- Per i 13 milioni di portatori di handicap del nostro Paese, la legge sul «Dopo di Noi» sembrava una svolta. Invece si è rivelata un flop.
- «Le Regioni non spendono i soldi per l’assistenza o li usano per altri scopi». Parla Vincenzo Falabella, capo di un’associazione del settore: «Le risorse? Poche E alcuni governatori non sono capaci nemmeno di richiederle».
Per i 13 milioni di portatori di handicap del nostro Paese, la legge sul «Dopo di Noi» sembrava una svolta. Invece si è rivelata un flop.«Le Regioni non spendono i soldi per l’assistenza o li usano per altri scopi». Parla Vincenzo Falabella, capo di un’associazione del settore: «Le risorse? Poche E alcuni governatori non sono capaci nemmeno di richiederle».Lo speciale comprende due articoli.Sono quasi 13 milioni i disabili nel nostro Paese e oltre 3 milioni hanno un handicap molto grave. Tra costoro, circa 1.500.000 ha una età superiore a 75 anni e uno su tre è a rischio povertà. Lo rileva l’Osservatorio sulla Salute nelle Regioni. Eppure, è come se fossero fantasmi. Pochi fondi, pochi strutture, pochissimo personale specializzato. Gran parte del nostro welfare si regge sulla famiglia, e soprattutto i disabili sono affidati quasi completamente all’assistenza e alle cure dei genitori che se ne fanno carico, tra mille sacrifici e dispendio di risorse enormi. Ma quando la rete familiare cede, perché i genitori invecchiano e anche loro hanno bisogno di assistenza, o muoiono e non ci sono parenti prossimi che possono intervenire, allora si apre un problema che finora non ha avuto risposte. Davanti al ragazzo disabile, diventato adulto, si spalanca una voragine. Se le condizioni economiche sono buone, può sperare in qualche soluzione (alcuni genitori lasciano un immobile dove il figlio può continuare a vivere con un assistente, con la garanzia magari di un lascito testamentario) anche se rabberciata e piena di incertezze. Ma chi non ha disponibilità (parliamo di grosse cifre per coprire l’arco di una vita) la prospettiva è una Rsa insieme ad anziani o in strutture dove convivono fianco a fianco con una moltitudine di altri portatori di handicap, ognuno con criticità diverse e con bisogni differenti. Puntualmente le cronache riportano di istituti dove gli ospiti sono soggetti a maltrattamenti o senza cure specifiche, se non la sedazione per isolare i casi più gravi. Le poche strutture sono concentrate al Nord, non solo per l’inefficienza delle amministrazioni del Sud ma forse perché la maggiore presenza della rete familiare nel Meridione rappresenta un alibi per le istituzioni a porre il tema in fondo alle priorità. Il nostro welfare nasce con un’impronta più risarcitoria che di inclusione per le persone con handicap gravi proprio facendo leva sul paracadute familiare. Il «Dopo di Noi» è un grande punto interrogativo. A questa esigenza ha cercato di dare una risposta la legge 112 del 2016 detta proprio «Dopo di Noi» varata sull’urgenza del proliferare di casi di suicidio di genitori anziani disperati per le condizioni dei figli. È una normativa all’avanguardia nel panorama europeo ma, come spesso accade nel nostro Paese, le migliori intenzioni poi si scontrano con la mancanza di fondi, la lentezza attrattiva delle amministrazioni, la ruggine della burocrazia. Tant’è che è pure intervenuta la Corte dei conti per segnalare la scarsa capacità delle istituzioni territoriali nel recepire le istanze delle famiglie e nella progettualità. Ovvero quei pochi soldi che vengono messi a disposizione da ogni legge di Bilancio non vengono spesi o dispersi in tanti rivoli. Inoltre l’autonomia regionale impedisce un monitoraggio da parte dello Stato centrale. Sicché le Regioni si muovono in ordine sparso. Alcune riescono ad assolvere alle richieste delle famiglie, finanziando iniziative, in altre i fondi ristagnano e si creano lunghe file di attesa. Inoltre siccome gli stanziamenti sono legati alle disponibilità decise con ogni legge di Bilancio, è molto difficile costruire una progettualità per il lungo termine come richiede invece il «Dopo di Noi». Basta qualche cifra per avere un’idea del problema. Subito dopo il varo della legge 112, la manovra economica 2016 ha messo a disposizione 90 milioni di euro, che nel 2017 sono scesi a 38 milioni e poi a 56 milioni nel 2018. Per il 2024 sono stati stanziati 72,295 milioni. Stessa cifra per il 2025 e 2026. Questi fondi a fronte di una platea di 2.800.000 di famiglie che vivono con un disabile. «La disabilità è una condizione che interesserà sempre più italiani, grazie al costante allungamento della aspettativa di vita, per questo il nostro sistema di welfare si troverà ad affrontare una domanda crescente di servizi per assicurare a queste persone l’assistenza sanitaria e sociale e il diritto a vivere una vita indipendente», afferma Alessandro Solipaca, responsabile scientifico dell’Osservatorio nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane. Secondo il Rapporto Osservasalute 2021, il 58,1% delle persone con disabilità grave si dichiara in cattive condizioni di salute, il 6,2% lamenta problemi di depressione. I problemi di salute sono acuiti dalle difficoltà di accesso, come testimonia il fatto che il 15,7% ha rinunciato, nel corso dell’ultimo anno, a prestazioni o cure sanitarie per motivi economici. Inoltre, il 21,3% lamenta le lunghe liste d’attesa.Accudire un disabile per una famiglia che lavora richiede notevoli disponibilità economiche oppure uno dei due coniugi, solitamente la donna, rinuncia all’attività professionale. Eppure anche in questo caso è indispensabile comunque un aiuto. Secondo i dati Assindatcolf, un’assistenza professionale e continuativa per un non autosufficiente comporta una spesa che può superare 2.640 euro al mese. I costi non si discostano di molto per chi ricorre a questa figura professionale anche senza bisogno di una continuità di copertura. Un assistente non convivente che copre 8 ore al giorno per 5 giorni alla settimana (40 ore settimanali) costa circa 1.695 euro al mese. Sono cure però che si riferiscono a personale non specializzato, a badanti generici mentre gli autistici hanno bisogno di assistenti con competenze specifiche. In Italia ce ne sono pochi e costano molto. Gli altri devono in un certo senso essere «assistiti» dai genitori che fanno una sorta di corso sul campo su come gestire i ragazzi.Poi ci sono gli imprevisti come assenze improvvise, non comunicate in anticipo, interruzioni del rapporto di lavoro che pongono le famiglie nella difficoltà di trovare una sostituzione. E nel caso di un ragazzo disabile grave, sia autistico che Down, i problemi si moltiplicano. Finché i genitori sono giovani e in vita, queste problematiche in qualche modo si affrontano, ma il problema maggiore è quando mancherà il paracadute familiare. È la mancanza di certezze per il futuro, il grande nodo da sciogliere e che attanaglia per tutta l’esistenza queste famiglie.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-disabili-ancora-dimenticati-2666309848.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="le-regioni-non-spendono-i-soldi-per-lassistenza-o-li-usano-per-altri-scopi" data-post-id="2666309848" data-published-at="1700425934" data-use-pagination="False"> «Le Regioni non spendono i soldi per l’assistenza o li usano per altri scopi» «La legge 112 del 2016, nota come “Dopo di Noi”, è stata costruita senza avere ben chiara la platea dei destinatari e ciò ne ha reso difficile l’applicazione. Poi le risorse: poche e disperse in vari rivoli. Siccome manca un fondo unico sul quale costruire un progetto di lungo termine, si interviene sempre di anno in anno. La legge ha un’importanza epocale, dobbiamo soltanto individuare dei correttivi per renderla più fruibile». Vincenzo Falabella, presidente del Fish, la Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, spiega che proprio sul tema della scarsa capacità progettuale delle Regioni è intervenuta la Corte dei Conti. «Spesso le risorse vanno ad altre finalità e vengono impiegate per far funzionare la macchina amministrativa». Dove sono gli ostacoli della burocrazia? «Alcune Regioni non sono riuscite a dare una completa applicazione della legge perché non sono adeguatamente attrezzate a fare dei progetti di vita così come il testo prevede. Poi c’è il tema dell’ampliamento della legge alle persone che godono della legge 104 ma non hanno la connotazione di gravità e quindi ora sono escluse. Poi ci sono le lentezze. I fondi, una volta stanziati, impiegano mesi per arrivare alle Regioni e qui si bloccano perché la macchina procedurale è complessa, a cominciare dalla costruzioni dei bandi. Dalla relazione della Procura generale della Corte dei conti emerge che alcune Regioni non sono riuscite a spendere i finanziamenti ricevuti e, in alcuni casi, neppure a richiederli». Ma una volta costruito il «Dopo di Noi», come lo si sostiene? «Bella domanda. Manca una progettualità di lungo termine perché i finanziamenti sono legati alla legge di Bilancio e sempre insufficienti. Molte famiglie hanno messo a disposizione i propri beni per creare un luogo dove far stare il proprio figlio insieme ad altri disabili ma non hanno la garanzia del futuro. Bisogna costruire il progetto di vita della persona di modo che il “Dopo di noi” venga assorbito dal “Durante Noi”. Se si avvia un percorso di distacco dalla famiglia, non si può bloccarlo e far tornare il disabile in famiglia perché finiscono le risorse. Per dare continuità, servirebbe un fondo unico nazionale». Quali risultati ha prodotto finora la 112? «L’obiettivo era costruire alternative agli istituti. Queste possono essere le case famiglia o l’assistenza nella propria abitazione. La legge è stata attuata più o meno per il 35%. Dei 466 milioni stanziati dal 2016 al 2022 solo 240 sono stati trasferiti alle Regioni che non hanno nemmeno rendicontato, oltre a non dire come li hanno spesi. Solo 6 Regioni risultano aver ricevuto tutte le somme assegnate e solo 8.424 persone hanno beneficiato delle prestazioni erogate». Come mani le Regioni non rendicontano? «Perché con tutta probabilità, le risorse vengono spese per altri obiettivi. Il problema si risolverebbe determinando i livelli essenziali delle prestazioni. Questo consentirebbe all’amministrazione centrale di effettuare un controllo sull’impiego dei soldi, ma questo ora non si può fare per l’autonomia delle Regioni. In generale, però, il problema dei fondi è alla base di tutto: per definire infatti i livelli essenziali delle prestazioni solo per la non autosufficienza, ci vogliono 7 miliardi l’anno, come dice il Patto per la non autosufficienza. Il rischio, quindi, è quello di costruire una vera e propria bomba sociale».
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