2022-07-16
Gli uomini di Mattarella in campo per fregare ancora Supermario
La tensione nata col bis del capo dello Stato che ha tagliato la strada a Draghi viene a galla. Il premier vede concluso il mandato datogli dal presidente, che però ha poche alternative: Zampetti & C le proveranno tutte.di alto profilo, che non debba identificarsi con alcuna formula politica». Con queste parole Sergio Mattarella battezzava il nascente esecutivo di Mario Draghi, all’inizio dello scorso anno. È per questo che il presidente del Consiglio dimissionario ritiene che la scelta conseguente alla non partecipazione al voto di fiducia da parte del M5s sia totalmente coerente non tanto e non solo con il suo profilo di «nonno al servizio delle istituzioni», ma anzitutto con il mandato cucitogli addosso dal capo dello Stato. Perché adesso la «formula politica», ancorché irrisolta, c’è eccome, almeno in negativo.Scena numero due: 14 luglio 2022. «In riferimento ad alcune notizie circolate nel pomeriggio si sottolinea che nel colloquio tra il presidente Mattarella e il presidente Draghi si è registrata una totale identità di vedute». La formula dell’excusatio non petita trova nuova fortuna tra le istituzioni italiane: perché è evidente che l’unico motivo che giustifichi un comunicato simile è una situazione reale diametralmente opposta.Per capire dove nasca questa frattura, che investe soprattutto il senso politico del tempo che separa lo strappo di Draghi dalle comunicazioni d’Aula di mercoledì prossimo, occorre una terza scena, decisiva, situata tra le prime due: 29 gennaio 2022. Nelle ore che precedono la rielezione, relativamente rapida, di Mattarella al Colle, si consuma infatti la grande sconfitta dell’ex governatore della Bce per mano del «suo» capo dello Stato, che ha conservato il posto per quel settennato cui il banchiere ambiva.Ovviamente sarebbe riduttivo e fuorviante leggere la fase attuale di attrito tra Draghi e Mattarella come un regolamento di conti della battaglia del Quirinale, ma chi sta accompagnando da vicino il nodoso passaggio non può nascondere una divergenza di punti di vista radicale. Il capo dello Stato considera - giustamente - la blindatura di Draghi come un risultato del suo impegno istituzionale, anche e soprattutto nella delicatissima congiuntura internazionale. Il presidente del Consiglio, che ha sempre detto con realismo di potersi trovare un lavoro da solo, ritiene che il Parlamento abbia inequivocabilmente sancito la fine del clima politico eccezionale ed emergenziale attorno cui si era costruito il suo governo. Paradossalmente, quindi, il premier ritiene esaurito il suo compito per le caratteristiche stesse che il presidente della Repubblica aveva indicato. Quest’ultimo, invece, non pare apprezzare ciò che a Palazzo Chigi è letto come segno di intima coerenza.Il vero scontro dunque non è sulle questioni formali (Mattarella vuole una parlamentarizzazione, per Draghi l’Aula ha già sancito la rottura ma non ha nessun problema a parlare agli onorevoli mercoledì), ma sulla sostanza: rimanere o no. Il capo dello Stato ha filo politico con cui tessere il quarto incarico della legislatura (e il quinto del suo doppio mandato)? Stavolta i dubbi sono tanti anche nel suo staff, e proprio per questo le pressioni si stanno facendo e si faranno fortissime in almeno quattro direzioni prima di rassegnarsi a un possibile scioglimento delle Camere. La prima è la più difficile: Draghi stesso. Difficile, perché è ardito immaginare che dopo i toni scelti nella nota di mercoledì il premier possa far finta di nulla. La seconda è il centrodestra, tendenza Forza Italia ma non solo. La terza, più palesemente esplorata, è seminare il caos in casa grillina, dove già il terreno è dissodato per inconsistenza interna e leadership fragile. Dietro il contro-movimentismo del ministro per i Rapporti col Parlamento, Federico D’Incà (che prima ha proposto di evitare la fiducia sul dl Aiuti, e ora frena sulla surreale uscita dei ministri M5s da un governo dimissionario) ci sarebbe il formidabile Ugo Zampetti, confermatissimo segretario generale del Quirinale e grande tessitore del bis di Mattarella. Un esperto di ripetizioni, che conta di farcela anche con Draghi. Non a caso a far da sponda a D’Incà arriva subito Luigi Di Maio, che alza la tensione con ammirevole situazionismo politico: «Se Conte ritira i ministri dal governo Draghi di fatto si va allo scioglimento delle Camere, non ci sarà nessuna possibilità di mandare avanti il governo». Un governo il cui capo si è però già dimesso: la frase è apparentemente priva di grammatica politica, ma in realtà serve a dire che senza quel «ritiro» si può, anzi si deve, salvare l’esecutivo, isolando Conte anche dentro il Movimento.La battaglia del Colle passa anche da questi dettagli, che al momento lascerebbero però indifferente il premier. C’è però la quarta pressione, che arriva dall’estero. Il premier è alla vigilia di una toccata e fuga in Algeria che, grazie anche all’Eni, può fargli assumere un ruolo internazionale nella micidiale traversata del decoupling dalle risorse naturali provenienti dalla Russia. «Possono Italia ed Europa privarsi della sua guida?», sarà il refrain suggerito dal Quirinale. Al momento, Mario Draghi pare rispondere di sì senza troppi patemi. Forse persino con una certa soddisfazione.