2024-02-15
«Il cinema è in debito con Francesco Nuti»
Francesco Nuti. Nel riquadro, il fratello Giovanni (Ansa)
Giovanni Nuti, fratello dell’attore scomparso l’anno scorso: «Era un “malincomico”, i problemi di alcol e depressione li ha avuti per il troppo successo. Il mondo dello spettacolo, però, gli ha voltato le spalle, è stato come rimosso: ma all’industria ha portato un sacco di soldi».Dopo aver esercitato, dal 1983 al 2020, a Prato, la professione di medico di base, oggi Giovanni Nuti prosegue la sua attività nel privato, con particolare attenzione a omeopatia e fitoterapia. Oltre alla medicina, le sue irrinunciabili passioni sono pittura, poesia e, soprattutto, musica. È l’autore delle colonne sonore e di molte canzoni dei celebri film diretti e interpretati dal fratello, Francesco Nuti, classe 1955, mancato il 12 giugno 2023, la cui singolare vena surreale continua ad affascinare gli italiani. Giovanni Nuti, classe 1952, molto somigliante, nei tratti fisiognomici e nella voce, al regista e attore, vive a Prato, è sposato da oltre 30 anni con Lucia e ha due figli, Margherita, 37, e Michele, 26. Come ricorda la vostra infanzia? «La mia infanzia è stata un po’ difficile, perché dovetti sottopormi a diversi interventi a causa di un problema ortopedico, mentre per Francesco è stata quella di un ragazzo perfettamente sano, che giocava, andava in bicicletta. A Firenze vivevamo in una casa molto piccola, mio padre faceva il barbiere, mia madre la casalinga. Poi ci trasferimmo a Prato, dove mio padre aprì un negozio di barbiere, che andò bene». Che carattere avevano i vostri genitori?«Mio babbo, Renzo, era un toscanaccio, del Mugello, aveva un carattere un po’ scanzonato. Mia madre, Anna, era calabrese, forse un po’ ossessiva con i figli, che considerava un po’ come cosa propria. Mio babbo è morto a 63 anni, mia madre a quasi 90, nel 2017». Francesco si diplomò perito chimico al Tullio Buzzi di Prato. Lei scelse invece di fare medicina e chirurgia a Firenze…«In me è sempre convissuta questa doppia sensibilità, scientifica e artistica, tanto che, delle volte, mi sento artista nel fare il medico e medico nel fare l’artista».Con quale tesi si laureò?«Con una tesi su arte e psichiatria. Volevo fare lo psichiatra, ma mi sarei limitato il campo con la farmacologia, perché oggi la psichiatria è un po’ troppo farmacologica». Nella chiesa di San Giovanni in Maliseti a Prato c’è un polittico a olio su tavola dal titolo L’ultima cena da lei realizzato nel 1974-75. «Durante l’università mi mantenevo dipingendo, mio padre portava questi quadri in bottega e li vendeva. Il parroco mi commissionò il dipinto e lo feci, l’ho restaurato di recente». Poi costituì il gruppo musicale Bar Luna… «L’interesse per la musica nasce in casa, perché mio babbo suonava un po’ tutti gli strumenti. M’innamorai della chitarra, l’unico strumento che suono, a parte l’organo in chiesa, qualche volta. Bar Luna è frutto di una serie di amicizie, con Riccardo Galardini, Marcello Becattini, Massimo Pacciani e poi Lucia Lippi, mia moglie, che era la cantante». Come nacque invece l’interesse di Francesco per la recitazione? «Francesco è sempre stato un bambino felice e allegro, con una bellissima voce. Nel negozio del babbo lo accompagnavo alla chitarra e lui cantava Nel sole di Al Bano, aveva una voce bianca, era molto intonato. All’inizio sembrava indirizzato all’industria tessile, ma lo interessava anche il calcio. Era un centravanti di qualità, capace di grandi giocate, ma indisciplinato, recalcitrante agli allenamenti. Al Buzzi, con la maturità, ha fatto la commedia di fine anno scoprendo l’affascinante gioco del teatro. Capì che la sua strada era questa».Come ne descriverebbe la personalità?«Aveva una natura aperta, socievole, era divertente ma, nel profondo, era anche un melanconico. Forse attraverso una certa sua sfacciataggine, nascondeva una sorta di timidezza, che vediamo anche nei suoi film: la sensibilità all’innamoramento, ma anche la solitudine. Lui è un “malincomico”. Diceva “io sono un Pierrot lunaire”…». E lei ha una vena malinconica? «Io sono meno malinconico, magari apparentemente più riservato, ma sono fondamentalmente un ottimista, non mi perdo d’animo». Francesco vinse David di Donatello, Nastro d’argento, Ciak d’oro, lei Nastro d’Argento e Ciak d’oro per musica e canzoni. La vostra sintonia musicale fruttificò…«Nasco come cantautore. Partivo sempre da una canzone e la estrapolavo in musica da film. Nei film di Francesco c’è sempre una canzone, ad esempio Giulia in Caruso Pascoski, Lovelorn man in Tutta colpa del paradiso, Rose in Stregati. Francesco, a differenza di altri registi, si faceva consigliare». Madonna che silenzio c’è stasera (1982), storia di una giornata a Prato. Un capolavoro.«Lì c’è tutta la poetica di Francesco, quella del silenzio, descrivendo questo mondo in modo stralunato e surreale. Ma quelle dimensioni esistevano davvero, le persone che lavoravano come bachi da seta su telai non sicuri».La constatazione che titola il film come gli venne? «Fu invitato da un amico a Cavriglia (Arezzo, ndr), in collina, in un casolare. Nella notte si svegliò, s’affacciò alla finestra e sentì il silenzio. Disse: “Madonna che silenzio c’è stasera” e intitolò così il film». E lei come trovò l’ispirazione per Lovelorn man, che canta in Tutta colpa del paradiso?«Andai a un corso di aggiornamento medico, in un agriturismo, mi porto sempre la chitarra. Pensando al personaggio di Romeo nel film e a me, solo in quel posto, mi venne questo testo, legato al blues».In Madonna e successive opere, Francesco è alle prese con amori complicati, teme di essere lasciato… «Il tema dell’abbandono è centrale nella sua psicologia. Amava molto le donne, ma forse non si fidava completamente di loro. Era anche molto geloso. Nei rapporti sentimentali bisogna accettare l’idea che ci si possa amare ma anche lasciare. Francesco aveva difficoltà a fare questi passaggi…». Ebbe storie con molte attrici scelte per i suoi film…«Lui sceglieva un’attrice rispetto a una sceneggiatura, già se ne innamorava come figura della storia. Poi, frequentandola, cercava sempre un rapporto molto intimo, che diventava il contraltare della storia e, spesso, s’innamoravano». Con Ornella Muti, co-protagonista di Tutta colpa del paradiso e Stregati, ebbe una relazione?«Sì, io credo che fra loro ci sia stato un amore, un affetto profondo». E con Carole Bouquet, che scelse per Donne con le gonne? «No, io credo che lì rimbalzò, credo eh…». È stato ipotizzato che i problemi di alcol e la depressione fossero insorti a causa di aspettative deluse per gli ultimi film.«La crisi di Francesco, all’opposto, si determinò all’apice del successo. Non ci sono solo depressioni da delusione o da fallimento, ma anche da successo. Mi chiamò da Napoli, dicendomi che era in ansia per come mantenere il successo. Come spesso succede, l’alcol diventa una sorta di automedicazione. Forse non sciolse alcuni nodi che doveva sciogliere e andò peggio». Poi, purtroppo, quella rovinosa caduta dalle scale, il 3 settembre 2006… «Probabilmente quella sera cadde per questo motivo, non era sobrio. Aveva una casa molto bella ai Parioli, ma con una scala molto pericolosa. Era da solo, la governante era andata via, spesso lui preferiva stare per conto proprio…».Ha sperato in suo ritorno alla normalità?«Ci ho sperato fino alla fine. Prima dell’incidente avrebbe potuto andare a Boston in una clinica specializzata per disintossicarsi, ma la cosa non si fece. Poi ebbe l’incidente che, per certi aspetti, è stato una cura per lui, perché dopo il coma, durato circa un anno, il centro di riabilitazione in Versilia, miracolosamente si svegliò, iniziò a camminare, pur dovendo ricorrere alla carrozzina, e a parlucchiare. Tornò a Prato, acquistò una casa, riuscimmo a scrivere la sua biografia per Rizzoli. Ma nel 2017 ci fu una seconda caduta, fu trasferito in clinica a Roma, lì la figlia (Ginevra, 26 anni, ndr) poté vederlo e accudirlo». Quando era ancora in vita, lei disse che il cinema e l’editoria musicale sembrano averlo rimosso, «con una rapidità intollerabile». «Lo confermo. È ancora così. Francesco Nuti, tra l’altro, ha portato all’industria cinematografica un sacco di soldi. Quando è morto, non ha avuto nemmeno un film in prima serata. Un libro, Tutti Nuti, che abbiamo scritto con Fabiana D’Urso, non ha trovato un editore e l’abbiamo pubblicato on line. Sembra ci sia quasi una sorta di damnatio memoriae…».Insomma, perché quest’oblio? «È un personaggio scomodo per due motivi. La storia dell’alcolismo non si presenta bene. E poi il linguaggio di Francesco non è politicamente corretto. In Donne con le gonne un uomo perde la testa, rapisce la donna e la incatena in un casolare. Non è apologia di reato. Anzi il film racconta la difficoltà seria di un uomo che sta male e fa star male una donna». Le è accaduto di sognare suo fratello? «Sì, l’ho sognato subito dopo la morte, ed era molto contento. Mi ha detto: “Sai che c’è un produttore tedesco che mi vuol far fare il loro film?”. Sono cristiano, anche se non praticante. Quando morirò lo incontrerò sicuramente».Durante i lockdown del 2020 veniva da dire «Madonna che silenzio c’è stasera»… «Secondo me, durante la pandemia, c’è stato uno dei momenti più bassi della democrazia italiana. Io ad esempio non mi sono vaccinato, sia per motivi di salute, avendo un’allergia specifica a quel vaccino, sia perché mi sentivo libero di non vaccinarmi».Ora che siamo più liberi, non sarebbe male, ricordando quel film, andare alla stazione dei treni e prendere un biglietto per Machu Picchu…«Sarebbe bello. Di Machu Picchu se ne parlava in casa, vedemmo da ragazzi un documentario. In Francesco c’era l’idea che lì ci fosse quasi una dimensione angelica, una città della libertà, della precisione, del miracolo…».
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