2025-10-19
Il vento ha smesso di soffiare. Stop al maxi parco eolico in Polonia
I danesi di Vestas fermano la produzione di pale e turbine: poca domanda, costi elevati.Il vento che doveva portare la rivoluzione verde in Europa si è fermato. E insieme si è spenta anche la retorica del Green deal. Il sogno costoso e ideologico che prometteva di sostituire il carbone con le pale eoliche, il gas con le batterie, la realtà con i comunicati stampa. Ora, tra pale ferme, fabbriche rimaste sulla carta e convulsi piani di ristrutturazione, sembra che la transizione verde abbia imboccato la via del fallimento annunciato.L’ultima notizia arriva dalla Danimarca, patria del vento e delle illusioni sostenibili. Vestas wind systems, uno dei colossi mondiali delle turbine eoliche, ha deciso di interrompere la costruzione del suo nuovo impianto in Polonia, un mega stabilimento da 1.000 posti di lavoro che avrebbe dovuto produrre le pale per le nuove turbine offshore. Motivo? «La domanda in Europa è inferiore alle attese», ha spiegato l’amministratore delegato, Henrik Andersen. Tradotto: non compra più nessuno.L’Europa che doveva correre verso l’indipendenza energetica è finita sugli scogli a causa del turbinare dei costi: acciaio alle stelle, tassi d’interesse alta come il cielo e sussidi sempre più insostenibili per le casse degli Stati. Le aste pubbliche per i nuovi parchi eolici in Germania e Danimarca sono andate deserte. I progetti vengono rinviati, i governi tirano il freno, gli investitori scappano. WindEurope - che non è Greenpeace ma un’associazione di industriali - ha certificato un crollo degli investimenti del 50% in un solo anno. Il vento, insomma, non spinge più. Né le turbine, né i profitti. E quando anche i danesi cominciano a tirare i remi in barca, è segno che il mare si è fatto davvero grosso. A confermarlo, sempre dalle parti di Copenaghen c’è il caso Orsted, un altro simbolo della grande illusione verde. Fino a ieri celebrata come la regina dell’eolico per i suoi numerosi parchi offshore, Orsted ha annunciato la settimana scorsa un maxi-taglio del personale. Duemila posti di lavoro in meno entro il 2027, un quarto dell’intera forza lavoro. Il nuovo amministratore delegato, Rasmus Errboe, ha spiegato che si tratta di «focalizzare il business». Un modo elegante per dire che l’azienda non regge più il peso dei suoi stessi sogni.Negli Stati Uniti ha perso miliardi, bloccata da inflazione, tassi di interesse e opposizione politica. In Asia i progetti rallentano, in Europa si stringe la cinghia. Il futuro verde si è colorato del rosso dei bilanci in perdita. Orsted naviga ora a vista, concentrandosi su un mercato europeo sempre più affollato e meno redditizio. L’azienda che doveva guidare la rivoluzione eolica oggi riduce le vele, per usare un linguaggio marinaro. Ma la verità è che sta affondando lentamente, come tutto un modello economico costruito su incentivi, debito e ottimismo a credito. Nel frattempo, c’è chi è già andato a fondo del tutto. La svedese Northvolt, fiore all’occhiello della «sovranità industriale europea» sulle batterie, è finita in bancarotta.La fabbrica che doveva essere la Tesla del Nord è stata smembrata e venduta a pezzi alla statunitense Lyten. Addio sogni di autonomia strategica, addio gigafactory made in Ue. Rimane un cumulo di capannoni vuoti e centinaia di operai licenziati che ora sperano di essere riassunti da chi, ironia della sorte, viene dal Paese da Donald Trump considerato dagli eco-fanatici il nemico da abbattere. E se quello del Presidente Usa fosse solo buon senso nel mettere ordine nella rivoluzione verde?È questo, oggi, il paesaggio della transizione ecologica europea: un cimitero di progetti costosi e slogan esausti, dove il vento non soffia più e il sole non basta a illuminare i conti. Bruxelles aveva promesso crescita, occupazione, indipendenza energetica. Ha ottenuto invece inflazione, debiti e aziende in fuga. Forse qualcuno, a questo punto, dovrebbe avere il coraggio di dirlo chiaramente: il Green deal non è un «piano per il futuro», ma un esperimento fallito in tempo reale.
Il giubileo Lgbt a Roma del settembre 2025 (Ansa)
Mario Venditti. Nel riquadro, da sinistra, Francesco Melosu e Antonio Scoppetta (Ansa)
Nel riquadro: Ferdinando Ametrano, ad di CheckSig (IStock)