2022-01-13
Gedi, ecco le carte. «Truffe sul personale per dividere più utili»
Carlo De Benedetti con i figli - da sinistra Edoardo, Rodolfo e Marco (Ansa)
Sotto chiave 38,9 milioni. I pm volevano sequestrarne altri 22 Il gip: nemmeno le perquisizioni hanno fermato l’azienda.Le pressioni per il parere «pilotato». Monica Mondardini, intercettata a cena con tre manager e l’ex direttore Ezio Mauro, reclutò per la difesa della holding un docente universitario. Che però disse: questi sono artifizi.Lo speciale comprende due articoli.Il gruppo Gedi, editore della Repubblica, della Stampa e dell’Espresso, quando era guidato dai De Benedetti (sino a fine 2019, quando è stato ceduto alla Exor della famiglia Agnelli-Elkann), per «massimizzare i profitti», ha conquistato un record che fa impallidire quota 100: mandare in pensione un’ottantina di lavoratori con un’età media, a un primo conteggio, di 54 anni. Ex dipendenti finiti nel mirino del procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo e del pm Francesco Dall’Olio.Infatti nel decreto di sequestro preventivo, firmato il 9 dicembre dal gip di Roma Andrea Fanelli, sono elencati ben 101 indagati (due nel frattempo sono deceduti), tra presunti prepensionati a sbafo (80, compresi 16 dirigenti), manager accusati di truffa (17), sindacalisti ritenuti maneggioni (almeno 6, per lo più della Cgil), funzionari Inps tacciati di infedeltà (2) e altre figure minori (2). Qualcuno di questi soggetti compare in più di un elenco.Le accuse, a vario titolo, sono di truffa aggravata ai danni dello Stato, accesso abusivo a sistema informatico e responsabilità amministrativa da reato (per cinque aziende della holding), ai sensi del decreto legislativo 231.Fanelli ha ordinato di «congelare» il presunto corpo del reato ovvero l’illecito profitto che Gedi avrebbe conseguito grazie all’abbattimento del costo del personale quantificato dai pm in 38,9 milioni di euro. Denari che il giudice ha fatto cercare nelle casse di Gedi (12,8) e di altre aziende della holding (la concessionaria pubblicitaria Manzoni - 8,7 -; Elemedia -3,6 -; Gedi news network - 6,4 -; Gedi printing - 7,4 -). Se fossero state vuote, gli investigatori avevano l’ordine di aggredire i beni immobili dei quattro principali indagati: l’ex ad del gruppo Monica Mondardini, il capo delle risorse umane Roberto Moro, il suo vecchio vice Romeo Marrocchio, il direttore generale della divisione Stampa nazionale Corrado Corradi.Il gip ha, invece, rigettato (come aveva già fatto a ottobre) la richiesta di sequestro preventivo di 22.282.000 euro di assegni previdenziali indebitamente erogati da prelevare dai conti dei prepensionati indagati e di manager, sindacalisti e funzionari Inps compartecipi del reato. Se è vero che la cifra corrisponde al danno subito dall’ente previdenziale, però, la toga ritiene che questa «non corrisponda al profitto illecito percepito dai singoli dipendenti, che è pari all’importo netto della pensione» e per questo ha chiesto alla Guardia di finanza un ricalcolo della somma da prelevare.Per Fanelli, comunque, il fumus dei reati contestati c’è tutto, come confermerebbero, a suo giudizio, intercettazioni e testimonianze.Le frodi sarebbero state fondamentalmente quattro: fittizi demansionamenti di dirigenti a quadro per fargli ottenere i requisiti previsti dalla normativa di settore per i prepensionamenti; illeciti riscatti di annualità (a spese dell’azienda) «asseritamente» lavorate, con la complicità di funzionari Inps e la falsificazione dei libretti di lavoro; utilizzo come collaboratori esterni, nelle stesse società del gruppo, di dipendenti prepensionati in quanto falsamente indicati come esuberi; trasferimenti di personale eseguiti (in svariati casi solo sulla carta) per poter accedere «indebitamente» agli scivoli previsti per la sede/società di destinazione.Le investigazioni della polizia giudiziaria hanno consentito di «raccogliere gravi indizi di reità nei confronti di 83 posizioni illecite» (su 137 attenzionate tra il 2009 e il 2015), così distinte: 16 dirigenti fittiziamente demansionati; 44 dipendenti che avrebbero illegalmente riscattato periodi contributivi; 20 lavoratori falsamente trasferiti/transitati; 3 dipendenti prepensionati che hanno continuato il rapporto di lavoro come collaboratori esterni. Il giudice nota anche che, dopo le perquisizioni del marzo 2018, l’azienda non avrebbe cambiato rotta. Tutt’altro. Per il gip, addirittura, «è sembrata proseguire la direzione, di fatto, del gruppo, da parte della Mondardini», tramite Corradi e Moro, «anche dopo la nomina del nuovo ad Laura Cioli» e il passaggio della manager indagata alla Cir dei De Benedetti.Moro, del resto, avrebbe «mostrato di voler proseguire con i comportamenti censurati» anche in alcune conversazioni telefoniche, intrattenute pure con la Cioli (non indagata).Inoltre alcuni dirigenti dell’azienda si sarebbero «prodigati per rendere difficili i controlli […], ponendo in essere azioni tese a “evitare problemi” in caso di controlli» e l’Organismo di vigilanza, sottolinea il Gip, «ha omesso di intervenire nonostante gli avvisi di garanzia notificati nel marzo del 2018 e, addirittura, ha individuato, quale “amministratore incaricato della istituzione e del mantenimento di un efficace sistema di controllo interno e di gestione dei rischi”, la stessa Mondardini» che si sapeva indagata. Non è finita. Di fronte ai quesiti posti da un gruppo di azionisti di minoranza, che chiedeva se non fosse opportuno l’allontanamento degli indagati dai posti di comando per scongiurare eventuali arresti, l’azienda era stata netta: «Non sono state prese in considerazione misure come quelle sopra prospettate né da parte degli interessati né degli organi sociali» e «nel Gruppo non è stato fatto alcun artificio o raggiro». L’innesco ai prepensionamenti illeciti e alla vicenda penale che sta coinvolgendo Gedi lo ha raccontato agli inquirenti Michela Marani, responsabile del controllo di gestione del gruppo: «Intorno al 2007/2008, in concomitanza con una progressiva riduzione dei margini del gruppo, gli azionisti De Benedetti (ingegner Carlo e Rodolfo) hanno chiesto all’allora vertice aziendale […] di individuare una serie di interventi, prevalentemente sui costi, volti a preservare la marginalità del gruppo». La decisione finale «di procedere con i prepensionamenti veniva presa» dalla Mondardini, ma, in occasione della discussione finale del documento di budget, «era presente anche la proprietà, a cui veniva illustrato l’intero piano di ristrutturazioni, ivi compresa la parte relativa alla riduzione del costo del lavoro, quindi anche la parte legata ai prepensionamenti».I De Benedetti, che non risultano indagati, non sarebbero, però, stati messi a conoscenza degli escamotage illeciti con cui sarebbero stati raggiunti gli obiettivi da loro prefissati. E brillantemente realizzati: se tra il 2008 e il 2016 il fatturato si è dimezzato, passando da 1 miliardo a 540 milioni, l’azienda «ha registrato tutti gli anni un risultato sostanzialmente positivo, contraddistinguendosi nel settore come unico gruppo editoriale che ha saputo salvaguardare la sostenibilità finanziaria» si legge nel decreto. Per garantire questa sostenibilità gli addetti sono passati da 3.344 a 2.185 negli otto anni in esame. Il costo del personale, nello specifico, è stato ridotto del 35%, passando da 331 milioni a 214 milioni. Fanelli puntualizza: «Negli anni di maggior flessione del fatturato del settore editoria […], si rileva comunque un consistente utile» e tra il 2010 e il 2011 «il gruppo ha proceduto a distribuire utili agli azionisti per 54 milioni di euro».Il giudice, infine, per completare il quadro, cita un’intercettazione tra Mondardini e Moro: «I due confermano […] che la collocazione in pensione anticipata dei dipendenti era finalizzata alla massimizzazione dei profitti» e non era collegata al presupposto necessario dello stato di crisi. Perché, come si diceva un tempo, certi imprenditori amano socializzare i costi, ma privatizzare i guadagni.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/gedi-ecco-le-carte-truffe-sul-personale-per-dividere-piu-utili-2656396804.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="le-pressioni-per-il-parere-pilotato" data-post-id="2656396804" data-published-at="1642022093" data-use-pagination="False"> Le pressioni per il parere «pilotato» Avrebbe cercato in tutti i modi di convincere il professor Arturo Maresca, ordinario di Diritto del lavoro alla Sapienza, a produrre «un parere compiacente» che confermasse la tesi di Gedi sconfessando l’ipotesi di «una frode in danno dell’Inps». Per i magistrati a inchiodare Monica Mondardini, numero uno dell’Espresso all’epoca dei prepensionamenti sospetti, è un’intercettazione ambientale del 12 luglio 2018 captata in un ristorante romano. Al tavolo, oltre all’ex ad Gedi, ci sono il direttore generale Corrado Corradi, il capo del personale Roberto Moro e l’ex direttore di Repubblica Ezio Mauro. A tavola la Mondardini racconta la genesi del parere pro veritate redatto dal professor Maresca e depositato con le memorie difensiva di Gedi e della stessa Mondardini, che afferma: «Stamattina ho avuto un incontro con il professor Maresca, non mi è piaciuto, perché... ha incominciato a dire... insomma io ho dato la stura, e gli ho detto professore, lei è stato contattato mesi fa, io per carità non sono nessuno, però sono venuta a Roma apposta, lei non si è letto le nostre cento pagine...». Ed è rispondendo a questa provocazione che Maresca, stando a quanto riporta ai commensali Mondardini, avrebbe affermato: «Dottoressa questi sono artifizi... alcuni sono artifizi... perché voi dovevate trasferirli fisicamente». Mondardini continua a raccontare: «Gli ho detto: professore, la magistratura prudente, a tal punto che se non c’è proprio nulla... mobilitano 103 finanzieri? Senta professore, io ho bisogno di qualcuno che mi difenda, ci sto perdendo la salute, forse anche la professione... io cercherò qualcuno che mi difende... scelga lei se farlo o no. Le tesi io ce le ho (…) il problema è trovare qualcuno che me le sostiene». La coda della conversazione sembra una confessione. Sempre riferendosi a Maresca, Mondardini racconta: «Si siede e mi dice: “Beh certo dottoressa, bisognerebbe dimostrare che tutto questo personale sia trasferito”. Ho detto: “Perché, lei crede che io sarei qui se fossero trasferiti realmente?”». Il gip, trascritte le conversazioni, valuta: «Emerge chiaramente come il parere pro veritate del prof. Maresca non sarebbe super partes, essendo stato redatto a soli fini difensivi della Mondardini e del gruppo Gedi». E le intercettazioni, secondo il gip, dimostrano che Mondardini «era pienamente consapevole della natura illecita del sistema di prepensionamenti dalla stessa realizzato». Il 28 agosto la manager parla al telefono col capo del personale Roberto Moro. Una conversazione che, a dire degli investigatori, va inserita «in un momento storico nel quale il quotidiano La Repubblica stava valutando l’ipotesi di una solidarietà per la categoria dei giornalisti». E che conterrebbe passaggi definiti «emblematici»: Mondardini riferisce di aver sollecitato una terza persona (per gli investigatori l’ex amministratore delegato del gruppo, Laura Cioli) a trovare le soluzioni per ridurre il personale. Mondardini: «[…] Tutti gli anni si sono fatti questi ragionamenti no? Se si è campati fino adesso (ride) anche decentemente... non è che nel 2009 abbiamo esaurito tutte le cartucce». Moro è d’accordo. Risponde spesso con dei «certo», «infatti». Mentre lei continua: «Pensavamo di averle esaurite, dopo ce ne siamo inventate delle altre...». In un’altra conversazione l’ex amministratore delegato Marco Benedetto parla della «piena soggezione» di Moro nei confronti di una terza persona, per volere della quale avrebbe agito: «Non c’erano pressioni paranoiche nemmeno... il problema è questo... mica per criticare il povero Roberto per carità. Ma lo capisco, c’hai tre figli da mantenere e quella è una strega che, se gli vai contro ti licenzia... sai è dura eh». Secondo il gip Benedetto si riferisce «presumibilmente» alla «Mondardini, l’unica che avrebbe il potere di licenziare un dirigente del livello di Moro».
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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