2017-09-21
Vogliono eliminare anche le mamme. I figli nasceranno da buste di plastica
In un ospedale di Philadelphia primo esperimento su otto agnellini, fatti crescere in uteri artificiali riempiti di un fluido simile al liquido amniotico. Il chirurgo: «Fra tre anni faremo la prova con i bambini prematuri».Avete presente quelle grosse buste di plastica trasparente, quelle che finiscono con quelle chiusure lampo durissime ma che permettono di conservare i propri alimenti per settimane, addirittura mesi, senza che questi deperiscano? Ecco. Ora immaginate una versione extra large di questa busta. Al posto della vostra frutta e verdura spezzettata e pronta per essere congelata, pensate di riempirla di liquidi corporei come quelli che si formano nel ventre materno durante una gravidanza, di infilarci il feto di un agnellino, e di nutrirlo attraverso tubi che gli trasmettono sostentamenti e sangue. Una follia? Forse. Ma in America, e più precisamente nei laboratori del Children's Hospital di Philadelphia, Alan Flake un chirurgo neonatale ha pensato che il futuro delle gravidanze surrogate possa passare per enormi uteri ricreati in sacche di plastica e ha ben pensato di avvalorare la sua tesi facendo nascere otto piccoli agnelli all'interno di altrettanti sacchetti di plastica. L'esperimento, pubblicato su Nature Communications, è stato definito come un passo storico verso il futuro delle gestazioni. Se infatti nel testo non si menzioni in alcun modo la possibilità di condurre un'intera gravidanza al di fuori del corpo di una donna, questo utero artificiale - chiamato Biobag - a oggi è assodato potrebbe aiutare i neonati prematuri e costretti a nascere a 23-24 settimane di vita, a sopravvivere e ad arrivare sani e forti al termine della gravidanza. E chissà, in un futuro, potrebbe diventare davvero una nuova forma di surrogazione di maternità. È proprio questo passaggio che in America sta terrorizzando le mamme surrogate che vivono del business di affitto del proprio utero. Cercando nei forum dedicati ai gruppi di esperte di surrogazione, dove le donne non solo si scambiano consigli su come sopravvivere all'ennesima gravidanza, ma stilano i loro listini prezzi consigliando cosa aggiungere al conto finale da mostrare ai futuri genitori, le mamme surrogate veterane commentano con orrore la nascita degli agnellini da un utero «di plastica». «È questo il nostro futuro?» si chiede Leah Anna Dixon, di Philadephia. «Verremo rimpiazzate da buste di plastica?» Come lei, ci sono le donne che sono iscritte ad alcune delle cliniche di surrogazione di maternità della Pennsylvania che oggi si domandano «come sia possibile rimpiazzare in questo modo una madre». Una vera ironia, se si pensa che le stesse donne che oggi si lamentano di questo possibile futuro della scienza, da anni fungono nient'altro che da «forni» per coppie di uomini e donne vogliosi di creare una famiglia nonostante le impossibilità fisiche. Aldous Huxley, nel suo Il mondo nuovo, scritto nel 1932, profetizzava nient'altro che un modo in cui, ogni aspetto della vita, viene pianificato in nome del razionalismo produttivistico e in cui tutto è sacrificabile in nome del progresso. Nel suo testo, i bambini, nascevano così, in laboratorio, senza l'aiuto di alcuna donna o uomo. Artificialmente. Oggi, la Biobag creata a Philadelphia, è sicuramente il mezzo più simile ai visionari racconti di Huxley. Dopotutto, l'utero artificiale creato da Alan Flake e il suo team non è altro che un contenitore di plastica, un vero e proprio sacco, sigillato e riempito con un fluido che mima il liquido amniotico e che passa attraverso i polmoni come avviene nell'utero naturale. La temperatura interna della Biobag è regolata e costate, l'ambiente è completamente sterile. Mentre il cuore del feto pompa il sangue attraverso il cordone ombelicale, un apparecchio tecnologico lo filtra, lo arricchisce di ossigeno e lo ripulisce dall'anidride carbonica come farebbe la placenta e lo restituisce al feto. Il tutto, attraverso dei tubi di gomma. «Il nostro sistema», ha spiegato Alan Flake, direttore del Centro per la ricerca fetale al Children's hospital di Philadelphia, «mira a prevenire le complicazioni che normalmente capitano ai bambini estremamente prematuri, offrendo una tecnologia che prima non esisteva. Questi bambini hanno bisogno di un ponte fra l'utero della madre e il mondo esterno. Se riuscissimo ad aiutarli a far maturare i loro organi anche solo per alcune settimane, miglioreremmo la prognosi per molti di loro». Lo stesso Flake, in un'intervista, non nega la possibilità, in futuro, di tentare l'esperimento su feti umani. «Serviranno circa tre anni per veder nascere un bambino prematuro in questo modo», ha commentato Flake, «ma siamo certi che in futuro le Biobag saranno utilizzate per aiutare genitori in difficoltà a far nascere i loro figli». A schierarsi contro Flake sono anche alcune cliniche di maternità surrogata californiane che vedono nella Biobag un sistema in grado di minare il mercato della surrogazione di maternità. «Come possiamo pensare di inserire feti umani o creare una vita in un utero artificiale?» domandano dalla Ncfmc, una clinica del Nord della California. «Spesso sono le infezioni a procurare problemi nel concepimento o nell'avanzamento della maternità, come possiamo oggi essere certi che una sacca di plastica risolva questi problemi e, anzi, crei un sistema infallibile per le nascite future?» scrivono i medici in un lungo messaggio. Un'altra questione poi quella delle conseguenze a lungo termine dell'essere stati cresciuti da un utero artificiale. Degli otto agnellini nati dall'esperimento di Flake, solo uno è stato mantenuto in vita. Gli altri sette sono invece stati sacrificati per il bene della scienza e per studiare gli effetti e le possibili complicazioni derivanti da una gestazione nella plastica. Saremo disposti a far fare la stessa fine anche a dei bambini, per il bene della scienza?