'Unar è beneficiario di risorse del Pon inclusione, programma operativo nazionale (cofinanziato dal Fondo sociale europeo) che supporta misure e servizi contro la povertà e la marginalità sociale. Buona parte dei finanziamenti serviranno a favorire l'inclusione socio lavorativa delle persone Lgbt, in particolar modo dei giovani «che saranno destinatari di molte delle iniziative che ho elencato», ricordava Spadafora. «Come in un brutto film già visto, parlare di giovani significherà scuole che, già invase dal gender, si troveranno a subire nuove ondate di iniziative su cui vogliamo invece poter dire la nostra, perché sia rispettato il principio della libertà educativa dei genitori sulla trattazione di temi sensibili», commenta preoccupata D'Amico. La presidente non comprende perché una somma così ingente sia destinata solo in direzione Lgbt, ignorando altre e più diffuse discriminazioni. «Non è stato fatto alcun cenno, ad esempio, all'impellente necessità di promuovere la famiglia, intervenendo anche sulle difficoltà economiche “discriminanti" che i nuclei più numerosi soffrono rispetto a chi ha solo uno, o due figli». Il sottosegretario vuole più soldi per contrastare nei diversi ambiti della vita sociale e lavorativa la «discriminazione nei confronti di persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender» e nel suo intervento alla Camera dei deputati si è augurato che l'Unar diventi al più presto «un ufficio totalmente autonomo e, quindi, in grado di operare su questi temi al di sopra delle parti e in totale autonomia dal Governo». Così da avere più margini di manovra per finanziare interventi pro Lgbt. Spadafora ha ricordato che il dipartimento Pari opportunità collabora con l'Unar e con l'Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (Oscad) per arginare l'omotransfobia, ma anche su questo punto la presidente di Non si tocca la famiglia precisa che la realtà e un'altra. «Su un totale di 2.030 segnalazioni raccolte tra il 2010 e il 2017 dall'Oscad, circa la metà, 1.036, costituiscono un reato. Il 60% dei reati di matrice discriminatoria sono dovuti all'origine o provenienza della vittima “razza/etnia" e un 18,1% all'appartenenza religiosa. Solo l'1,2% delle discriminazioni - che sicuramente sono sempre inaccettabili- riguarderebbe l'identità di genere. Eppure l'onorevole Spadafora sta concentrando un finanziamento di 8 milioni di euro unicamente per le tematiche Lgbt», ironizza Giusy D'Amico. «Per le discriminazioni a sfondo etnico e religioso, in testa alle segnalazioni Oscad, quanti denari toccheranno? Forse neanche uno». La presidente ricorda che già nel 2017, dopo lo scandalo Unar «avevamo chiesto che il denaro pubblico sottratto ai cittadini per finanziare presunte associazioni culturali volte a favorire incontri sessuali gay con fenomeni di incoraggiamento alla prostituzione, venisse assegnato alle associazioni di famiglie, genitori e docenti con immediata convocazione di un tavolo tecnico per elaborare una nuova e condivisa strategia nazionale educativa, contro tutte le forme di discriminazione. Nulla è stato fatto. Attendiamo di essere convocati urgentemente dall'onorevole Spadafora perché migliaia di famiglie, composte da cittadini contribuenti, attendono una risposta ed eque ripartizioni di finanziamenti pubblici». Patrizia Floder Ritter
Kaja Kallas (Ansa)
Kallas è il falco della Commissione, quando si tratta di Russia, e tiene a rimarcarlo. A proposito dei fondi russi depositati presso Euroclear, l’estone dice nell’intervista che il Belgio non deve temere una eventuale azione di responsabilità da parte della Russia, perché «se davvero la Russia ricorresse in tribunale per ottenere il rilascio di questi asset o per affermare che la decisione non è conforme al diritto internazionale, allora dovrebbe rivolgersi all’Ue, quindi tutti condivideremmo l’onere».
In pratica, cioè, l’interpretazione piuttosto avventurosa di Kallas è che tutti gli Stati membri sarebbero responsabili in solido con il Belgio se Mosca dovesse ottenere ragione da qualche tribunale sul sequestro e l’utilizzo dei suoi fondi.
Tribunale sui cui l’intervistata è scettica: «A quale tribunale si rivolgerebbe (Putin, ndr)? E quale tribunale deciderebbe, dopo le distruzioni causate in Ucraina, che i soldi debbano essere restituiti alla Russia senza che abbia pagato le riparazioni?». Qui l’alto rappresentante prefigura uno scenario, quello del pagamento delle riparazioni di guerra, che non ha molte chance di vedere realizzato.
All’intervistatore che chiede perché per finanziare la guerra non si usino gli eurobond, cioè un debito comune europeo, Kallas risponde: «Io ho sostenuto gli eurobond, ma c’è stato un chiaro blocco da parte dei Paesi Frugali, che hanno detto che non possono farlo approvare dai loro Parlamenti». È ovvio. La Germania e i suoi satelliti del Nord Europa non vogliano cedere su una questione sulla quale non hanno mai ceduto e per la quale, peraltro, occorre una modifica dei trattati su cui serve l’unanimità e la ratifica poi di tutti i parlamenti. Con il vento politico di destra che soffia in tutta Europa, con Afd oltre il 25% in Germania, è una opzione politicamente impraticabile. Dire eurobond significa gettare la palla in tribuna.
In merito all’adesione dell’Ucraina all’Unione europea già nel 2027, come vorrebbe il piano di pace americano, Kallas se la cava con lunghe perifrasi evitando di prendere posizione. Secondo l’estone, l’adesione all’Ue è una questione di merito e devono decidere gli Stati membri. Ma nel piano questo punto è importante e sembra difficile che venga accantonato.
Kallas poi reclama a gran voce un posto per l’Unione al tavolo della pace: «Il piano deve essere tra Russia e Ucraina. E quando si tratta dell’architettura di sicurezza europea, noi dobbiamo avere voce in capitolo. I confini non possono essere cambiati con la forza. Non ci dovrebbero essere concessioni territoriali né riconoscimento dell’occupazione». Ma lo stesso Zelensky sembra ormai convinto che almeno un referendum sulla questione del Donbass sia possibile. Insomma, Kallas resta oltranzista ma i fatti l’hanno già superata.
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Riduci
Carlo Messina all'inaugurazione dell'Anno Accademico della Luiss (Ansa)
La domanda è retorica, provocatoria e risuona in aula magna come un monito ad alzare lo sguardo, a non limitarsi a contare i droni e limare i mirini, perché la risposta è un’altra. «In Europa abbiamo più poveri e disuguaglianza di quelli che sono i rischi potenziali che derivano da una minaccia reale, e non percepita o teorica, di una guerra». Un discorso ecumenico, realistico, che evoca l’immagine dell’esercito più dolente e sfinito, quello di chi lotta per uscire dalla povertà. «Perché è vero che riguardo a welfare e democrazia non c’è al mondo luogo comparabile all’Europa, ma siamo deboli se investiamo sulla difesa e non contro la povertà e le disuguaglianze».
Le parole non scivolano via ma si fermano a suggerire riflessioni. Perché è importante che un finanziere - anzi colui che per il 2024 è stato premiato come banchiere europeo dell’anno - abbia un approccio sociale più solido e lungimirante delle istituzioni sovranazionali deputate. E lo dimostri proprio nelle settimane in cui sentiamo avvicinarsi i tamburi di Bruxelles con uscite guerrafondaie come «resisteremo più di Putin», «per la guerra non abbiamo fatto abbastanza» (Kaja Kallas, Alto rappresentante per la politica estera) o «se vogliamo evitare la guerra dobbiamo preparaci alla guerra», «dobbiamo produrre più armi, come abbiamo fatto con i vaccini» (Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea).
Una divergenza formidabile. La conferma plastica che l’Europa dei diritti, nella quale ogni minoranza possibile viene tutelata, si sta dimenticando di salvaguardare quelli dei cittadini comuni che alzandosi al mattino non hanno come priorità la misura dell’elmetto rispetto alla circonferenza cranica, ma il lavoro, la famiglia, il destino dei figli e la difesa dei valori primari. Il ceo di Banca Intesa ricorda che il suo gruppo ha destinato 1,5 miliardi per combattere la povertà, sottolinea che la grande forza del nostro Paese sta «nel formidabile mondo delle imprese e nel risparmio delle famiglie, senza eguali in Europa». E sprona le altre grandi aziende: «In Italia non possiamo aspettarci che faccia tutto il governo, se ci sono aziende che fanno utili potrebbero destinarne una parte per intervenire sulle disuguaglianze. Ogni azienda dovrebbe anche lavorare perché i salari vengano aumentati. Sono uno dei punti di debolezza del nostro Paese e aumentarli è una priorità strategica».
Con l’Europa Carlo Messina non ha finito. Parlando di imprenditoria e di catene di comando, coglie l’occasione per toccare in altro nervo scoperto, perfino più strutturale dell’innamoramento bellicista. «Se un’azienda fosse condotta con meccanismi di governance come quelli dell’Unione Europea fallirebbe». Un autentico missile Tomahawk diretto alla burocrazia continentale, a quei «nani di Zurigo» (copyright Woodrow Wilson) trasferitisi a Bruxelles. La spiegazione è evidente. «Per competere in un contesto globale serve un cambio di passo. Quella europea è una governance che non si vede in nessun Paese del mondo e in nessuna azienda. Perché è incapace di prendere decisioni rapide e quando le prende c’è lentezza nella realizzazione. Oppure non incidono realmente sulle cose che servono all’Europa».
Il banchiere è favorevole a un ministero dell’Economia unico e ritiene che il vincolo dell’unanimità debba essere tolto. «Abbiamo creato una banca centrale che gestisce la moneta di Paesi che devono decidere all’unanimità. Questo è uno degli aspetti drammatici». Ma per uno Stato sovrano che aderisce al club dei 27 è anche l’unica garanzia di non dover sottostare all’arroganza (già ampiamente sperimentata) di Francia e Germania, che trarrebbero vantaggi ancora più consistenti senza quel freno procedurale.
Il richiamo a efficienza e rapidità riguarda anche l’inadeguatezza del burosauro e riecheggia la famosa battuta di Franz Joseph Strauss: «I 10 comandamenti contengono 279 parole, la dichiarazione americana d’indipendenza 300, la disposizione Ue sull’importazione di caramelle esattamente 25.911». Un esempio di questa settimana. A causa della superfetazione di tavoli e di passaggi, l’accordo del Consiglio Affari interni Ue sui rimpatri dei migranti irregolari e sulla liceità degli hub in Paesi terzi (recepito anche dal Consiglio d’Europa) entrerà in vigore non fra 60 giorni o 6 mesi, ma se va bene fra un anno e mezzo. Campa cavallo.
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Luca Casarini. Nel riquadro, il manifesto abusivo comparso a Milano (Ansa)
Quando non è tra le onde, Casarini è nel mare di Internet, dove twitta. E pure parecchio. Dice la sua su qualsiasi cosa. Condivide i post dell’Osservatore romano e quelli di Ilaria Salis (del resto, tra i due, è difficile trovare delle differenze, a volte). Ma, soprattutto, attacca le norme del governo e dell’Unione europea in materia di immigrazione. Si sente Davide contro Golia. E lotta, invitando anche ad andare contro la legge. Quando, qualche giorno fa, è stata fermata la nave Humanity 1 (poi rimessa subito in mare dal tribunale di Agrigento) Casarini ha scritto: «Abbatteremo i vostri muri, taglieremo i fili spinati dei vostri campi di concentramento. Faremo fuggire gli innocenti che tenete prigionieri. È già successo nella Storia, succederà ancora. In mare come in terra. La disumanità non vincerà. Fatevene una ragione». Questa volta si sentiva Oskar Schindler, anche se poi va nei cortei pro Pal che inneggiano alla distruzione dello Stato di Israele.
Chi volesse approfondire il suo pensiero, poi, potrebbe andare a leggersi L’Unità del 10 dicembre scorso, il cui titolo è già un programma: Per salvare i migranti dobbiamo forzare le leggi. Nel testo, che risparmiamo al lettore, spiega come l’Ue si sia piegata a Giorgia Meloni e a Donald Trump in materia di immigrazione. I sovranisti (da quanto tempo non sentivamo più questo termine) stanno vincendo. Bisogna fare qualcosa. Bisogna reagire. Ribellarsi. Anche alle leggi. Il nostro, sempre attento ad essere politicamente corretto, se la prende pure con gli albanesi che vivono in un Paese «a metà tra un narcostato e un hub di riciclaggio delle mafie di mezzo mondo, retto da un “dandy” come Rama, più simile al Dandy della banda della Magliana che a quel G.B. Brummel che diede origine al termine». Casarini parla poi di «squadracce» che fanno sparire i migranti e di presunte «soluzioni finali» per questi ultimi. E auspica un modello alternativo, che crei «reti di protezione di migranti e rifugiati, per sottrarli alle future retate che peraltro avverranno in primis nei luoghi di “non accoglienza”, così scientificamente creati nelle nostre città da un programma di smantellamento dei servizi sociali, educativi e sanitari, che mostra oggi i suoi risultati nelle sacche di marginalità in aumento».
Detto, fatto. Qualcuno, in piazzale Cuoco a Milano, ha infatti pensato bene di affiggere dei manifesti anonimi con le indicazioni, per i migranti irregolari, su cosa fare per evitare di finire nei centri di permanenza per i rimpatri, i cosiddetti di Cpr. Nessuna sigla. Nessun contatto. Solo diverse lingue per diffondere il vademecum: l’italiano, certo, ma anche l’arabo e il bengalese in modo che chiunque passi di lì posa capire il messaggio e sfuggire alla legge. Ti bloccano per strada? Non far vedere il passaporto. Devi andare in questura? Presentati con un avvocato. Ti danno un documento di espulsione? Ci sono avvocati gratis (che in realtà pagano gli italiani con le loro tasse). E poi informazioni nel caso in cui qualcuno dovesse finire in un cpr: avrai un telefono, a volte senza videocamera. E ancora: «Se non hai il passaporto del tuo Paese prima di deportarti l’ambasciata ti deve riconoscere. Quindi se non capisci la lingua in cui ti parla non ti deportano. Se ti deportano la polizia italiana ti deve lasciare un foglio che spiega perché ti hanno deportato e quanto tempo deve passare prima di poter ritornare in Europa. È importante informarci e organizzarci insieme per resistere!».
Per Sara Kelany (Fdi), «dire che i Cpr sono “campi di deportazione” e “prigioni per persone senza documenti” è una mistificazione che non serve a tutelare i diritti ma a sostenere e incentivare l’immigrazione irregolare con tutti i rischi che ne conseguono. Nei Cpr vengono trattenuti migranti irregolari socialmente pericolosi, che hanno all’attivo condanne per reati anche molto gravi. Potrà dispiacere a qualche esponente della sinistra o a qualche attivista delle Ong - ogni riferimento a Casarini non è casuale - ma in Italia si rispettano le nostre leggi e non consentiamo a nessuno di aggirarle». Per Francesco Rocca (Fdi), si tratta di «un’affissione abusiva dallo sgradevole odore eversivo».
Casarini, da convertito, diffonde il verbo. Che non è quello che si è incarnato, ma quello che tutela l’immigrato.
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