2025-06-30
La guerra dei 12 giorni alza il velo sulla debolezza strategica della Cina
Xi Jinping e Ali Khamenei (Ansa)
L’Iran è una pedina importante per i rifornimenti energetici di Pechino e per la sua proiezione nel mondo. Eppure il Dragone non si è mosso in difesa di Teheran: non ha voluto sfidare gli Usa e scontentare la Ue.L’analista Michael Lai, ricercatore senior del Middle East Media Research Institute (Memri): «Il leader cinese ha imparato a camuffare la sua influenza. Pure se non sempre rispetta le promesse sugli investimenti».Quelle armi provenienti dall’Impero di Mezzo finite a Hamas e Huthi.Lo speciale contiene tre articoli.Il conflitto tra Israele e Iran rappresenta una prova decisiva per le ambizioni geopolitiche della Cina nella regione mediorientale, mettendo in evidenza i limiti strutturali della sua strategia internazionale. Pechino, che ha coltivato legami solidi di natura economica, commerciale ed energetica con i Paesi dell’area – mantenendo un equilibrio delicato tra schieramenti contrapposti – era riuscita persino a ottenere un riconoscimento diplomatico significativo nel 2023, favorendo la ripresa del dialogo tra Teheran e Riad. Quell’intesa si fondava su relazioni consolidate tra l’Iran e la Cina. Per Teheran, l’appoggio cinese rappresenta un argine alle dure politiche di isolamento imposte dagli Stati Uniti. Pechino, dal canto suo, considera l’Iran un partner cruciale per i rifornimenti energetici e un nodo strategico della Belt and Road Initiative (Bri), il grande progetto infrastrutturale globale promosso dal presidente Xi Jinping. Tuttavia, lo scontro armato tra Israele e Iran mette in luce le difficoltà per Pechino nel conciliare interessi economici, priorità geopolitiche e posizionamento diplomatico in un quadro internazionale sempre più instabile.L’Iran, per la Cina, è un interlocutore fondamentale in Medio Oriente. Il Paese persiano occupa una posizione cardine nei progetti infrastrutturali cinesi: non solo come semplice punto di passaggio dei corridoi transcontinentali della Bri, ma anche come crocevia strategico tra Asia Orientale ed Europa attraverso reti terrestri per il trasporto e la distribuzione di energia. La cosiddetta «fascia economica» della Bri, pensata per ridurre la dipendenza dalle rotte marittime soggette al controllo statunitense, non può realizzarsi pienamente senza un accesso stabile attraverso l’Iran. La dipendenza di Pechino da Teheran è sia logistica che energetica. L’Iran fornisce un collegamento terrestre indispensabile verso l’Europa e possiede estesi giacimenti di petrolio e gas, risorse necessarie per sostenere la crescita cinese e diversificare le forniture. Un’interruzione di questo asse strategico dovuta a conflitti rischia di compromettere l’efficacia delle catene di approvvigionamento eurasiatiche e di ostacolare i progetti cardine della Bri, per i quali non esistono alternative terrestri equivalenti senza incorrere in elevati costi e rischi.Alla luce di questi interessi, si sarebbe potuta immaginare una presa di posizione più decisa da parte di Pechino in difesa della sovranità iraniana. Eppure, la Cina ha mantenuto un atteggiamento cauto, fatto di appelli alla calma, preoccupazioni formali e inviti al dialogo multilaterale. Questo approccio ricalca la tradizionale linea cinese nelle crisi del Medio Oriente: mediazione e contenimento, piuttosto che coinvolgimento diretto. Un comportamento in netto contrasto con l’attivismo mostrato da Pechino in Asia meridionale, dove il sostegno al Pakistan durante i conflitti con l’India è stato molto più esplicito. Come scrive The Soufan Center, «questa differenza è dettata tanto dalla geografia quanto da calcoli geopolitici. Le tensioni indo-pakistane coinvolgono direttamente la sicurezza cinese, date le dispute territoriali con Nuova Delhi e la prossimità dei confini. Inoltre, il Pakistan non è soggetto a sanzioni occidentali, rendendo l’appoggio cinese meno rischioso. Sostenere apertamente Teheran, al contrario, aggraverebbe le frizioni con Washington e potrebbe compromettere i rapporti con l’Unione europea e con altri partner arabi del Golfo, tutti importanti per la strategia economica cinese». La cooperazione militare tra Cina e Iran si mantiene limitata e prevalentemente simbolica. Sebbene siano state svolte cinque esercitazioni navali congiunte tra il 2019 e il 2024, il loro impatto operativo è minimo e riveste soprattutto un valore propagandistico. Le forniture di armamenti cinesi a Teheran restano contenute, frenate da vincoli internazionali e dalla riluttanza di Pechino a cedere tecnologie avanzate, come i missili PL-15. Negli ultimi anni, la cooperazione nel settore della Difesa si è ridotta drasticamente, mentre la Russia ha assunto un ruolo dominante come principale fornitore di armi all’Iran. Inoltre, l’obsolescenza della forza aerea iraniana e la crescente enfasi su programmi missilistici e nucleari interni ne riducono l’interesse verso l’assistenza militare cinese. È possibile che vi siano stati trasferimenti tecnologici dual use, ma i controlli internazionali e il rischio di sanzioni secondarie rendono improbabile una cooperazione aperta. Il confronto tra Teheran e Tel Aviv conferma i vincoli strutturali che limitano l’azione estera cinese, nonostante la crescente proiezione globale di Pechino. Sebbene l’Iran sia cruciale per le ambizioni continentali della Cina, la linea strategica perseguita da Xi privilegia la prudenza rispetto all’intervento. Il conflitto ha svelato i limiti del sostegno cinese ai partner contrapposti agli Stati Uniti, condizionato dalla volontà di evitare rotture con l’Occidente e di non compromettere le relazioni economiche globali. L’atteggiamento di Pechino ha evidenziato una contraddizione di fondo: proporsi come alternativa all’egemonia americana senza assumere un impegno concreto nei momenti di crisi. L’atteggiamento prudente della Cina ha suscitato delusione tra molti Paesi del Sud globale, che auspicavano una sua presa di posizione più decisa. Nonostante l’adesione dell’Iran all’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (Sco) nel 2023, l’unica reazione dell’organismo è stata una generica condanna degli attacchi israeliani e un richiamo al dialogo sul nucleare, evidenziando i limiti dell’architettura multilaterale sostenuta da Pechino in ambito di sicurezza. In un contesto internazionale sempre più frammentato, la Cina continuerà a bilanciare ambizioni geopolitiche e prudenza strategica, cercando di preservare la propria presenza economica in Medio Oriente senza restare coinvolta in conflitti regionali, anche se riguardano partner chiave della sua visione globale specie ora che alla Casa Bianca c’è Donald Tump.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/guerra-12-giorni-debolezza-cina-2672498213.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ma-xi-parla-anche-coi-rivali-dei-persiani-manterra-una-presa-sul-medio-oriente" data-post-id="2672498213" data-published-at="1751269188" data-use-pagination="False"> «Ma Xi parla anche coi rivali dei persiani. Manterrà una presa sul Medio Oriente» Michael Lai, ricercatore senior del Middle East Media Research Institute (Memri)Cosa farà Xi Jinping in Medio Oriente ?«La Cina mantiene stretti rapporti con l’Iran per via delle reciproche esigenze strategiche. Pechino dipende dall’Iran per il petrolio e altre risorse, mentre sostiene il regime iraniano come roccaforte nel suo blocco globale anti americano. L’Iran, a sua volta, dipende dalla Cina per aggirare le sanzioni occidentali e ottenere tecnologia avanzata nel campo dei droni e di altri equipaggiamenti militari. Non credo che l’influenza della Cina stia diminuendo in Medio Oriente. Al contrario, la Cina ha imparato a camuffare la sua influenza attraverso vari mezzi, tra cui la creazione di alleanze diplomatiche e il sostegno segreto alle armi per una vasta gamma di milizie anti israeliane e anti occidentali nella regione. Una recente battuta che circola sui social media cinesi illustra questo punto: oggi la Cina è in lutto perché molti dei suoi scienziati nucleari sono stati sepolti dai bunker buster sganciati dai B-2 americani. La Cina non ha ritirato gli artigli dagli affari mediorientali, ha semplicemente imparato a curvarli e nasconderli meglio».La cooperazione militare della Cina con l’Iran resta limitata e in gran parte simbolica sebbene i due Paesi abbiano condotto esercitazioni navali congiunte (cinque tra il 2019 e il 2024). Come si spiega?«Vale la pena notare che la cooperazione tecnico-militare tra Cina e Iran risale alla guerra Iran-Iraq, durante la quale la Cina esportò in Iran aerei da combattimento J-7 e missili antinave C-802. Nel 2016, i due Paesi hanno firmato un accordo di cooperazione globale della durata di 25 anni, ampliando le loro relazioni allo sviluppo congiunto ad alto livello e alla condivisione di tecnologie. In particolare, nel 2020, il ministro della Difesa iraniano ha dichiarato pubblicamente che la Cina aveva raggiunto standard di livello mondiale nella tecnologia missilistica e nei sistemi di droni, proprio le capacità di cui l'Iran aveva bisogno. Secondo un rapporto dello Stockholm International Peace Research Institute, tra il 2019 e il 2023 la quota cinese delle esportazioni di armi convenzionali verso il Medio Oriente è passata dal 4,7% al 9,3%, con un aumento del 300% delle esportazioni di sistemi di droni. Questa diffusione tecnologica sta innescando una reazione a catena: le forze Huthi hanno utilizzato munizioni vaganti derivate dalla tecnologia cinese per colpire navi mercantili nel Mar Rosso. Le milizie sciite in Iraq sono ora equipaggiate con bombe a guida laser dal design tipicamente orientale. Anche i gruppi militanti nel Corno d’Africa sono stati visti utilizzare dispositivi di visione notturna di fabbricazione cinese».Quanto ha investito la Cina in Iran e a che punto sono questi investimenti?«Nel 2021, la Cina e l’Iran hanno firmato un accordo di partenariato strategico globale del valore di 400 miliardi di dollari, che prevede ingenti investimenti nell’ambito della Belt and Road Initiative (Bri), in cambio di una fornitura costante di petrolio a prezzi scontati per alimentare la sua economia in crescita. La Cina ha bisogno di energia per alimentare la sua produzione industriale e militare. Infatti, nonostante le sanzioni statunitensi, le raffinerie private cinesi, comunemente note come “teapots”, sono state le principali acquirenti di greggio iraniano. Ad aprile, gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni a diverse società e navi coinvolte nel facilitare le spedizioni di petrolio iraniano verso la Cina come parte della flotta “ombra” dell'Iran. Il progetto principale della Bri era una “ferrovia Cina-Iran” tra Urumqi e Teheran, che secondo quanto riferito è già operativa. Questa ferrovia consente alla Cina di aggirare le sanzioni statunitensi per ottenere il petrolio di cui ha grande bisogno dall’Iran. Infatti, la Cina è di gran lunga il principale acquirente di petrolio dell’Iran. Secondo Reuters, “le raffinerie indipendenti cinesi rappresentavano il 77% delle esportazioni iraniane nel 2024”. Quindi non è stata una buona notizia per la Cina quando Israele ha iniziato a colpire gli impianti energetici in Iran. Questo è stato sicuramente un motivo per cui la Cina ha voluto la pace tra Iran e Israele. D’altra parte, la Cina spera che le risorse che gli Stati Uniti spendono per difendere Israele e proteggere le rotte commerciali marittime non vengano destinate alla difesa di Taiwan. Tuttavia, la Cina non aiuta l’Iran solo indirettamente, ma anche direttamente. Il 5 giugno, il Wall Street Journal ha riportato che l’Iran ha ordinato dalla Cina materiale per centinaia di missili balistici. Inoltre, nel 2024, la Commissione speciale della Camera sul Partito comunista cinese ha inviato una lettera al segretario al Tesoro degli Stati Uniti per indagare su sei aziende della Repubblica Popolare Cinese che sostengono l’esercito e i proxy terroristici dell’Iran. Ma per quanto la Cina e l’Iran sembrino essere amichevoli, le cose non sono necessariamente rose e fiori. La Cina e l’Iran hanno un partenariato strategico, ma non sono alleati formali. La Cina ama tenersi aperte tutte le opzioni, intrattenendo rapporti anche con i rivali dell’Iran come l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e persino Israele. Vale la pena notare che, come al solito, anche la Cina non mantiene le sue promesse. Nonostante Pechino abbia promesso miliardi di investimenti nel 2021, tre anni dopo l’Iran ne aveva visto arrivare solo una minima parte». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/guerra-12-giorni-debolezza-cina-2672498213.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="quelle-armi-provenienti-dallimpero-di-mezzo-finite-a-hamas-e-huthi" data-post-id="2672498213" data-published-at="1751269188" data-use-pagination="False"> Quelle armi provenienti dall’Impero di Mezzo finite a Hamas e Huthi Dallo scoppio del conflitto, fonti israeliane e internazionali hanno riferito che Hamas ha impiegato armamenti di produzione cinese. Ma in che modo queste armi sono giunte nella Striscia di Gaza? Nel marzo 2025, il Parlamento britannico ha pubblicato un rapporto sugli eventi del 7 ottobre, analizzando gli armamenti impiegati negli attacchi di quella giornata. Il documento rileva che parte dell’equipaggiamento era di origine cinese, tra cui fucili d’assalto AK-47, mitragliatrici multiuso e armi anticarro progettate per l’impiego da parte di piccole unità. Tuttavia, lo stesso rapporto precisa che tali armamenti risultano provenire da Paesi colpiti da conflitti come Libia e Iraq, che in passato avevano acquistato materiale bellico dalla Cina. Non emergono, dunque, evidenze di una catena logistica diretta tra Pechino e Gaza.Le Forze di Difesa israeliane (Idf) hanno rinvenuto nei depositi di Hamas consistenti quantità di armamenti cinesi: tra questi, fucili d’assalto QBZ, lanciagranate automatici QLZ87, ottiche telescopiche per armi leggere, munizioni compatibili con M16, dispositivi di comunicazione avanzata, apparecchiature di sorveglianza, radio tattiche e ordigni esplosivi sofisticati. In uno dei laboratori gestiti da Hamas è stata identificata anche tecnologia missilistica cinese. Sebbene Pechino abbia negato ogni coinvolgimento, fonti militari israeliane ritengono che il materiale possa essere giunto tramite l’Iran, con la consapevolezza – se non la complicità – della Repubblica popolare cinese. È documentato, inoltre, che Teheran ha finanziato la formazione degli operatori di Hamas per l’uso di queste tecnologie. Per quanto concerne i razzi, il dossier britannico menziona l’impiego del M-302, di produzione siriana, ma basato sul sistema cinese WS-1. Già in passato Hezbollah e Hamas avevano utilizzato questo tipo di razzo. Il WS-1, sviluppato dall’Accademia di Tecnologia Aerospaziale del Sichuan, comprende vari modelli, tra cui la versione migliorata WS-1B con una gittata fino a 180 chilometri. Pur non essendo adottato dalle forze armate cinesi, il sistema è stato concepito per l’esportazione ed è stato acquistato da Paesi come Iran, Corea del Nord e Thailandia. Il razzo M-302, conosciuto anche come «Khaibar-1», calibro 302 mm, è stato realizzato dal Centro Siriano per gli Studi e le Ricerche Scientifiche e deriva direttamente dal progetto WS-1. La sua diffusione non è quindi legata a un trasferimento diretto dalla Cina, ma alla condivisione di tecnologie sviluppate a partire da progetti cinesi. Secondo quanto riportato dal Telegraph, la Cina avrebbe mantenuto nel tempo legami con le fazioni palestinesi, fornendo loro armamenti e formazione militare. La presenza della tecnologia militare cinese si riscontra anche negli arsenali missilistici di diverse formazioni armate sostenute dall’Iran. Tra queste figura Hezbollah, che durante il conflitto del 2006 con Israele impiegò missili da crociera antinave C-802 di produzione cinese. Componenti e sistemi riconducibili a Pechino sono stati inoltre identificati nei missili balistici antinave impiegati dagli Huthi in Yemen e in armamenti in dotazione a varie milizie attive in Iraq.
Pedro Sánchez (Getty Images)
Alpini e Legionari francesi si addestrano all'uso di un drone (Esercito Italiano)
Oltre 100 militari si sono addestrati per 72 ore continuative nell'area montana compresa tra Artesina, Prato Nevoso e Frabosa, nel Cuneese.
Obiettivo dell'esercitazione l'accrescimento della capacità di operare congiuntamente e di svolgere attività tattiche specifiche dell'arma Genio in ambiente montano e in contesto di combattimento.
In particolare, i guastatori alpini del 32° e i genieri della Legione hanno operato per tre giorni in quota, sul filo dei 2000 metri, a temperature sotto lo zero termico, mettendo alla prova le proprie capacità di vivere, muoversi e combattere in montagna.
La «Joint Sapper» ha dato la possibilità ai militari italiani e francesi di condividere tecniche, tattiche e procedure, incrementando il livello di interoperabilità nel quadro della cooperazione internazionale, nella quale si inserisce la brigata da montagna italo-francese designata con l'acronimo inglese NSBNBC (Not Standing Bi-National Brigade Command).
La NSBNBC è un'unità multinazionale, non permanente ma subito impiegabile, basata sulla Brigata alpina Taurinense e sulla 27^ Brigata di fanteria da montagna francese, le cui componenti dell'arma Genio sono rispettivamente costituite dal 32° Reggimento di Fossano e dal 2° Régiment étranger du Génie.
È uno strumento flessibile, mobile, modulare ed espandibile, che può svolgere missioni in ambito Nazioni Unite, NATO e Unione Europea, potendo costituire anche la forza di schieramento iniziale di un contingente più ampio.
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