2025-09-03
Dalla Germania ai riformisti: stop a Ursula
Ursula von der Leyen (Ansa)
Dopo il ministro Boris Pistorius anche Friedrich Merz attacca la Commissione sull’invio di truppe in Ucraina. E l’Agenzia per la Difesa Ue critica il piano di riarmo: troppa frammentazione. Sinistra, Nicola Zingaretti e Renew di Emmanuel Macron pronti a fare cadere la Von der Leyen.Che il vascello europeo guidato da Ursula von der Leyen stia imbarcando acqua a getto continuo è sotto gli occhi di tutti. E del resto con i risultati fallimentari che il presidente della Commissione europea porta a casa da anni (il flop del Green deal, la sconfitta sui dazi, l’erosione di consenso, il non toccare mai la palla su Ucraina e Gaza) sarebbe stato strano il contrario. Il problema è che nelle ultime settimane anche i due alleati storici del governo europeo sembrano aver mollato la baronessa al suo destino. Certo, Francia e Germania vivono una parabola difficilmente pronosticabile. La crisi economica va di pari passo con quella politica ed è quindi più facile lasciarsi andare a dichiarazioni poco diplomatiche. Ma le critiche di Boris Pistorius, il ministro della Difesa tedesca, all’ex ministro della Difesa di Berlino, Ursula von der Leyen appunto, segnano una sorta di spartiacque nelle relazioni con Bruxelles. Anche perché sono state confermate pari pari dal cancelliere Friedrich Merz. La fuga in avanti del presidente della Commissione (al Financial Times ha rivelato che sono in fase di elaborazione «piani precisi» per l’invio di una forza multinazionale in Ucraina) hanno mandato su tutte le furie Pistorius, che a stretto giro l’ha bacchettata come probabilmente mai era successo prima. «Discutere pubblicamente di tali argomenti prima che Kiev e Mosca si siedano al tavolo delle trattative è completamente sbagliato», ha precisato il politico che arriva della Bassa Sassonia, «a parte il fatto che l’Unione Europea non ha alcuna autorità o competenza in merito al posizionamento delle truppe, indipendentemente da chi o cosa, sarei cauto e riservato nel confermare o commentare in alcun modo tali piani». La reprimenda è stata abbastanza clamorosa e che il vento che spira da Monaco di Baviera verso Bruxelles sia diventato particolarmente gelido lo si coglie anche da altri particolari. Che poi particolari non sono. Come nel caso delle critiche mosse ai progetti per il riarmo dall’Agenzia europea per la Difesa. L’Agenzia è guidata da un militare, il generale tedesco André Denk, e fa un po’ da coordinatrice dei lavori dei diversi ministeri e dei principali gruppi del settore. Nelle sue relazioni ha evidenziato che l’Unione dovrà aumentare la spesa per «bellica» del 40% per soddisfare i nuovi obiettivi della Nato, chiarendo però che i fondi non sono il vero problema. Nel 2025 gli stanziamenti sono cresciuti dell’11%, fino a quota 381 miliardi, eppure se l’approccio dei vari Paesi resterà così frammentato difficilmente si raggiungeranno i risultati sperati. «Il problema non è tanto quanto spendiamo, quanto piuttosto come spendiamo», ha affermato più volte lo stesso Denk.Insomma, pur con tutte le cautele del caso - l’Agenzia non cita mai la Commissione ed evidentemente pungola anche i singoli Stati ad essere meno egoisti - la preoccupazione per il fallimento del progetto di riarmo è evidente. E il fallimento del progetto sul riarmo sarebbe il fallimento della stessa Von der Leyen. E poi c’è la Francia. Che non sa più cosa fare per uscire dalla crisi politica ed economica che la attanaglia da tempo. Alla Francia servirebbe un ammorbidimento delle regole di bilancio Ue e un uso massiccio degli eurobond. E certo, proprio adesso che il suo debito è diventato più rischioso, vorrebbe condividere con tutti quel rischio. Già negli ultimi mesi c’erano state delle divisioni sull’accordo Ue-Mercosur, l’intesa sul libero scambio con Uruguay, Argentina, Brasile, Paraguay e Venezuela spinto dalla Von der Leyen e avversato da Macron. E ora che la faccenda economica per la Francia è diventata ancor più seria le divisioni si stanno allargando. A molti non sono sfuggite le continue esternazioni dei rappresentanti di Renew (il gruppo europeo di Macron) contro la Commissione: «L’accordo sui dazi non è un’apertura, è una resa. Svende la nostra agricoltura, indebolisce i nostri standard ambientali e ci blocca in una massiccia dipendenza dagli Stati Uniti», spiega Yvan Verougstraete, eurodeputato belga e presidente del partito Les Engagés (gruppo Renew Europe), «Questo accordo è un’estorsione, non lo voterò». E del resto, ovunque si giri nel Parlamento Ue, la Von der Leyen trova dei nemici. Ieri ci ha messo il carico anche Nicola Zingaretti, il capo delegazione del Partito democratico (S&D) al Parlamento europeo: «È stato un grave errore non affrontare la trattativa sui dazi a testa alta», ha spiegato l’ex segretario del Pd, «credo che la Von der Leyen debba riflettere seriamente sul rischio di perdere la sua maggioranza in aula». Tutto questo mentre il bureau del gruppo della Sinistra Ue (The Left) sta elaborando un testo, che sarà presentato alla riunione di gruppo per avviare la raccolta delle 72 firme necessarie per proporre la sfiducia del Presidente. Secondo l’Ansa, l’obiettivo della Sinistra che ha 46 eletti, è quello di arrivare al voto in aula già alla seconda plenaria di ottobre. Motivi? La mancanza di una posizione netta su Gaza e l’intesa sui dazi Usa-Ue, oltre all’accordo sul Mercosur e all’arretramento sul Green deal. Le cause sono diverse, ma è un fatto che oggi il rieletto presidente della Commissione europea riesca nell’ardua impresa di scontentare tutti.
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