2018-10-20
Guerra semifredda fra M5s e Lega. La manovra ritorna in cantiere
Matteo Salvini ai grillini: «Il testo non contiene sorprese. Conte leggeva e Di Maio verbalizzava». Poi tende la mano agli alleati: «Se hanno cambiato idea, basta dirlo». L'altro vicepremier: «Non voglio passare da bugiardo».La misura della discordia, pure se a budget prevedeva 600 milioni di gettito, nel biennio 2020-21 avrebbe generato più fondi. Con i quali sostenere l'allargamento di quota 100.Il commissario europeo ci bastona a Borse aperte, poi prende in giro: «Non c'è volontà persecutoria». E avverte: «A maggio vado a casa? Sbagliato».Lo speciale contiene tre articoli. Farsi la guerra sulla pace (fiscale) è più di un paradosso: è un clamoroso autogol. Lo sanno bene Luigi Di Maio e Matteo Salvini, che oggi, alle 13, in Consiglio dei ministri, si troveranno faccia a faccia e limeranno, mettendo da parte le polemiche, il testo del decreto sulla pace fiscale, quello che ha scatenato la bufera tra Lega e Movimento 5 stelle. Del resto, ieri, è stato proprio il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, a richiamare i partiti che sostengono il governo al senso di responsabilità. «La maggioranza», ha detto ieri Conte da Bruxelles, «è assolutamente solida. Noi stiamo lavorando molto bene, quindi non c'è assolutamente motivo di dubitare. Abbiamo la piena consapevolezza che stiamo facendo riforme importanti per il Paese. Il problema lo risolviamo. È sorto un dubbio sulla traduzione tecnica dell'accordo politico. Se ci fosse qualche incongruenza», ha aggiunto Conte, «si può sempre intervenire. È una questione tecnica, escludo al momento che ci sia una questione politica, ma se ci fosse una questione politica la affronteremo». Come è ovvio, Matteo Salvini non ha smaltito del tutto l'amarezza per la «sparata» televisiva di Luigi Di Maio, ma la volontà di andare avanti aiuterà a smussare gli angoli, come sempre accade quando al governo c'è una coalizione e non un solo partito. Se poi, come in questo caso, la coalizione è formata da due grandi partiti con programmi elettorali diversi, non è possibile immaginare che tutto fili sempre liscio come l'olio. E così, salvo imprevisti clamorosi, la «guerra semifredda» tra Lega e M5s, è destinata a concludersi con una bella stretta di mano, anzi di manina, tra Salvini e Di Maio.Matteo Salvini, ieri, ha utilizzato una diretta Facebook dal Trentino per fare chiarezza: «Noi siamo persone ragionevoli. Se il M5s ha cambiato idea, basta dirlo. Se Fico e Di Maio hanno cambiato idea, basta dirlo, noi siamo qui. Lo dicono, ci sediamo al tavolo, si va avanti. Meglio per telefono che in tv. Facciamo un altro Consiglio dei ministri per cambiare questo decreto. Rileggiamo e riscriviamo, ma lascio agli atti la verità di quel famoso Consiglio dei ministri, dal quale è nato questo can can su questo condono del quale non me ne può fregare di meno: c'erano due persone», ha raccontato Salvini, «protagoniste di quel Consiglio dei ministri da quale è nato quel decreto fiscale che ora fa inorridire qualche amico del M5s. Uno leggeva e uno scriveva, uno leggeva e uno verbalizzava il testo incriminato. Chi leggeva il testo sul cosiddetto condono, che non c'è, era il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che ha tutta la mia stima e di cui mi fido. Lui leggeva, e chi verbalizzava? Luigi Di Maio, altra persona coerente e corretta, con cui sto lavorando bene da quattro mesi e conto di lavorare bene altri cinque anni, verbalizzava. Insomma, passare per l'amico dei condonisti proprio no. Bisogna serrare le fila, compatti Lega e M5s. Rispettosi del contratto di governo ma senza fare scherzi. Ho aspettato», ha aggiunto Salvini, «senza dir nulla per ventiquattro ore e porto pazienza, anche se la pazienza ha un limite. Però per scemo non passo. Non volete quella roba lì? Non c'è. Andiamo in Consiglio dei ministri non per bisticciare. Chi se ne frega del condono! Anzi: anche il condono per gli abusivi di Ischia va riscritto».Salvini parla di «Fico e Di Maio» non certo a caso: il presidente della Camera, Roberto Fico, sta conducendo una battaglia tutta interna al M5s per mettere in difficoltà Luigi Di Maio. Fico, ormai in preda alla «sindrome di Gianfranco Fini», sta utilizzando il suo ruolo di terza carica dello Stato per proporsi come leader di un'ipotetica alleanza M5s-Pd alle prossime politiche, se il centrodestra sarà unito, e manco a dirlo ieri ha gettato benzina sul fuoco: «Se rimane il condono», ha detto Fico, «mi sembra ovvio che ci sia un problema. Si agisce all'interno di un filo rosso che è quello del contratto perché se fossimo stati uguali alla Lega, ci saremmo candidati con la Lega ma noi non siamo uguali alla Lega e non ci candideremo nemmeno con la Lega. Se non si va avanti nel contratto non si può andare avanti. Se Salvini vuole parlare con me lo faccia sui contenuti e non dicendo: Fico faccia il presidente della Camera. Quello che dico io è da istituzione ma il background», conclude Fico, «appartiene alla nascita e alla costruzione del M5s».Nemmeno il tempo di leggere le parole di Fico, e Luigi Di Maio è apparso in diretta Facebook, replicando a Salvini e riaccendendo la polemica: «Quando si dice che Conte leggeva e Di Maio scriveva si dice una cosa non vera. Nel testo del decreto letto lunedì sera», ha detto Di Maio, «c'era la dichiarazione integrativa con dentro il condono penale, dentro i capitali dall'estero? No, perché quello è stato oggetto di una riunione politica e Conte ha letto i termini generali dell'accordo in cdm. Da bugiardo non voglio passare e anche per questo quando mi si dice che ero distratto io non ci sto. La roba dello scudo penale per l'autoriciclaggio non serve. Siccome non siamo d'accordo, domani sistemiamo questa norma. Questo governo», ha sottolineato Di Maio, «può andare avanti per tanto tempo, perché tra M5s e Lega ci sono tante cose in comune». Tutto lascia pensare che oggi il nodo sarà sciolto. L'ipotesi che il governo possa saltare per un dettaglio come questo, aprendo la strada a un esecutivo tecnico in un momento cruciale per il futuro dell'Italia e dell'Europa, quando su temi ben più importanti si è sempre raggiunta un'intesa, è pura fantapolitica. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/guerra-semifredda-fra-m5s-e-lega-la-manovra-ritorna-in-cantiere-2613642557.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lo-scudo-poteva-valere-3-miliardi" data-post-id="2613642557" data-published-at="1757508034" data-use-pagination="False"> Lo scudo poteva valere 3 miliardi A vedere le tabelle della manovra sotto la voce altri proventi da pace fiscale le somme non superano i 180 milioni all'anno. Tale rigo fa appunto riferimento al tanto contestato articolo 9 del decreto fiscale, quello che prevederebbe uno scudo sui capitali portati all'estero. Uno scudo che azzererebbe il reato di autoriciclaggio. Non quello di riciclaggio. In sostanza, il testo voluto dal sottosegretario, Massimo Bitonci, spiega che nei confronti di quei cittadini che decidono di fare emergere il nero (entro il limite del 30% dell'imponibile dichiarato) non si applicano alcune norme penali che invece scattano nei confronti di chiunque abbia evaso anche poco: omessa dichiarazione, infedele dichiarazione, e un a serie di reati simili e soprattutto autoriciclaggio. Perché quel nero fatto poi bisogna farlo entrare nella disponibilità del commerciante che ha fatto “lo sconto" se non vuoi la fattura. E per farlo entrare nella disponibilità potresti compiere il reato di riciclaggio (la somma in nero è ovviamente illecita) e quasi di sicuro quello di autoriciclaggio. Se si applicassero quelle pene il contribuente che aderisce allo scudo anche su quelle cifre esigue rischierebbe comunque da uno a oltre dieci anni di carcere. I rappresentanti della Lega si sono chiesti: chi a fronte di uno o dieci anni di galera sarà disposto a riportare in patria il gruzzolo? Ovviamente nessuno. Chi fino ad oggi è rimasto al riparo dagli 007 del fisco perché dovrebbe autodenunciarsi. Perché mai dovrebbe essere pizzicato oggi? Per questo motivo tutti i condoni- nessuno escluso- sono sempre accompagnati dalla depenalizzazione di queste norme. Nella riunione di maggioranza Luigi Di Maio avrebbe fatto presente che le pene non scatterebbero se si evade meno di 100.000 euro. Ma in realtà il testo del decreto consente che la cifra valga per ogni anno d'imposta e per ogni imposta evasa fino al 30% dell'imponibile dichiarato. Le somme salgono così sensibilmente . Solo che senza depenalizzazione il condono non si potrebbe fare. Ecco perché è diventato un tema fondamentale. La copertura messa a bilancio è veramente esigua: 600 milioni in tre anni. In realtà è stata una mossa precisa. Alzare l'importo avrebbe voluto dire incassare una nuova accusa da parte dell'Unione europea che di solito contesta voci così variabili a copertura di uscite definite. Quindi l'obiettivo della maggioranza era avviare la pace fiscale e una volta rodato lo schema incassare nel 2020 e nel 2021 cifre ben superiori. Una forchetta compresa tra i due e i tre miliardi di euro. Che ai fini della manovra del prossimo anno sarebbero stati manna dal cielo per finanziare l'allargamento di quota 100 o un po' di taglio dell'Irpef o del cuneo fiscale. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/guerra-semifredda-fra-m5s-e-lega-la-manovra-ritorna-in-cantiere-2613642557.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="moscovici-continua-il-suo-tour-del-terrore-giudicheremo-pure-la-prossima-manovra" data-post-id="2613642557" data-published-at="1757508034" data-use-pagination="False"> Moscovici continua il suo tour del terrore: «Giudicheremo pure la prossima manovra» Due conferenze stampa in due giorni (neanche fosse Donald Trump), incontri a raffica, convegni, una mezza dozzina di interviste. È chiaro che Pierre Moscovici usa ogni occasione della sua visita in Italia come un palcoscenico per lanciare messaggi, avvertimenti e ricatti politici. Non soddisfatto di aver incendiato l'altro ieri mercati e spread; di aver messo bocca su tutto (perfino sulle mense scolastiche di Lodi); di aver fatto ogni sforzo possibile per danneggiare l'Italia direttamente e indirettamente (pochi si sono accorti, l'altro giorno, dei suoi tweet velenosi e chirurgici in materia di evasione fiscale internazionale, tanto per parlare a nuora affinché suocera intenda, e per mettere altro sale nelle ferite tra Lega e Movimento 5 stelle), ieri il commissario francese ha proseguito la sua azione da euro-hooligan. La prima provocazione è giunta in mattinata: «In Italia dicono che a maggio io andrò a casa? Sbagliano: questa Commissione scade a novembre 2019. Quindi non solo giudicheremo questa manovra, ma anche quella del prossimo anno». Se non parlassimo di cose tremendamente serie, ci sarebbe perfino da sorridere: è vero che formalmente il mandato della vecchia Commissione scade alla fine di ottobre 2019, ma le elezioni europee si tengono il 26 maggio prossimo, e già in estate ci sarà l'elezione (da parte del nuovo Parlamento europeo su proposta del Consiglio Ue, cioè dei governi) del successore di Jean Claude Juncker. Insomma, sarà politicamente tutto un altro mondo (e Moscovici sarà politicamente defunto). Pensare che a quel punto, con gli scatoloni in mano, lui e il sodaleValdis Dombrovskis possano ancora far danni è solo un'altra prova della campagna anti italiana che puzza tanto di campagna elettorale. Ieri la giornata romana del francese è proseguita con altri due impegni. Il primo, istituzionale: un incontro con il ministro degli Esteri Enzo Moavero. Inevitabile parlare della manovra, dopo la lettera di richiamo al curaro recapitata il giorno prima. Una nota della Farnesina ha cercato di smorzare i toni, spiegando che i due «hanno, in particolare, concordato sull'importanza di mantenere la discussione in un'atmosfera improntata a un corretto, leale e costruttivo confronto delle rispettive valutazioni, in coerenza con le normative vigenti». Ma l'osservazione appare perfino surreale se il francese continua a fare dichiarazioni a Borse aperte, a ruota libera, con gli effetti che ciascuno può constatare. Il secondo appuntamento è stato invece una conferenza, il forum Italia-Francia organizzato dall'Aspen institute. Anche lì Moscovici ha ripetuto le sue giaculatorie: «Manterrò un dialogo costruttivo con ogni Stato membro per assicurarmi che restino impegnati in traiettorie di bilancio sane. Lo farò nell'interesse dei cittadini della zona euro e della sua stabilità poiché l'esperienza di questi ultimi anni ci ha dimostrato che un'applicazione intelligente delle regole può stimolare la crescita e la creazione di posti di lavoro, riducendo il deficit e, a lungo termine, il debito». Naturalmente, tutto questo mentre la Borsa era in sofferenza (in particolare i titoli bancari) e lo spread proseguiva la sua altalena. Infine, la conferenza stampa, dove - come se a dichiarare fino a quel momento fosse stato un sosia cattivo, un gemello perfido - improvvisamente Moscovici ha ripreso a parlare con toni più flautati: «L'Ue comprende le priorità economiche del governo italiano, non abbiamo intenzione di far lezione all'Italia sulla manovra, non vogliamo interferire nelle scelte di politica economica di uno Stato membro, non c'è volontà discriminatoria, non c'è contagio». Dichiarandosi perfino disponibile a incontrare Matteo Salvini e Luigi Di Maio, il commissario ha concluso: «Aspettiamo una risposta per lunedì a mezzogiorno, nessuna decisione è stata presa, la risposta del ministro Tria sarà molto importante. Dialogare è fondamentale, sappiamo tutti che la questione è delicata non abbiamo interesse a creare ulteriori tensioni, la palla è ora nel campo delle autorità italiane». Insomma, il solito schema: bastone a Borse aperte, carote (e beffe) in chiusura di giornata. È palese che Moscovici abbia deciso di usare queste settimane per una missione politica e di parte: creare difficoltà a un governo «sgradito», e contemporaneamente inviare un messaggio a eventuali altri ribelli europei (colpirne uno per «educarne» altri 27, si potrebbe dire). Quello che invece resta senza spiegazione è che anche le massime cariche istituzionali italiane sembrino di fatto accettare questo comportamento da parte di un Commissario europeo. Poi però, se uno Stato fondatore dell'Ue, contribuente netto dell'Unione, seconda economia manifatturiera del Comtinente, viene trattato così, non ci si sorprenda se l'euroscetticismo continua a aumentare tra i cittadini italiani, che assistono attoniti a questa pervicace volontà di umiliare il nostro Paese. Faranno bene a rifletterci, sul piano politico, anche i vertici dei 5 stelle: ha senso, con polemiche interne destabilizzanti, offrire il fianco a queste scorribande?
Il ministro della Giustizia carlo Nordio (Imagoeconomica)