2020-07-18
Gualtieri insiste per chiedere il Mes. Pd e M5s vicini allo scontro finale
Il ministro dell'Economia: «Il governo non ha mai escluso l'uso della nuova linea di credito del Salvastati» Ma per i grillini il sì è impossibile. Il premier prende tempo, però entro settembre chiederà il voto d'Aula.Charles Michel promette 2.364 miliardi ma il suo piano è una scatola vuota. Cifra record realizzata sommando varie voci, anche quelle su cui non c'è accordo.Lo speciale contiene due articoli.«Il governo non ha mai escluso l'uso della nuova linea di credito del Mes». Queste le testuali parole con cui il ministro Roberto Gualtieri ha risposto ieri sul Corriere della Sera a una precisa domanda di Federico Fubini. In effetti Gualtieri ha ragione e ripete l'ovvio. Deve solo trovare una linea comune con il M5s.Ed è proprio questo il punto. Secondo Gualtieri, il Mes resta una opzione possibile e ha effettivamente lavorato a lungo, sin da marzo, a livello di Eurogruppo - ma non si sa sulla base di quale mandato - affinché fossero definiti i tratti distintivi della decisione del 15 maggio da parte del Consiglio dei governatori del Mes. Invece, secondo il M5s, quel prestito è oltre la loro linea rossa, senza se e senza ma.Ma Gualtieri deve anche mettersi d'accordo con il governo di cui fa parte e con il suo presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Il primo ha espresso, solo tre giorni fa, parere negativo a una risoluzione, a firma dell'onorevole di +Europa, Riccardo Magi, poi respinta dalla Camera, per impegnare «il governo ad avanzare richiesta di accesso alla linea di credito del Pandemic crisis support (Pcs) nell'ambito del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), per il finanziamento della modernizzazione del sistema sanitario, per le spese ammissibili relative al sistema dell'istruzione e per interventi in altri settori di attività compatibili con la natura e la finalità dello strumento». Il secondo, continua a ripetere che vuole «leggere prima le carte», trascurando il fatto che tutte le carte sono sul tavolo fin dal 15 maggio. E il tempo stringe: entro settembre, il Salvastati tornerà in Aula. Questo se volessimo concedere a Conte il beneficio del dubbio e pensare che un giurista come lui abbia bisogno di leggere le carte del 15 maggio per non sapere che, citando il professor Alessandro Mangia, «il Mes possa essere attivato solo per un'emergenza sanitaria è solo la misura del fatto che chi ne parla non ha chiara la nozione di attività funzionalizzata». Il Mes ha funzioni rigorosamente tipizzate, tutte riconducibili alla finalità di mantenere la stabilità finanziaria nell'Eurozona. Ora, l'Italia ha problemi di stabilità finanziaria? Ci sono aste dei titoli di Stato deserte? Non pare. E allora l'accesso al Mes finirebbe con ogni probabilità prima davanti a qualche Corte costituzionale e poi davanti alla Corte di giustizia Ue. E non lo diciamo noi, ma numerosi giuristi. Avantieri ha subito un duro colpo anche l'ultimo baluardo che viene sbandierato a favore del Mes: il mitologico risparmio di centinaia di milioni di interessi l'anno. Abbiamo infatti appreso dal Financial Times che il fondo Sure (prestiti destinati a finanziare la cassa integrazione) ha ricevuto manifestazioni di interesse da parte di ben 18 Paesi per circa 95 miliardi. Ma i tempi sono lunghi perché ci sono da emettere ancora le obbligazioni. Poiché quei prestiti avranno all'incirca lo stesso tasso del Mes, ci si chiede cosa freni gli stessi Paesi dal chiedere anche il prestito al Mes. C'è da ipotizzare allora che il suo tasso non sia poi così conveniente, in connessione alle altre condizioni che lo accompagnano, altrimenti avremmo avuto la coda anche per il Mes.Non è dato sapere fino a quando Gualtieri, Conte e il M5s condurranno questa contrapposizione stucchevole che; se il mercato dei titoli di Stato resterà «stabile», come ha detto giovedì Christine Lagarde, potrebbe anche restare sulle pagine dei giornali a tempo indeterminato. La situazione potrebbe però precipitare per il motivo che vi descriviamo ormai da mesi: il Mes è uno strumento di disciplina e controllo politico del nostro Paese e le motivazioni tecniche sono una inconsistente foglia di fico. E giungono fonti diplomatiche olandesi, citate dall'Huffington Post, a confermare clamorosamente la nostra tesi: «Non è una questione di sfiducia, ma ci sono cose che non perdoniamo alla Commissione europea...». Il riferimento è alla procedura d'infrazione per debito eccessivo, poi rientrata a luglio 2019 e l'accusa è che in questi anni la Commissione abbia fatto sconti all'Italia e non abbia applicato il patto di stabilità e crescita per tutti gli Stati membri in egual misura. «A marzo», ragionano le le fonti olandesi, «abbiamo deciso con urgenza 540 miliardi di aiuti europei, tra cui la linea di credito senza condizionalità del Mes. Ma questi soldi non sono stati usati da nessuno Stato membro: dunque non c'è tutta questa urgenza!».Non avremmo sinceramente sperato in argomenti più robusti per avere conferma del ruolo del Mes all'interno della complessa trattativa europea. Dove non è arrivata la Commissione - che ai sensi dell'articolo 2(1) del regolamento 472/2013 ha solo facoltà di attivare la sorveglianza rafforzata in caso di difficoltà nella stabilità finanziaria di uno Stato membro - arriva invece il Mes, che ai sensi del successivo comma 3, obbliga la Commissione alla sorveglianza rafforzata sullo Stato beneficiario.Per il blocco nordico, il Mes, nel ruolo di super guardiano dei conti è ancora più utile ora, con i miliardi del Recovery fund in lento avvicinamento. Cose che Gualtieri sa bene. Deve solo parlare con il M5s.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/gualtieri-insiste-per-chiedere-il-mes-pd-e-m5s-vicini-allo-scontro-finale-2646427659.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="michel-promette-2-364-miliardi-ma-il-suo-piano-e-una-scatola-vuota" data-post-id="2646427659" data-published-at="1595018268" data-use-pagination="False"> Michel promette 2.364 miliardi ma il suo piano è una scatola vuota Venghino, signori venghino alla bancarella dell'Unione europea: 500, 1.000, 1.500, 2.000 miliardi? Chi più ne ha, più ne metta. Proprio mentre il vertice Ue è in pieno stallo su tutti i punti cardine - governance dell'Unione, bilancio pluriennale, forma e volume del Recovery fund - la propaganda di Bruxelles tenta disperatamente di tirare acqua al proprio mulino. Perché, quando ci sono di mezzo gli euroburocrati, si scopre che la verità non è quasi mai all'ordine del giorno. «I leader dell'Ue stanno discutendo la proposta del presidente del Consiglio europeo (il belga Charles Michel, ndr)», ha twittato ieri mattina l'account ufficiale dell'organo, «che cosa prevede?». Sulla carta, una potenza di fuoco senza precedenti, con ben 2.364 miliardi di euro messi a disposizione per la ripresa continentale. Una cifra, per capirci, pari a quasi una volta e mezzo il Pil italiano. Niente male, potrà pensare qualcuno. Peccato che, una volta bucata la superficie patinata fatta di proclami trionfali e grafici accattivanti, di «ciccia» ne rimanga davvero poca. Nel calderone che contiene i 2.364 miliardi promessi ci troviamo davvero un po' di tutto. Partiamo dalla fetta più grossa, quasi la metà dell'intero importo sbandierato, cioè i 1.074 miliardi derivanti dal quadro finanziario pluriennale (Qfp). Stiamo parlando, per chi non lo sapesse, del budget settennale dell'Unione europea. Qualcosa cioè che esiste a prescindere dal Covid, e sui contenuti del quale i leader si stanno scannando da almeno due anni. Non c'è da stupirsi, dal momento che per essere varato il Qfp richiede il voto unanime dei 27 Stati membri. Basti pensare che, temendo l'avvento delle forze sovraniste, la commissione guidata da Jean-Claude Juncker ha fatto i salti mortali per garantirne l'approvazione entro le elezioni europee di maggio 2019, senza peraltro riuscirci. Nei quasi 1.100 miliardi del budget Ue c'è davvero di tutto, dalla cybersicurezza all'agricoltura, passando per l'Erasmus e le politiche migratorie. Affiancarlo alla dotazione complessiva per la risposta alla pandemia, dunque, suona un po' come una forzatura. Poi c'è il secondo pilastro della risposta alla crisi, il blasonato Recovery fund, noto anche come «Next generation Eu». Un piano che consta di ben 750 miliardi, pari a un terzo della somma totale, di cui 500 miliardi di sussidi (grants) e 250 di prestiti. Trattandosi di cifre considerevoli, la strada appare tutta in salita. Da settimane la cortina di ferro dei cosiddetti Paesi «frugali» (cioè Danimarca, Svezia, Paesi Bassi e Austria) mette i bastoni fra le ruote, chiedendo a gran voce il ridimensionamento dell'entità dei finanziamenti a fondo perduto e l'aggancio dei fondi elargiti a specifiche condizioni, come la realizzazione di specifiche riforme per gli Stati che ricevono gli aiuti. Un capitolo a parte lo merita la «rete di sicurezza» da 540 miliardi per i lavoratori europei. Miliardi che, giura l'Ue, sono «already in place», vale a dire già disponibile. Rete della quale fa parte il Sure, finanziato tramite obbligazioni emesse dalla Commissione a nome dell'Unione europea. Come spiega il Financial Times, l'emissione di questi bond non partirà comunque prima di settembre, hanno fatto sapere funzionari di Bruxelles in una call con gli investitori svoltasi mercoledì, per concludersi entro giugno 2021, cioè un anno e mezzo prima di quanto inizialmente annunciato. Secondo quanto riporta il Ft, i ritardi nell'attivazione del piano sarebbero legati alla mancata firma da parte dei Paesi membri delle garanzie. «Siamo in contatto con gli Stati per comprendere come beneficiare di Sure una volta operativo», ha riferito un portavoce. Tra litigi e carte bollate, a conti fatti, la titanica risposta dell'Unione europea alla pandemia rischia di trasformarsi in una gigantesca bolla di sapone.
(Guardia di Finanza)
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
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