2020-07-05
Se tocca a loro, i giudici diventano garantisti
«Il dibattito sulle intercettazioni e sulle necessità di riforme a tutela della privacy dei cittadini si riaccende ciclicamente a ogni occasione in cui un'inchiesta giudiziaria getta una luce su quel sottobosco di malaffare, di connivenze e collusioni nella gestione delle funzioni pubbliche, che purtroppo è una costante della nostra società. A leggere le dichiarazioni di alti esponenti politici, però, sembra che il problema non sia la corruzione. Il problema sono le intercettazioni (...)(...) e i magistrati che le dispongono». Chi lo ha detto? Il coordinamento nazionale di Area, la corrente più a sinistra della magistratura, ma non ieri: qualche anno fa. Quella stessa Area e quello stesso coordinamento che l'altro ieri ha diffuso un comunicato per stigmatizzare la diffusione sulle pagine dei giornali di registrazioni che hanno per protagonisti i magistrati. Già, mentre fino a ieri il problema non erano le intercettazioni, ma il malcostume della classe politica, adesso che nel bel mezzo delle confessioni carpite all'insaputa dei protagonisti ci sono le toghe e il loro malcostume, Area s'indigna e parla di «un contesto che appare favorevole ad accreditare qualsiasi ignominia per screditare e delegittimare i magistrati e la giurisdizione». La corrente progressista dei giudici, quella per intenderci che ai tempi di Silvio Berlusconi si lamentava della limitazione agli ascolti delle conversazioni ed era contraria a ogni norma che contenesse la libertà di pubblicazione dei brogliacci d'indagine, ora che al centro dello scandalo ci sono le toghe si lamenta e reclama il diritto alla privacy, perché la pubblicazione di certe frasi minaccia nientepopodimeno che l'autonomia e l'indipendenza della magistratura. Sì, Area si duole per la propalazione delle chat telefoniche di Palamara e compagni, perché «effettuata in modo strumentale da una parte compiacente della stampa». Ma come, i magistrati democratici non erano quelli che sostenevano il movimento «Intercettateci tutti» per chiarire che loro, così come la parte migliore della società, ovviamente quella di sinistra, non avevano nulla da nascondere? E allora che problema c'è se oggi, per effetto di un'indagine giudiziaria, si disvela «il sottobosco di malaffare, di connivenze e di collusioni» che riguarda i magistrati, le loro carriere e le loro appartenenze? In fondo, i giudici sono cittadini come gli altri, soggetti alla legge al pari di politici e imprenditori, e dunque soggetti anche alle intercettazioni e, di conseguenza, una volta che siano trascritte e depositate, anche alle conseguenze della loro pubblicazione. O forse le toghe di sinistra pensano che i magistrati siano cittadini più uguali degli altri, e dunque debbano godere di un trattamento speciale che vieta la pubblicazione delle loro parole? Eppure, qualche anno fa la stessa Area che oggi si scandalizza perché frasi imbarazzanti finiscono in prima pagina, si dimostrava stupita che la classe politica non capisse come il dramma del nostro Paese fosse il degrado etico e non le indagini che lo svelavano. «Insomma», scriveva il coordinamento nazionale «il problema non è la malattia, ma il medico che fa la diagnosi (o lo strumento tecnico che consente di farla)». All'epoca, la sinistra giudiziaria «respingeva con fermezza» ogni limitazione all'uso delle intercettazioni e pure ogni legge che ne impedisse la divulgazione. Perché, scrivevano i giuristi progressisti, è vero che le intercettazioni sono uno strumento invasivo, che colpisce la sfera privata dei soggetti coinvolti, ma «ci piacerebbe discuterne quando un'indagine penale disvela indebitamente le abitudini sessuali di un terrorista, di un mafioso o di un trafficante di droga, piuttosto che le debolezze private di un ministro della Repubblica». Ogni riferimento a Silvio Berlusconi era ovviamente intenzionale, per dire che in fondo la privacy violata era quella del presidente del Consiglio e dunque non c'era da allarmarsi troppo. Poi però è venuto il trojan, che ha rivelato la «modestia etica» di certa magistratura (la definizione non è farina del mio sacco, ma quella di Sergio Mattarella, presidente oltre che della Repubblica anche del Consiglio superiore della magistratura), ed ecco che improvvisamente la corrente di sinistra delle toghe scopre che la documentazione raccolta dalla Procura di Perugia, una volta pubblicata, presenta l'immagine di una magistratura che ricorre «a prassi inaccettabili, frutto di una trama di schieramenti cementati dal desiderio di occupare posti di particolare importanza giudiziaria e amministrativa, un intreccio di contrapposte manovre, di scambi, talvolta con palese indifferenza al merito delle questioni e alle capacità individuali». Le parole anche questa volta non sono mie, ma del capo dello Stato.La verità è che le attuali lamentazioni dei giudici di sinistra appaiono molto simili a quelle di Silvio Berlusconi quando era soggetto a indagini. Anche allora il Cavaliere parlava di tentativi di delegittimare e screditare un potere dello Stato, anzi, di abbattere un leader democraticamente eletto. Ma all'epoca la magistratura non sembrava certamente incline a limitarsi nel disporre gli ascolti delle persone che ruotavano intorno al presidente del Consiglio. Oggi Area dice che la posta in gioco sono la credibilità e l'onore del corpo sano della magistratura, che rifiuta e ha sempre rifiutato logiche e pratiche clientelari. Siamo d'accordo. Ma il sistema migliore per difendere l'autonomia e l'indipendenza della magistratura non è, come sembrano credere i giudici di sinistra, il bavaglio alla stampa. Il mezzo più utile è, per usare le loro parole, quello di far pulizia. Il problema non sono le intercettazioni. Il problema sono gli intrighi, la spartizione degli incarichi giudiziari, le manovre ai danni della politica. Ed è da questo che i giudici si devono difendere. Non dai nostri articoli.
Il primo ministro del Pakistan Shehbaz Sharif e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (Getty Images)
Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco