2023-07-09
Il giorno più caldo di sempre c’è già stato tante volte e con temperature superiori
Per «Repubblica» e altri giornali, i 17.18 gradi medi toccati il 3 (o il 4) luglio non si erano mai raggiunti sulla Terra. Ma è una bufala: i dati dicono che è stata anche più rovente.Pure secondo uno studio redatto dall’Aspen institute Italia, l’elettrificazione dei veicoli non basta. Bisogna ricorrere ai biocarburanti e allungare la vita ai motori termici.Lo speciale contiene due articoli.La guerra continua, milioni di persone migrano da un posto all’altro in cerca di una vita migliore ma nei luoghi dove sperano di trovarla davvero migliore l’inflazione aumenta. E, invece, qual è la notizia bomba del giorno? Che la temperatura media globale è di 17.18 gradi celsius. La seconda cifra decimale è un capolavoro ma, come fa di solito la moglie saggia, evitiamo di indagare. Per scoprirlo, bisogna risalire alla nostra bibbia del giornalismo italiano, Repubblica, la fonte dove ci abbeveriamo fiduciosi che ogni notizia è una vera e propria sentenza. Il loro titolo si questo argomento è il seguente: «Il 3 luglio il giorno più caldo della Terra: 17 gradi». Il titolista ci risparmia i decimali, penso per vergogna o mancanza di coraggio o per entrambe le cose.Il sottotitolo dà la colpa della notizia agli esperti, i quali incalzano che il 3 luglio «potrebbe essere stato il giorno più bollente di sempre». Il condizionale è ormai il modo verbale usato in tutti questi articoli il cui soggetto è il clima: ed è facile capire il perché, visto che siamo nel mondo del possibile. Anzi, nel mondo dove tutto è possibile, giacché non è ben chiaro cosa ci sia di bollente a 17 gradi. L’acqua sicuramente no, perché bolle a 100 gradi (almeno, alla pressione ordinaria). Chissà... Io non saprei proprio dire cosa bolle a 17 gradi. Però, che sciocco che sono: era un modo di dire, un’iperbole giornalistica.E questa è un’altra cosa che bisogna capire: ove si parla di clima, tutto è iperbolico. Se non piove per due giorni, per esempio, significa che è in atto la desertificazione. Un acquazzone è una bomba d’acqua e un giorno più caldo del solito rischia di trasformarsi in quello più caldo di sempre. E mentre leggi ti chiedi se sanno cosa significhi, davvero, «sempre». Se passiamo alla stampa estera, il Washington Post del 5 luglio titola che «Il 4 luglio è stato il giorno più caldo mai registrato». Sul 3 o sul 4 si metteranno pure d’accordo più avanti e non vogliamo sottilizzare, forse c’entra il fuso orario. Però, intanto, cominciamo già a ragionare: il «mai registrato» del Washington Post soppianta il «sempre» di Repubblica. Perché «mai registrato» significa, scopriamo, «dal 1980 a oggi», con buona pace dei 4 miliardi d’anni precedenti. Poi però anche il Washington Post non sembra resistere alla tentazione di sbracare, perché arriva, anche dalle sue colonne, una sentenza: «Di conseguenza, alcuni scienziati credono che il 4 luglio possa essere stato il giorno più caldo degli ultimi 125.000 anni». Mi tocca chiedere scusa a Repubblica: effettivamente, 125.000 anni è come dire sempre, a tutti gli effetti pratici. Ma la frase è un capolavoro di giornalismo e di scienza. In primo luogo, si dice «di conseguenza»: ma come diavolo possa, uno scienziato, dedurre che, siccome il 4 luglio c’è stata la temperatura più alta degli ultimi 40 anni, allora debba esserlo anche degli ultimi 125.000, è un mistero. In secondo luogo, il Post parla di «alcuni scienziati» ma, leggendo oltre, si scopre che è uno solo, tal Paulo Ceppi. Infine, usa il verbo «credono»: torniamo nel mondo della fede, che sta alla scienza come i cavoli alla merenda. Potendo fare codesto affidamento al giornalismo dei tempi nostri, andiamo direttamente alla fonte di chi sta registrando queste misure e la fonte ce la dicono sia Repubblica sia il Washington Post, entrambi sicuri che i loro lettori tutto bevono. Siccome noi non siamo loro lettori, non ci beviamo niente e controlliamo. La fonte sono i dati dei National centers for environmental prediction americani. I quali ci dicono anche come è variata la temperatura del pianeta negli ultimi 800.000 anni. Quello riportato qui sopra è il grafico così come da essi riportato. Si nota che il pianeta ha vissuto periodi glaciali (con temperature anche 10 gradi inferiori a quella attuale) interrotti, ogni 100.000 anni circa, da circa 15.000 anni di periodo interglaciale di optimum climatico, l’ultimo dei quali, l’Olocenico, è quello in cui stiamo vivendo noi, all’estrema destra nella figura.Ma nei quattro periodi interglaciali precedenti, il pianeta aveva raggiunto temperature ben superiori all’attuale. In particolare, nel periodo interglaciale precedente (circa 120.000 anni fa) la temperatura raggiunse valori anche di 5 gradi superiori agli attuali (col livello degli oceani anche di 9 metri superiore a quello d’oggi).La lezione da imparare allora è che, nell’optimum climatico che stiamo vivendo, il pianeta può ben continuare a riscaldarsi fino a raggiungere i valori di temperatura media globale già raggiunti negli optimum climatici precedenti, anche di 5 gradi più alti, e ripetere le condizioni del periodo interglaciale immediatamente precedente all’attuale. Quella dei 17 gradi, allora, è una non notizia. Né si capisce perché dovrebbe essere una cattiva: anzi, potrebbe essere anche una buona notizia, posto che nessuno sa dirci quale sarebbe la temperatura ottimale del pianeta. In ogni caso, la cosa non ha alcuna correlazione con le nostre emissioni di CO2, visto che da quando emettiamo CO2 la temperatura del pianeta ha oscillato, ora aumentando, ora diminuendo, mentre le emissioni sono continuamente cresciute senza sosta. Forse giova anche sapere che la temperatura mai registrata sulla Terra fu di 57 celsius, registrata il 10 luglio 1913 in California. Viviamo tranquilli, allora. E dobbiamo essere consapevoli che non viviamo più nelle caverne, ma in ambienti necessariamente artificiali, perché quelli naturali non sono i più adatti a noi. Il mito del buon selvaggio è, appunto, e in tutti i sensi, solo un mito. Organizziamoci al meglio, cercando di rinfrescarci quando fa caldo e riscaldarci quando fa freddo, cercando cioè di predisporre le cose per avere energia abbondante e a buon mercato. E, anziché sputare nel piatto che ci viene offerto, ringraziamo Dio di essere nati nell’età dei combustibili fossili e non in quella della pietra. Chi ci chiede di decarbonizzarci non vuole il nostro bene, ma il nostro male.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/giorno-piu-caldo-gia-stato-2662251439.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="auto-emissioni-zero-solo-fra-50-anni" data-post-id="2662251439" data-published-at="1688844073" data-use-pagination="False"> Auto, emissioni zero solo fra 50 anni L’elettrificazione si raffredda. Può essere una contraddizione in termini, ma la tecnologia scelta per sostituire (in Europa, con fiero cipiglio burocratico, entro il 2035, anno della messa al bando delle motorizzazioni a benzina o gasolio) i propulsori endotermici, sta subendo una sorta di risacca, dopo gli ultimi anni di forsennata, e anche un po’ spericolata, corsa alla spina. Audi e Shell, per esempio, nelle ultime settimane, hanno fatto notizia per aver sostituito i propri top manager maggiormente orientati alle energie rinnovabili, con dirigenti meno inclini a una, ancora difficile, svolta con l’obiettivo di riduzione delle emissioni di anidride carbonica (Net Zero Emission) al 2050. La frenata da parte di questi colossi in prima linea nel settore mobilità coincide perfettamente con lo studio condotto da Aspen institute Italia e realizzato in collaborazione, guarda caso, con Shell. Secondo l’indagine, ci vorranno almeno altri cinquant’anni per arrivare, nel settore dei trasporti, alle tanto agognate emissioni zero. E non è detto che ci si arrivi per davvero. Perché l’elettrificazione, da sola, non è sufficiente. Deve essere affiancata da altre soluzioni, come i biocarburanti. Le principali tecnologie oggi in via di sviluppo per la decarbonizzazione del settore dei trasporti, sia leggero che pesante, includono veicoli elettrici, celle a idrogeno, biocombustibili e combustibili elettronici (E-fuel). «Ciascuna di queste tecnologie offre buone opportunità di riduzione delle emissioni ma, al contempo, presenta ancora importanti limitazioni dal punto di vista sia tecnologico che regolamentare», si legge nello studio. Che non si limita a questa analisi, ma affonda il coltello nella piaga: «I motori elettrici offrono significative opportunità grazie alla capacità di non emettere gas di scarico e alla flessibilità nell’utilizzo di diverse fonti di energia primaria. Tuttavia, l’intero processo di produzione dei veicoli elettrici risulta attualmente molto dispendioso e presenta un considerevole impatto ambientale, principalmente a causa dell’utilizzo intensivo di materie prime minerarie le cui risorse sono limitate». Questa fase di «transizione della transizione ecologica» dell’automotive potrebbe aver un inaspettato alleato, oggi vituperato e messo al bando (almeno in Ue): i cari, vecchi motori termici. «I biocarburanti», prosegue lo studio dell’Aspen insitute Italia, «rappresentano un’alternativa interessante nel breve e medio periodo poiché sono compatibili con i modelli di automobili a combustione interna attualmente disponibili sul mercato. Mantenere la produzione di tali motori consentirebbe anche di preservare numerose imprese nel settore della componentistica che rappresenta un pilastro dell’industria italiana». Senza dimenticare la crescita dell’idrogeno. In pratica, la stessa posizione del governo italiano a Bruxelles.