
Emmanuel Macron alza la voce anche se le sanzioni al momento riguardano solo Pechino, ma The Donald non tornerà indietro finché non avrà ridimensionato Cina e Germania. Paolo Gentiloni attacca gli Usa. Per noi, però, il vero pericolo è l'egemonia franco tedesca.Ogni volta che Donald Trump accenna le primissime battute di una nuova sinfonia i membri dell'Unione europea, senza impegnarsi a comprendere lo spartito che si delinea di fronte a loro, rispondono inesorabilmente in cacofonia. All'approvazione dei dazi commerciali da 60 miliardi di dollari nei confronti della Repubblica popolare cinese da parte del presidente Usa è seguita ieri la conferma che eventuali restrizioni nei confronti dell'Europa e dei Paesi alleati sono congelate fino a fine aprile. Appellandosi alla clausola della sicurezza nazionale nell'ambito dell'Organizzazione mondiale per il commercio, Trump cerca di ridisegnare strategicamente lo scenario geopolitico per portare al pettine i nodi che da anni attanagliano i rapporti internazionali. Il problema dei Paesi europei consiste nel fatto che rinchiusi nella logica dell'anti-trumpismo dilagante rischiano di non voler vedere le conseguenze delle potenziali decisioni e conseguentemente di rimanere travolti da eventi che invece, se ben gestiti, potrebbero portare non pochi vantaggi. Trump non alza i dazi solamente per riequilibrare la bilancia dei pagamenti e proteggere le proprie aziende, ma sta cercando d'arginare le capacità geoeconomicamente destabilizzanti della Cina comunista che si sta sviluppando troppo aggressivamente proprio sulla base del mancato rispetto della reciprocità, del continuo uso del protezionismo e di pratiche di concorrenza sleale che dovrebbero preoccupare qualunque persona con capacità critiche. La Cina, da pochi giorni guidata nuovamente da un imperatore a vita, è un gigante dai piedi d'argilla campione di pratiche sleali, che si regge su forti squilibri socioeconomici e che si comporta da saccente in quanto ammessa da Bill Clinton negli anni Novanta nell'Omc senza la richiesta di alcuna contropartita democratizzante che potesse garantirne una concorrenza leale. Pechino, avendo compreso l'antifona, ha reagito ai dazi con la minaccia delle ritorsioni, seguita però a breve distanza da un comunicato nel quale il governo si è detto pronto a negoziare per trovare un accordo di compensazione commerciale adeguato. Il secondo obiettivo di Trump è ovviamente l'Unione europea e le sue politiche protezioniste nei settori industriali, dei servizi e dell'agricoltura, o meglio la crescita eccessiva della Germania grazie a queste politiche, che in seguito alla Brexit potrebbe esprimersi ancora più liberamente. Gli Usa sono intervenuti già due volte nella storia per evitare un'egemonia continentale in Europa e pertanto centellinano ogni loro mossa in modo da mantenere l'Ue un mercato funzionante, ma politicamente diviso. I dazi potrebbero essere lo strumento giusto per far esplodere definitivamente le contraddizioni fra i vari Paesi dell'Unione, già divisi su molti punti. E per mandare a monte il sogno di egemonia continentale dell'asse franco-tedesco.La mossa dei dazi avrebbe dovuto aprire un sano dibattito sulle rispettive barriere commerciali tra le due sponde dell'Atlantico e i nostri politici avrebbero dovuto cogliere l'occasione per rivedere alcune pecche del mercato unico, tranquillizzati soprattutto dal fatto che lo stesso Donald Trump, nel suo documento strategico sulle barriere commerciali, edito nel 2017, definisce la relazione tra gli Usa e l'Ue come la maggiore relazione economica del mondo. Eppure, nonostante le buone premesse, i nostri leader hanno reagito prendendo assurdamente le parti della Cina comunista. Il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron si è spinto a dichiarare che «se saremo attaccati reagiremo senza debolezza, tutti ne siano coscienti. La strategia americana è una cattiva strategia». Sulla stessa linea, anche se con toni più sfumati, Paolo Gentiloni: «L'Italia da sempre è fautrice di un commercio libero, aperto ed equo. Siamo convinti che si possa discutere con i nostri partner americani evitando dazi e barriere».Mentre la Cina, obiettivo primario degli Usa, si dice perfino pronta a trattare, i nostri rappresentanti rispolverano un anacronistico vocabolario guerrafondaio che sembra preparare il terreno a una nuova stagione di retorica unionista dietro alla quale si nascondo interessi politici assai più destabilizzanti dei dazi. Donald Trump ha affossato l'accordo commerciale con i Paesi del Pacifico (Tpp) come noi abbiamo affossato, per altre ragioni, quello Transatlantico (Ttip). Noi non stiamo facendo alcunché per rinfocolare una strategia economica di lungo termine che porti prosperità, mentre Trump dimostra di avere una visone e di volerla realizzare: anziché perdere tempo in estenuanti colloqui, prende l'iniziativa e apre i balli. Per quanto Macron possa pensare male del presidente americano, ogni mossa internazionale di Trump - anche quella mediaticamente più discutibile - ha fino a ora sortito effetti tendenzialmente positivi per l'equilibrio di potere mondiale.
Pedro Sánchez (Ansa)
Le aziende iberiche dell’energia: la rete elettrica è satura. La colpa è degli investimenti «verdi» che hanno provocato un netto taglio della spesa in sicurezza e infrastrutture.
Roberto Vavassori (Imagoeconomica)
Il presidente dell’Anfia (fornitori): «Dal vertice di venerdì ci aspettiamo risposte sui tempi del Green deal da allungare e difesa del made in Europe. Byd è un pericolo? Abbiamo incontrato 170 volte i funzionari asiatici».
François Bayrou (Ansa)
Il rendimento dei Btp è stato per la prima volta inferiore a quello dei titoli di Stato d’Oltralpe: i mercati non si fidano di Emmanuel Macron.