2021-06-14
Gli altri Benetton
Dopo la statalizzazione di Atlantia (a caro prezzo), restano altri tratti affidati ai privati con accordi che non scadono mai, rinvii infiniti e profitti a senso unico.L'economista Giorgio Ragazzi: «Chi ci rimette alla fine sono gli utenti italiani. Solo da noi l'onere sulla mobilità ha proporzioni così elevate».Lo speciale contiene due articoli.Un terno al lotto lungo più di 6.000 chilometri. La fine della querelle Benetton dimostra, se mai ce ne fosse ancora bisogno, quanto la bilancia delle concessioni autostradali sia fortemente squilibrata, con il piatto dei vantaggi che pende tutto a favore dei «signori delle autostrade». Dopo le minacce di revoche o «caducazioni» dell'ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte e dei ministri pentastellati, su tutti Danilo Toninelli, la famiglia di Ponzano Veneto ha mollato quella che per anni è stata la «gallina dalle uova d'oro», alzandosi dal tavolo delle trattative con le tasche piene di soldi. Il regalo che lo Stato ha recapitato ai Benetton ha i contorni della buonuscita d'oro: 2,4 miliardi di euro, con buona pace di tutte le promesse fatte alle famiglie di chi ha perso la vita a causa del crollo del Morandi. Il ritorno dello Stato nelle autostrade, tuttavia, non basta ad accantonare la polvere che il sistema delle concessioni ha accumulato negli anni. Come raccontato in queste pagine, restano preoccupanti deficit di manutenzione infrastrutturale, tanto nelle gestioni private quanto in quelle pubbliche. Le gare per il rinnovo delle concessioni, quando vengono fatte, finiscono spesso per avvantaggiare gli incumbent, cioè chi gestisce già l'infrastruttura, e scoraggiare eventuali subentranti. «L'assetto istituzionale che ha a lungo retto il settore si è caratterizzato per una limitata applicazione dei principi concorrenziali», si legge nell'audizione al Senato del capo servizio struttura economica della Banca d'Italia, Fabrizio Balassone. «Ciò si è riflesso nel ridotto ricorso a procedure a evidenza pubblica e in durate elevate degli affidamenti, anche per effetto di diffuse proroghe». Le mani sulla torta, insomma, sono rimaste sempre le stesse: la parte del leone l'hanno fatta Atlantia dei Benetton e Astm dei Gavio, a cui sono stati affidati i tre quarti dell'intera rete, attraverso società controllate più o meno direttamente. A pagare questi monopoli naturali ci hanno pensato gli automobilisti, con un pedaggio medio per chilometro che supera il milione di euro l'anno. Nulla a che vedere con quanto avviene all'estero, soprattutto in Spagna, dove le infrastrutture ammortizzate tornano in pancia allo Stato al termine della concessione, con tanti saluti ai costi del casello. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/gli-altri-benetton-2653366761.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="niente-controlli-e-regali-tariffari-lo-stato-ha-fallito" data-post-id="2653366761" data-published-at="1623620776" data-use-pagination="False"> «Niente controlli e regali tariffari. Lo Stato ha fallito» Il professor Giorgio Ragazzi è economista e già docente di politica economica e scienza delle finanze. L'anno scorso ha pubblicato il libro La svendita delle autostrade. Dopo 22 anni i «signori delle autostrade» per eccellenza escono di scena. Con il «pessimo affare» Benetton, come lei lo ha definito, lo Stato ha fallito come regolatore? «Il peccato originale è stata la privatizzazione a condizioni pessime, con una concessione lunga 38 anni: una assurdità inaudita in un settore come questo». Quali altri peccati sono stati commessi negli anni? «I regali tariffari, senza dubbio. In questo settore, la regolazione dovrebbe avere come obiettivo il contenimento dei profitti rispetto al capitale investito. Ciò non è stato fatto: lo Stato ha consentito ai concessionari la realizzazione di utili straordinari». Crede che il governo Conte non abbia avuto il coraggio sufficiente per revocare la concessione ai Benetton? «Hanno scelto la via politicamente più semplice, quella di affidare l'acquisto alla Cassa depositi e prestiti. Questo accordo, che va benissimo per i Benetton e che ha evitato al governo tutte le difficoltà relative a un processo di revoca, è avvenuto per intero sulle spalle dei cittadini». Insomma, siamo alle solite. «In Italia, chi paga i pedaggi non ha alcuna rappresentanza e viene regolarmente mazziato. Nel caso di Autostrade per l'Italia, i costi ricadranno sulle spalle degli utenti, che dovranno offrire un ottimo rendimento a Cdp e ai fondi esteri, dovranno farsi carico di tutte le manutenzioni che non sono state fatte nella precedente amministrazione e dovranno evidentemente generare un flusso di cassa per ripagare la montagna di debiti che i Benetton hanno lasciato nelle autostrade». I rapporti economici sono enormemente sbilanciati in favore dei privati. C'è un modo per riequilibrare il sistema? «Ci sarebbe un modo molto semplice e lineare, che è l'esempio spagnolo: quando una concessione arriva a scadenza, e l'autostrada è interamente ammortizzata o quasi, non ci sono nuove gare, ma si procede all'abolizione del pedaggio. In Italia paghiamo già delle imposte altissime rispetto al servizio autostradale che riceviamo: oltre a quella sui carburanti, c'è anche il pedaggio. Solo da noi l'onere sulla mobilità ha proporzioni tanto elevate». Perché non si rispetta un principio scritto nei contratti di concessione? «Per il governo è molto più semplice rinnovare la concessione: lo Stato continua a guadagnarci, con le imposte e tutto il resto, il concessionario fa altrettanto. Sono tutti contenti, finché a pagare sono i poveri utenti». Gli indennizzi da pagare ai concessionari per gli investimenti realizzati e non ancora ammortizzati sono un freno a questa possibilità? «Gli indennizzi di subentro, sia nel caso di un ritorno allo Stato che nell'ipotesi di una nuova gara, sono gonfiati». Da cosa? «Dal fatto che gli investimenti vengono concentrati negli ultimi anni della concessione. L'indennizzo di subentro va pagato subito, mentre il concessionario può continuare ad ammortizzare gli investimenti nel tempo». Ciò scoraggia anche gli eventuali concorrenti dal partecipare alle gare? «Alcune gare prevedono più tratti autostradali insieme, per cui i concorrenti dovranno investire molto per partecipare. Se non fosse già abbastanza, la vittoria di una gara può addirittura non bastare». Che cosa intende? «Dopo le gare, si apre la stagione dei contenziosi. Quando si concorre con i concessionari uscenti, puoi restare in ballo anche cinque anni, con enormi impegni finanziari e senza alcuna certezza». L'abolizione dei pedaggi incide sul benessere collettivo? «Ridurre i costi della mobilità è un passaggio fondamentale. Uno studio americano ha messo in luce che l'efficienza del mercato del lavoro dipende proprio dalla riduzione dei costi della mobilità. Se spostarsi costa molto, ecco che il lavoro diventa meno flessibile. Su una strada senza pedaggio, poi, si risparmia sui costi di esazione, che incidono per il 15% del valore complessivo. La presenza del pedaggio spinge a spostarsi, nei limiti del possibile, sulle strade statali, con ingorghi e rallentamenti. Ciò avviene con una certa frequenza in Valle d'Aosta, dove c'è una autostrada molto cara e le colonne di tir si spostano lungo le statali interne. Anche questa è una perdita di benessere collettivo».
Lo ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo in occasione del suo incontro con il premier greco Kyriakos Mitsotakis.
Antonella Bundu (Imagoeconomica)