2020-04-12
Giuseppi al capolinea ma sogna un partito da chiamare «Con te»
Il premier sente sempre più lontani Pd e M5s. E vuole fondare una sua forza centrista. Ora però pure i media lo scaricano.L'agguato televisivo all'opposizione fa arrabbiare il Quirinale, che lascia libero Matteo Salvini di rendere noto il suo sfogo. Ora si lavora al «dopoguerra» senza l'avvocato del popolo.Lo speciale contiene due articoli.Il coniglio mannaro va all in: Giuseppe Conte vede la sua presunta maggioranza sgretolarsi, si sente accerchiato, isolato in Europa, mal sopportato dai suoi stessi alleati, e che fa? Invece di abbassare la cresta, decide di giocare il tutto per tutto: va in tv e, approfittando di quello che doveva essere uno spazio informativo destinato a spiegare a tutti gli italiani le nuove misure adottate dal governo, indossa l'elmetto e gioca a fare il Napoleone, attaccando l'opposizione con toni sprezzanti. Più che uno statista, una statistica: Conte sa bene che in tempi di crisi drammatiche gli italiani si affidano a chi ricopre ruoli istituzionali, e tenta di cavalcare l'emergenza per sottrarsi all'ineluttabile destino che lo attende, o almeno lo attendeva prima che il coronavirus ribaltasse il quadro politico: cedere la poltrona di Palazzo Chigi. Sembra passato un secolo, ma appena un paio di mesi fa Pd e M5s, per non parlare di Italia viva, ragionavano sul successore di Conte. Il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, quando lo scorso 23 febbraio, domenica, vide il premier in pulloverino terrorizzare gli italiani attraverso ben 16 apparizioni in tv, perse la proverbiale pacatezza e capì l'errore che aveva commesso fidandosi del finto mansueto avvocato del popolo; l'altro ieri sera, Mattarella, quando ha sentito Conte insultare Matteo Salvini e Giorgia Meloni, si è messo le mani nei capelli, cresciuti più del solito a causa della forzata lontananza dal fido barbiere Giovanni.Conte contro tutti, dunque, a partire dal Pd. Il ciuffo del premier, l'altro ieri pomeriggio, era sguainato come uno spadone: la convinzione del premier e quella del suo staff (leggi Rocco Casalino) era che i ministri dem dell'Economia, Roberto Gualtieri, e degli Affari europei, Enzo Amendola, con la regia del commissario europeo agli Affari economici, Paolo Gentiloni, gli avessero tirato un trappolone, accettando il Mes tra le misure europee di contrasto alla crisi provocata dal coronavirus, esponendo così lo stesso Conte al comprensibile ludibrio nazionale, e il M5s a una figuraccia leggendaria.Mes(so) all'angolo per l'intera giornata dalle opposizioni, Conte ha così perso totalmente la calma ed è andato in tv a insultare Salvini e la Meloni. Fin qui quello che tutti hanno potuto vedere e ascoltare. Ma dietro le quinte, Conte sta lavorando alacremente alla costituzione del suo partito. Pronto il nome: «Con te», abbastanza elementare per poter far presa sull'elettorato, almeno stando a chi, in questi giorni, sta ispirando le condotte dell'ex avvocato del popolo. A quanto risulta alla Verità, l'idea di trasformare Conte nel fondatore di una nuova Dc è supportata da ambienti cattolici e da alcuni movimenti. Prova indiretta ne sia la lettera che il premier ha spedito ad Avvenire in occasione della Pasqua, a pochi giorni dalla visita in piena pandemia al Santo Padre. I bene informati parlano del sostegno cercato presso ambienti cattolici che vanno da Sant'Egidio ad alcuni esponenti della galassia sparpagliata di Comunione e liberazione. Da Conte di Montecristo a Conte democristo, in un amen: il sogno di guidare una forza politica centrista e di ispirazione cattolica ha comprensibilmente fatto crescere l'autostima del premier, già ipertrofica di suo. Non solo: Conte ha sapientemente evitato di attaccare Forza Italia e Silvio Berlusconi, perché punta a conquistarne l'elettorato e pure qualche decina di parlamentari «responsabili» in caso di necessità. Dunque, il Conte democristo sa che il M5s, per la stragrande maggioranza, lo vede ormai come un corpo estraneo; sa che il Pd, che avrebbe gradito magari una fase 2 più rapida, non lo tollera; sa che Matteo Renzi non vede l'ora di mandarlo a casa; sa che Mario Draghi viene visto dagli italiani come un Diego Maradona al quale affidare immediatamente la fascia di capitano; e che combina, per restare incollato alla poltrona? Si gioca la carta dell'uomo solo al comando, del condottiero che guida la nazione attraverso la tempesta, con ciuffo fermo, nonostante l'opposizione si opponga (ma guarda che maleducazione, questa opposizione, si oppone!) e la maggioranza abbia l'ardire (villani!) di voler contare qualcosa nelle scelte.Non c'è dubbio che la sfuriata dell'altra sera segna la svolta «sovranista» del premier, nel senso che si è autopromosso da presidente del Consiglio a sovrano: tanto è andato fuori dal seminato, nel discorso sul coronavirus diventato il discorso della corona, da beccarsi pure le rampogne di due giornalisti tutt'altro che sospettabili di simpatie di destra, i direttori del Tg La7 e di Sky Tg24, Enrico Mentana e Giuseppe De Bellis. «Se avessimo saputo non avremmo mandato in onda quella parte della conferenza di Conte», ha detto Mentana, condannando «l'uso personalistico delle reti unificate con l'attacco personale a due figure dell'opposizione». «Più volte», ha evidenziato De Bellis, «il premier ha fatto appello al senso delle istituzioni, bacchettando chi a suo dire non ne ha a sufficienza. Eppure, stavolta, misura, eleganza, sobrietà che sono state rivendicate nelle ultime settimane sono state perse dalle parti di Palazzo Chigi. E questo anziché unire il Paese rischia invece di dividerlo profondamente».E così, mentre Dagospia ci informa che Casalino avrebbe immediatamente commissionato un sondaggio per testare le reazioni degli italiani al discorso del premier dell'altra sera, Giuseppi Conte sente di avere il Paese nelle sue mani. Il fatto che non sia mai stato votato neanche da un'assemblea di condominio, naturalmente, è solo un dettaglio. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/giuseppi-al-capolinea-ma-sogna-un-partito-da-chiamare-con-te-2645696012.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-tregua-infranta-indigna-il-colle" data-post-id="2645696012" data-published-at="1586633789" data-use-pagination="False"> La tregua infranta indigna il Colle Che il presidente della Repubblica faccia e riceva molte telefonate, e non solo per gli auguri di Pasqua, è perfino ovvio. Al contrario, non era per nulla scontato il fatto che autorizzasse il leader dell'opposizione a render nota una conversazione assolutamente non ordinaria. I fatti: ieri mattina Matteo Salvini ha preso il telefono, ha composto il centralino del Colle, e si è fatto passare Sergio Mattarella. Fatti gli auguri, e ribadito «l'impegno delle donne e degli uomini della Lega a fare di tutto per salvare le vite dei cittadini oggi, e i loro posti di lavoro e risparmi domani», il leader leghista è arrivato al punto. Salvini, come informano fonti del suo partito, ha espresso «rammarico e indignazione per un presidente del Consiglio che ha usato la diretta tv non per informare e rassicurare gli italiani, ma per insultare le opposizioni (che sono netta maggioranza nel Paese) arrivando perfino a mentire, se non a minacciare». Salvini è stato esplicito con il suo interlocutore: «Come si fa ad avere un dialogo con chi si comporta così? Roba da regime sudamericano. Dal governo noi e milioni di italiani ci aspettiamo risposte, ascolto e soluzioni, non polemiche o insulti». L'ex titolare del Viminale non ha mancato di ricordare che «le famiglie e le imprese italiane, dopo oltre un mese dalla chiusura, non hanno ancora ricevuto un euro», oltre alla «contrarietà della Lega a qualsiasi utilizzo del Mes sotto ogni forma». Il capo dello Stato, che in serata ha voluto augurare buona Pasqua a tutti gli italiani con un videomessaggio, ha alle spalle una lunga vicenda parlamentare e istituzionale, e dunque sa bene quali siano i limiti che venerdì sera sono stati sorpassati da Giuseppe Conte in maniera indifendibile. E infatti il Quirinale non ha commentato, ma neppure lo ha difeso: anzi, autorizzare la circolazione della notizia della telefonata con Salvini, con quei contenuti, è stato oggettivamente un modo per avvisare l'inquilino di Palazzo Chigi che una fase si è chiusa. Da tempo, il Colle aveva chiesto collaborazione, per un verso sollecitando le opposizioni a cooperare, ma per altro verso incitando il governo ad ascoltarle e coinvolgerle. Risultato? Una raffica di no agli emendamenti di Lega, Fdi e Fi, e l'altra sera perfino un comizio televisivo alla sudamericana. A questo punto il 4 maggio (e addirittura prima, se le cose in videoconferenza con Bruxelles non andassero bene il 23 di aprile) diventa un autentico giro di boa: non solo l'avvio della riapertura del paese, ma il passaggio dalla «guerra» al «dopoguerra». Ecco, «dopoguerra» è la parola che circola nell'opposizione, intendendo il momento in cui lo schema di governo dovrà necessariamente essere diverso. Non è stato possibile un war cabinet, visto il comportamento di Conte? Ci sia almeno un post war cabinet, ovviamente senza Conte, rivelatosi anche psicologicamente inadatto al ruolo. Non pochi nel centrodestra riflettevano ieri anche sull'elemento umano, sullo human factor: un Conte in delirio di onnipotenza, posseduto dalla smania di potere, chiaramente lanciato verso avventure politiche personali. Naturalmente, per aprire una nuova fase, occorre una tempistica, un innesco parlamentare, e una prospettiva per il dopo. Un elemento che inciderà sui tempi sono le famigerate nomine, che fanno gola a tutte le componenti giallorosse. L'innesco parlamentare potrà essere offerto dai renziani, o dalla silenziosa dissidenza grillina (la vicenda Mes è chiaramente una bomba), o da un collasso generale della maggioranza, che già nelle ultime 48 ore è a soqquadro. Quanto alla prospettiva futura, nessuno a destra fa nomi su chi potrà gestire con largo sostegno parlamentare il «dopoguerra». E non è detto che le tre forze di centrodestra abbiano le medesime idee al riguardo. Ma ciò su cui tutti sembrano concordare sono due punti. Il primo ha a che fare con la tempistica: occorre che, nella migliore delle ipotesi già a primavera 2021, o comunque con tempi accettabili e ragionevoli, si torni prima o poi alla normalità di una sfida elettorale tra centrodestra e centrosinistra, chiudendo stagioni commissariali e di sospensione democratica. Il secondo ha a che fare con i contenuti: nei prossimi 12-15 mesi, nessuno potrà chiedere a Lega, Fdi e Fi una riedizione dell'operazione Monti 2011 (a cui peraltro Matteo Salvini e Giorgia Meloni furono contrari in epoca non sospetta), tra patrimoniali (Monti triplicò quella sugli immobili, tuttora devastante) e altre misure ammazza Pil. Semmai, si potrà ragionare su un percorso economico espansivo e di ricostruzione, che tenga insieme alleggerimento fiscale e maggiori investimenti pubblici.
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