2022-09-28
I predicozzi resistenziali dei giornali militanti
Nel riquadro Luigi Curini (Imago economica)
«Corriere», «Repubblica» e «Stampa» (ma anche La7), dopo l’ostilità mostrata in campagna elettorale contro la leader di Fdi, hanno iniziato con i sermoni su Europa e Costituzione. Un modo di fare giornalismo che ha un precedente: in America con Donald Trump.Anche quando apparentemente cambiano registro, non riescono a celare una vocazione sprezzante o, nella migliore delle ipotesi, ortopedico-rieducativa. Stiamo parlando dei maggiori quotidiani italiani: i giornali del gruppo Gedi (Stampa e Repubblica), per tutta la campagna elettorale, si sono segnalati per un atteggiamento estremamente aggressivo contro Giorgia Meloni. Il Corriere della Sera, invece, è stato appena più abile nel travestire, nel mimetizzare l’ostilità e il pregiudizio di fondo. Ma siamo sempre lì. Ieri, per esempio, a urne ormai chiuse (com’è noto, con risultati infausti, dal punto di vista di quei quotidiani), è uscita una raffica di fervorini, di prediche, volti - con tanto di ditino alzato - a spiegare alla Meloni cosa sia la Costituzione, cosa l’Europa, cosa sia «ammesso» e cosa no in società. In realtà, al di là delle prove (positive o negative) che il futuro governo potrà offrire, ciò che pare già compromessa è la credibilità di alcuni media, passati in poche ore da attacchi scatenati contro la leader di Fdi a sermoni preventivi e lezioncine di democrazia. Sembra di rivedere quel che accadde negli Usa dopo l’elezione di Donald Trump nel 2016. Allora, la Cnn (come qui La7) organizzava panel di discussione ossessivamente dediti a presentare Trump come un pericolo. Un «esperto» veniva convocato per descriverlo come pericolo economico, un altro come pericolo politico, e un altro ancora come pericolo morale. New York Times e Washington Post (quest’ultimo aggiungendo la significativa dicitura: «democracy dies in darkness») lo picchiavano selvaggiamente ogni giorno. Qui in Italia, è ormai evidente un profilo sempre meno giornalistico e sempre più militante di alcune testate e di non poche firme: addirittura, con una smania di supplenza «resistenziale», se la sinistra politica appare troppo molle.In questo senso, si deve a un docente coraggioso e lungimirante come Luigi Curini (Scienze politiche, Università̀ Statale di Milano) una ricerca, resa nota nel dicembre del 2019 e pubblicata sul sito dell’Iref (Institute for research in economic and fiscal issues), che i responsabili dei media scritti e audiovisivi dovrebbero tenere costantemente sulla loro scrivania. Di che si tratta? Il titolo dice già tutto: It’s the ideology, stupid!. E il sottotitolo ci leva ogni dubbio: Giornalisti, cittadini e la declinante fiducia nelle news. Curini fa un parallelo, prendendo in esame i maggiori Paesi dell’Occidente avanzato, tra l’indice di fiducia dei cittadini verso i media e l’orientamento ideologico dei giornalisti. Cosa viene fuori? Lasciamo la parola al report, nella parte in cui cita il caso italiano: «Per esempio, prendiamo un Paese dove una maggioranza dei cittadini ha visioni politiche moderate. E supponiamo che in questo stesso Paese la maggioranza dei giornalisti esprima un orientamento piuttosto di sinistra. Naturalmente, questo non sarebbe di per sé un problema: i giornalisti potrebbero avere qualunque punto di vista ideologico, e cionondimeno, produrre lo stesso articoli senza pregiudizi. Tuttavia, supponiamo ancora che almeno alcuni giornalisti, invece di offrire analisi corrette e bilanciate quando scrivono i loro articoli (o quando postano sui social media e/o quando partecipano a un talk show), non facciano nulla per nascondere il loro orientamento ideologico, e non siano più̀ percepiti come arbitri della comunicazione politica. Prima o dopo, la maggioranza dei cittadini comincerà a interrogarsi sull’affidabilità degli articoli di giornale».Il report è corredato da un grafico eloquente sul posizionamento culturale-politico-ideologico dei giornalisti nei diversi Paesi, in una scala di colori che oscilla dal blu conservatore a un inconfondibile rosso di sinistra. Inutile dire che la cartina italiana risulta colorata di rosso, con una netta distanza tra l’orientamento dei giornalisti e quello della maggioranza degli elettori.E anche qui, a ben vedere, basterebbe il buon senso per capire quanto il professor Curini abbia ragione. Mettiamoci nei panni di un elettore normale che torna a casa dopo una giornata di lavoro dura, difficile, poco gratificante, alle prese con le preoccupazioni economiche e soprattutto uno standard di vita che sente in netto peggioramento anche se - fortunatamente - ha ancora un lavoro. Ecco, accende la tv e trova i «migliori cervelli» della sinistra politica ed editoriale che, puntandogli il dito contro, lo trattano da analfabeta funzionale se ha votato a destra, da razzista se vuole una qualche regolamentazione dell’immigrazione, da fascista se si distacca dai precetti etico-politici di quella élite progressista. Non serve un genio per capire come si comporterà quell’elettore: non solo confermerà e rafforzerà le sue convinzioni politiche, ma accumulerà una motivatissima scorta di disprezzo verso quegli opinionisti che l’hanno trattato così male, l’hanno offeso, l’hanno umiliato.Hillary Clinton, nella sua superbia, rese perfino esplicito l’insulto, qualificando i sostenitori di Trump come «deplorables», cioè cattivi-deplorevoli-miserabili- pessimi. E i mainstream media di tutto il mondo le sono andati dietro, trattando una maggioranza di americani (e, di volta in volta, di britannici, di polacchi, ecc) come un’orda rabbiosa e sdentata, una curva di hooligans, un insieme di impresentabili da mettere in condizione di non nuocere. Il meccanismo sembra destinato a ripetersi nell’Italia di fine 2022. Poi non c’è da sorprendersi se, per questa strada, non pochi quotidiani continuino a perdere copie.
Jose Mourinho (Getty Images)