2022-10-14
Scholz si garantisce da solo il metano. Ma per i missili vuole i soldi di tutti
Emmanuel Macron e Olaf Scholz (Ansa)
La Germania blocca l’Europa per rinforzare il suo piano contro l’inflazione: ieri sono iniziati i flussi dalla Francia. Allo stesso tempo, però, pretende che gli altri Paesi finanzino lo scudo aereo anti Russia.Berlino e Parigi tuonano contro gli alleati che non esportano Lng a prezzi di favore. Ma la responsabilità della situazione cade sui patti miopi stretti da Bruxelles.Lo speciale contiene due articoli.Ieri mattina Grtgaz, gestore francese di gas, come si intuisce dal nome, ha annunciato la prima consegna energetica a favore della Germania. Alle 6 del mattino sono transitati 31 gigawatt per la città di Obergailbach fino a Medelsheim dove hanno raggiunto il punto di interconnessione energetica. L’operazione è frutto di un accordo politico tra Parigi e Berlino che bypassa mesi di chiacchiere a livello europeo e, per quanto riguarda il nostro Paese, calpesta il Trattato del Quirinale. Beffa nella beffa il rapporto esclusivo tra i due Paesi europei è possibile grazie alle scelte in campo energetico della Francia e grazie alla mossa univoca della Germania di stracciare qualunque possibile accordo europeo di collaborazione reciproca. Il riferimento è a i costanti boicottaggi politici e al piano di investimento da 200 miliardi mirato a livellare il prezzo delle bollette verso il basso. Un danno per le altre aziende europee che faticheranno a stare al passo con le imprese tedesche così sussidiate. Il paradosso finale si è però consumato ieri mattina, quando Berlino alla luce del sole ha chiesto apertamente di fare un gruppo di acquisto paneuropeo per i missili e per la difesa dei cieli. Soprattutto i suoi. Ieri il governo tedesco ha proposto ai ministri della Difesa di 14 Paesi della Nato guidata da Jens Stoltenberg, che insieme con la Finlandia si sono riuniti a Bruxelles per firmare una lettera di intenti per lo sviluppo della European Sky Shield Initiative, un accordo per creare di fatto uno scudo aereo per la protezione dei cieli europei. L’iniziativa punterebbe a creare la base di un sistema europeo di difesa aerea e missilistica attraverso l’acquisizione comune di armamenti da parte delle nazioni europee e, secondo le intenzioni, «questo atto dovrebbe rafforzare la difesa aerea e missilistica integrata della Nato», come si legge in una nota dell'Alleanza atlantica. In realtà, nasconde il fatto che dietro questa proposta tedesca c’è il ritardo dell’entrata in servizio del sistema Arrow 3 che, qualora scelto da Berlino, non sarebbe operativo almeno fino al 2025. I Paesi Nato che hanno firmato l’iniziativa sono: Belgio, Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Germania, Ungheria, Lettonia, Lituania, Olanda, Norvegia, Slovacchia, Slovenia, Romania e Regno Unito. Il vicesegretario generale della Nato Mircea Geoana ha a sua volta dichiarato: «Questo impegno oggi è ancora più importante poiché assistiamo agli attacchi missilistici spietati e indiscriminati della Russia in Ucraina, che uccidono civili e distruggono infrastrutture critiche. In questo contesto, accolgo con favore la leadership tedesca nel lancio dell’iniziativa European Sky Shield; le nuove risorse, completamente interoperabili e perfettamente integrate nella difesa aerea e missilistica della Nato, miglioreranno significativamente la nostra capacità di difendere l’Alleanza da tutte le minacce aeree e missilistiche». Per taluni Stati si tratta di un’ottima occasione per dotarsi di armamenti moderni a costi ridotti, per altri di rinnovare i sistemi dispiegati oggi con altri in standard Nato. L’idea tedesca si propone di creare uno scudo antimissilistico europeo che aumenterebbe la protezione per gran parte del Vecchio continente grazie a una serie di barriere di difesa predisposte per intercettare vari tipi di missili a diverse altezze, coordinando i lanci dei sistemi di difesa aerea israeliani Arrow 3 con i Patriot di fabbricazione statunitense e con gli Iris-T tedeschi, ma attivabile mediante la catena di reazione rapida dell’Alleanza. Il ministro della Difesa tedesco Christine Lambrecht, in occasione di una riunione ministeriale della Nato a Bruxelles, ha dichiarato: «Si tratta di essere interoperabili e in grado di fissare i prezzi di acquisto, ma anche di sostenersi a vicenda; quindi, è una situazione vantaggiosa per tutti i Paesi che ne fanno parte». La Lambrecht ha anche sottolineato l’aumento dei rischi per la sicurezza in Europa a seguito dell’invasione dell’Ucraina e delle minacce fatte dal presidente russo Vladimir Putin: «Dobbiamo muoverci velocemente ora. È importante che le lacune della nostra difesa siano colmate perché stiamo vivendo tempi pericolosi e impegnativi». La domanda di fondo è chi pagherà? E l’altra domanda è a chi più conviene spalmare i costi su tutti i Paesi Ue? La risposta in entrambe i casi è quella stessa Germania che non vuole mai prendere in considerazione la condivisione del debito o del rischio energetico. Da un lato l’idea di dotarsi di missili validi da Roma a Berlino, da Madrid fino a Varsavia, ha i suoi validi fondamenti. Ad esempio, la buona notizia è che con Mbda quei missili li costruiamo anche noi. Ma il problema resta sempre la reciprocità. All’accordo potrebbero presto aderire anche altri Paesi seppur attualmente la realizzazione dello scudo aereo debba superare le limitazioni e le tempistiche della produzione e i ritardi delle consegne che stanno affliggendo il settore privato. «Siamo aperti a tutti e sappiamo che molti Paesi sono interessati», ha concluso la Lambrecht, aggiungendo che la Germania ha già avviato negoziati con produttori di sistemi antimissile. In verità l’idea dello scudo antimissilistico è stata annunciata per la prima volta dal cancelliere tedesco Olaf Scholz in un discorso a Praga nell’agosto scorso, quando ha affermato che il Paese avrebbe investito in modo significativo nella sua difesa aerea poiché il continente aveva «molto da recuperare». Per continente Scholz intende però il suo Paese.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/gas-armi-germania-francia-2658451864.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="norvegia-e-usa-ci-vendono-il-gas-liquefatto-a-peso-doro-per-colpa-degli-errori-ue" data-post-id="2658451864" data-published-at="1665757287" data-use-pagination="False"> Norvegia e Usa ci vendono il gas liquefatto a peso d’oro per colpa degli errori Ue Il primo a muoversi è stato il ministro dell’Economia tedesco, Robert Habeck, che la scorsa settimana ha criticato i Paesi «anche amici» che «ottengono al momento cifre astronomiche» fornendo il proprio gas all’Unione europea. «Questo pone dei problemi che vanno affrontati», aveva aggiunto il ministro, sollecitando la Commissione Ue a occuparsi del problema. Il riferimento, per nulla velato, era a Norvegia e Stati Uniti, che hanno aumentato le loro forniture verso il Vecchio continente ai prezzi altissimi del mercato di oggi. A ruota, nelle rivendicazioni è seguito il ministro dell’economia francese Bruno Le Maire, che parlando martedì all’Assemblea nazionale ha detto: «Non possiamo accettare che il nostro partner americano ci venda il suo Lng a un prezzo quattro volte superiore a quello al quale vende ai propri clienti industriali». E poi, ha proseguito, «un indebolimento economico dell’Europa non è nell’interesse degli Usa e per questo dobbiamo trovare rapporti economici più equilibrati». Un doppio rimprovero coordinato, diretto a Joe Biden perché contenga la bramosia dei metanieri a stelle e strisce. Berlino e Parigi, come noto, sono alle prese con gravi difficoltà sul fronte energetico. In Germania non arriva più il gas russo ormai da mesi e si va verso un inverno di razionamenti duri, mentre il governo ha stanziato altri 200 miliardi per pagare le bollette dei tedeschi. In Francia, dove il parco delle centrali nucleari è ancora per metà fuori servizio per problemi di manutenzione, è stato imposto un prezzo calmierato dell’energia ma il Paese è in subbuglio per la perdita del potere d’acquisto della popolazione, con diversi scioperi in corso. Mercoledì, il Consiglio europeo e la Commissione hanno fatto proprie le istanze tedesche, includendo il tema delle rinegoziazioni con i fornitori amici tra le linee di azione che la Commissione dovrà attuare nei prossimi mesi. Nella riunione di Praga è stato deciso anche di dare impulso agli acquisti congiunti, mettendo a fattor comune la posizione di acquisto europea, con la speranza di farla pesare nelle trattative sul prezzo. Tutte cose che servono alla Germania come l’ossigeno. In effetti, da quando è iniziata la crisi energetica, sia gli Stati Uniti che la Norvegia hanno aumentato le proprie esportazioni verso l’Europa. Nel 2021 la Norvegia ha esportato verso l’Unione europea 81.56 miliardi di metri cubi via gasdotto, nel 2022 siamo già a 89 (+9%). Sono però soprattutto gli Stati Uniti ad aver incrementato le proprie forniture di Lng all’Europa. Già nel 2021 i volumi erano passati a 29 miliardi di metri cubi dai 22 miliardi del 2020 (+30%), ma è nel 2022 che le consegne sono esplose, arrivando a 50,2 miliardi nei primi nove mesi dell’anno (+73% rispetto all’intero 2021). Un exploit che non ha precedenti nei rapporti tra gli Usa e l’Europa. A che prezzi ha comprato l’Europa tutto questo gas? Ai prezzi di mercato, ovviamente, alti perché molto vicini a quelli registrati al Ttf. Se il gas americano all’Henry hub viene trattato all’ingrosso a circa 22,5 euro/Mwh, quello al Ttf è intorno ai 158 euro/Mwh e il Lng destinato all’Asia viaggia attorno a un prezzo di 120 euro/Mwh (prezzi di ieri). Il fatto che l’Europa sia disposta a pagare più dell’Asia per avere il gas via nave sta privando altri Paesi delle forniture americane, ad esempio Pakistan e India. L’export Usa è già aumentato del 15% in un anno e la gran parte della capacità produttiva è impegnata con contratti a lungo termine. In più, l’incidente occorso a uno dei maggiori siti di esportazione di Freeport lng ha ulteriormente limitato la capacità statunitense, e sarà così almeno sino a marzo prossimo. Le lamentele franco-tedesche sui prezzi praticati dalle compagnie americane del gas liquido sono però assai tardive e ipocrite. Quando dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia gli Stati Uniti imposero all’Europa di abbandonare le forniture di gas russo, Bruxelles si accontentò di un generico impegno da parte degli Usa a fornire 15 miliardi di metri cubi di gas nel 2022 e di un ancor più generico impegno a portare questo quantitativo a 50 entro il 2030. Nessun accordo però è stato preso sui prezzi, a quanto risulta. Non contenti di non aver concordato nulla con gli Usa (quantitativi a lungo termine, prezzi, salvaguardie), gli improvvisati tecnoburocrati di Bruxelles lo scorso maggio hanno approvato il Repowereu, che esplicitamente spingeva a rinunciare immediatamente a due terzi delle forniture russe. A quel punto, cosa poteva frenare il prezzo del Lng, in un mercato già molto stretto, dove l’offerta è limitata? L’Unione europea si è gettata a corpo morto in un gioco più grande di lei, senza alcuna preparazione, senza avere negoziato a fondo i termini di un supporto americano a lungo termine, senza aver predisposto prima una rete di fornitori alternativi, senza aver organizzato le infrastrutture in grado di accogliere navi metaniere e senza aver negoziato prima aumenti di volume con i fornitori attuali (Algeria, Norvegia, Azerbaijan). Una clamorosa incapacità cui ora si pensa di porre rimedio con mesi di inutili trattative su fantasiosi corridoi di prezzo, nuovi benchmark e razionamenti da tempo di guerra. Dietro i richiami francesi e tedeschi all’alleato americano c’è un appello a un maggiore supporto sui prezzi, è vero. Ma vi è anche l’involontaria e drammatica presa d’atto della situazione estrema in cui si trova tutta l’Europa, condotta in un vicolo cieco da una classe dirigente misera e inetta.
Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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