2023-11-02
Hezbollah infiamma il fronte Nord. Khamenei mobilita tutti gli islamici
Il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah (Ansa)
Altri scontri tra milizie e israeliani, mentre lo Yemen rivendica in un video l’attacco con i droni a Eilat. Domani parla Hassan Nasrallah: il leader libanese potrebbe chiamare a raccolta l’intero mondo musulmano.A partire dal 1990 lo Yemen ha acquisito armi da ben 29 nazioni (Italia inclusa). Un enorme arsenale, in parte obsoleto, sul quale è stato però perso ogni controllo.Lo speciale contiene due articoli.Il grande timore degli Stati Uniti è che il conflitto tra Israele e Palestina si possa allargare, infiammando tutto lo scacchiere mediorientale: uno scenario che romperebbe parecchie uova nel paniere di Washington. Questi timori si sono acuiti soprattutto l’altro ieri, quando gli Huthi yemeniti hanno lanciato missili e droni contro Eilat, nel Sud di Israele. Un avvertimento, anzi una minaccia inequivocabile. Lo ha confermato lo stesso primo ministro degli Huthi, Abdulaziz bin Habtour, che ha affermato che questi attacchi non si fermeranno finché non cesseranno le operazioni militari di Israele, che «sta compiendo un massacro a Gaza con l’appoggio degli Stati Uniti e di vari regimi nel mondo». Ieri non si sono registrate novità su questo nuovo fronte meridionale. Ma Tel Aviv non è certo rimasta a guardare: l’Idf ha subito provveduto a rafforzare le difese al porto di Eilat. La Marina israeliana, ha riferito il portavoce militare Daniel Hagari, ha dispiegato diverse navi lanciamissili, mentre decine di migliaia di cittadini israeliani di Eilat sono stati costretti a sfollare dal Negev. L’allerta, insomma, rimane alta. Anche perché gli Huthi possono contare sulla forza di 120.000 uomini. Se il fronte meridionale è stato piuttosto tranquillo, è soprattutto il fronte settentrionale che è tornato a surriscaldarsi. In Libano, infatti, le milizie di Hezbollah sono scese in campo per dar man forte agli insorti di Hamas. I miliziani hanno attaccato le postazioni dell’esercito israeliano, che ha risposto al fuoco nemico mettendo in funzione l’artiglieria. Le forze di Tel Aviv, inoltre, hanno rivendicato la neutralizzazione di diversi missili anticarro che sarebbero stati lanciati verso Israele da un gruppo armato libanese non identificato. Anche nella zona di Yiftah, alcuni combattenti libanesi hanno aperto il fuoco contro gli uomini dell’Idf, senza però fare vittime.Da parte sua Hezbollah, che dispone di una forza militare di tutto rispetto, ha rivendicato l’uccisione o il ferimento di 120 soldati israeliani in tre settimane di scontri armati contro Israele. L’esercito di Tel Aviv, invece, ha per ora confermato la morte di soli sette suoi militari sul fronte libanese. Ieri, inoltre, fonti mediche di Beirut hanno denunciato che un ragazzo di 15 anni è stato ucciso nel Sud del Libano dal fuoco israeliano. Il ragazzo, Hussein Kurani, è stato colpito a morte durante un bombardamento israeliano nella zona di Bint Jbeil, vicino al confine tra i due Paesi.Come se non bastasse, nella Siria meridionale, al confine con Iraq e Giordania, una base militare americana è stata presa di mira da almeno due droni. Si tratta, nello specifico, della base di Tanf, che si trova a Sud Est di Damasco. A rivendicare l’azione è stata la «Resistenza islamica in Iraq», una coalizione di gruppi armati iracheni vicini all’Iran e a Hezbollah. Sempre a proposito della temibile milizia libanese, c’è grande attesa per la giornata di domani. Nel tardo pomeriggio, infatti, è previsto un importante discorso di Hassan Nasrallah. In questa occasione, il leader di Hezbollah parlerà della guerra in corso. Il timore è che possa richiamare tutto il mondo arabo a impegnarsi nello scontro contro Israele.Una mobilitazione panislamica, del resto, è stata evocata anche dall’ayatollah Ali Khamenei: «I bombardamenti contro Gaza devono cessare immediatamente e le vie per le esportazioni di petrolio e cibo verso il regime israeliano devono essere bloccate dai Paesi musulmani, che non dovrebbero avere cooperazione economica con gli israeliani. Il mondo musulmano deve mobilitarsi contro il regime», ha dichiarato la Guida suprema dell’Iran. «Questa guerra», ha aggiunto, «non è una guerra tra Israele e Gaza. È una guerra tra la menzogna e la verità, una guerra tra i poteri arroganti e la fede».Simili minacce sono state pronunciate da un’altra importante autorità iraniana: Hossein Amirabdollahian, il ministro degli Esteri della Repubblica islamica: «In 26 giorni», ha affermato, «il regime sionista ha commesso molti crimini, uccidendo civili a Gaza, donne e bambini. Il regime sionista ha utilizzato armi illegali. Se il mondo guardasse ai rapporti che arrivano dalla regione, capirebbe che tutti i civili sono stati uccisi con armi illegali. Se questo genocidio non finisce, la situazione potrebbe aggravarsi ulteriormente e l’intera responsabilità, in questo caso, ricadrà su Stati Uniti, Israele e chi li sostiene». E ancora: «Se i sionisti non si fermano, pagheranno un caro prezzo». L’aspetto più allarmante è che il ministro degli Esteri iraniano ha pronunciato queste parole in una conferenza stampa congiunta con il suo omologo turco, Hakan Fidan. La conferenza ha avuto luogo ad Ankara ed è stata trasmessa da Trt, la tv di Stato turca. D’altronde, Fidan ha colto l’occasione per lanciare un’evidente frecciata all’Occidente, affermando che «non ci possono essere standard diversi per gli ucraini e i palestinesi». Israele, ha proseguito, «dovrebbe capire che la pace non si può ottenere con la violenza». Ma purtroppo, ha concluso, «l’Unione europea non vuole sentir parlare di cessate il fuoco».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/hezbollah-infiamma-fronte-nord-2666130462.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-santabarbara-dei-partigiani-di-dio" data-post-id="2666130462" data-published-at="1698935385" data-use-pagination="False"> La santabarbara dei partigiani di dio Secondo il Pentagono, dietro la fornitura di armamenti ai ribelli Houthi che hanno rivendicato l’attacco alla città di Eilat la scorsa settimana e il 31 ottobre, ci sarebbe sempre l’Iran. La prova sarebbe l’intercettazione di tre spedizioni d’armi in meno di nove mesi destinate al movimento nato negli anni Novanta che, nel 2014, prese il controllo della capitale yemenita e poi di gran parte del Nord del Paese, costituendo un «asse della resistenza» che, oltre all’Iran, comprende la milizia libanese Hezbollah e alcuni gruppi armati iracheni. Gli Huthi si fanno chiamare «partigiani di dio» o «gioventù credente» e nel loro stendardo recano la frase: «Dio è sommo, morte all’America, morte a Israele, maledizione sugli ebrei, vittoria per l’islam». Stando a quanto emerge dalle operazioni di contrasto al trasporto d’armi, ad agire per Teheran sarebbe Al Quds, un’unità speciale del regime ben conosciuta ai militari americani, i quali nel marzo scorso mostrarono le armi sequestrate il 25 novembre 2022 e il 9 febbraio 2023 dopo la missione dell’incrociatore Uss Normandy nel Mar Arabico. Di quelle operazioni venne messo in risalto il recupero di 145 missili anticarro Dehlavieh, ovvero Kornet russi costruiti da Teheran, e di altri vettori denominati «R358», anch’essi apparentemente assemblati nella Repubblica islamica. E che la destinazione finale di tali ordigni potesse essere Gaza non è mai stato confermato, ma neppure smentito. Il portavoce militare Huthi, Yahya Sarea, ha dichiarato su X (ex Twitter): «La milizia appoggiata dall’Iran ha effettuato il terzo assalto in risposta all’aggressione israelo-americana a Gaza», minacciando ulteriori attacchi. Parte del problema Yemen sta nel fatto che, avendo controllato la capitale e una grossa fetta del territorio per tutta la durata del conflitto contro la coalizione guidata dagli Emirati arabi uniti e dall’Arabia Saudita, gli Huthi hanno avuto ottime occasioni per fare affari con i loro alleati e mettere le mani sulle armi che Sana’a nel tempo aveva ottenuto da ben 29 nazioni differenti, comprese Cina, Svizzera e Italia. Era il 2021 e ricorderete la vicenda delle bombe prodotte dalla sarda Rwm e i traffici di elicotteri, carri armati e generatori dal porto di Genova. Del resto, una nazione che si affaccia sia sul Mar Rosso sia sull’Oceano Indiano gode di una posizione strategica unica e Sana’a, dal 1990 in poi, ricevette velivoli ed elicotteri da Russia (Mig, Sukhoi, Antonov) e Usa (Northrop, Bell), ma costituì anche due Marine militari. Tutto cominciò quando la regione meridionale dello Yemen passò dall’influenza inglese a quella russa nel giro di due anni. Il porto di Aden fu controllato da Londra dal 1839 al 1962, anno di nascita della Federazione dell’Arabia meridionale, ma dopo gli scontri avvenuti dal 1963 al 1967 e la ritirata inglese, la Federazione cessò di esistere e vinse la fazione più marxista che, nel 1970, proclamò la nascita della Repubblica popolare dello Yemen, primo Stato arabo comunista. E seppure molte delle commesse d’armi finite laggiù furono usate (anche recentemente contro la coalizione di sauditi ed emiratini tra il 2015 e il 2021), o sono ormai vetuste, è impossibile sapere se le loro componenti siano state smontate e quale uso o destinazione abbiano avuto. Con gli attacchi di questi giorni gli Huthi possono al massimo cercare di impegnare una piccola parte delle forze di difesa israeliane e vantare un ampliamento del fronte anti Israele, ma desta preoccupazione quanto dichiarato la settimana scorsa da Abdulaziz bin Habtour, primo ministro del governo Huthi, ovvero di voler attaccare le navi israeliane che transitano nel Mar Rosso. Così come preoccupa il fatto che, con l’esplosivo rastrellato dal regime di Sana’a, i «partigiani di dio» possano organizzare attacchi come quello del 2022 ad Abu Dhabi, ovvero a più di 1.300 chilometri dallo Yemen, dove una bomba uccise tre persone. Una ragione in più per alzare la guardia.
Il giubileo Lgbt a Roma del settembre 2025 (Ansa)
Mario Venditti. Nel riquadro, da sinistra, Francesco Melosu e Antonio Scoppetta (Ansa)