
Il turismo si svilupperà anche nel metaverso
È un trionfo dell’ubiquità: si può essere, in un attimo, nella zona demilitarizzata che separa la Corea del Nord da quella del Sud, nella fervente stazione di Akihabara, a Tokyo, oppure a spasso per Benidorm, nome sonnolento di un comune pimpante sulla costa spagnola.
Sono tutti luoghi già disponibili nel metaverso: hanno costruito un loro equivalente virtuale navigabile a distanza da qualunque parte del pianeta. Un’anteprima che faccia venir voglia di visitare la meta reale.
È la frontiera del viaggio, un misto di suggestioni e marketing per accelerare gli affari, spingere una destinazione o i servizi per raggiungerla. La compagnia aerea Emirates, per esempio, ha da poco annunciato che esplorerà l’orizzonte: non è difficile prevedere la possibilità di assaggiare le sensazioni di una classe First o Business con un visore sul naso. Guardare la poltrona diventare un letto, curiosare tra il bar e la doccia di bordo.
Lo scopo è coltivare il desiderio del cliente di acquistare un biglietto e coccolarsi su una tratta intercontinentale. Il gruppo alberghiero CitizenM ha invece comprato uno spazio su The Sandbox, una delle arene più promettenti per accogliere gli utenti nell’altrove intangibile. Lo userà per promuovere il brand e i suoi hotel. Anche il colosso globale dell’ospitalità Marriott International si prepara a muovere i primi passi, facendo intravedere un percorso: «Cerchiamo continuamente opportunità per sfidare ciò che è convenzionale. Stiamo accendendo il potere trasformativo del viaggio nel mondo virtuale», ha anticipato Brian Povinelli, vicepresidente senior di Brand, Loyalty and Portfolio Marketing del gruppo.
Siamo nella fase delle premesse, del dire ci saremo per dimostrarsi avanguardisti (e cavalcare l’hype), comunque le traiettorie economiche paiono solide. Finanche trionfali: poche settimane fa, uno studio della banca d’investimento Citi stimava per il metaverso un potenziale di valore tra gli 8 mila e i 13 mila miliardi di dollari entro il 2030. Sarà una prateria affollata, in grado di coinvolgere fino a 5 miliardi di utenti. Un ecosistema allargato che considera computer, tablet e smartphone oppure si riduce - si fa per dire - a 1 miliardo di persone contando la realtà virtuale e quella aumentata: le tecnologie che permettono di immergersi in un contenuto in modo più credibile.
Solo per questo segmento, secondo la società di analisi GlobalData, si arriverà nel 2030 a un mercato da 152 miliardi di dollari, contro i 7 del 2020.Sempre a proposito di rapporti, lo scorso marzo Emergen Research ne ha pubblicato uno dedicato alle opportunità specifiche per il turismo. Uno tsunami trasversale, che interessa musei e parchi tematici, aeroporti e spa, persino gli agenti di viaggio, che potrebbero diventare concierge di bit. Una versione raffinata dei buttadentro dei ristoranti, intenti a vendere pacchetti ai clienti non tramite brochure, ma accompagnandoli virtualmente nei luoghi che andrebbero a visitare.
Vecchie liturgie che si aggiornano, assieme a esperimenti inediti: l’Ente sloveno per il turismo ha lanciato un souvenir formato Nft, un certificato di proprietà digitale, che tramite una piattaforma riservata ai suoi possessori dà accesso ad attrazioni e contenuti esclusivi. Mentre è andata esaurita in 20 minuti la collezione di Nft della compagnia di crociere Norwegian Cruise Line: in attesa di solcare gli oceani su un albergo galleggiante, ci si immagina già al largo possedendone un pezzetto. Il viaggio è fisicità estrema, un turbine di emozioni che coinvolgono tutti i sensi, perciò è improbabile che il metaverso faccia passare la voglia di partire, anzi allungherà l’elenco delle destinazioni da visitare.
Darà, alle remote o di nicchia, l’opportunità di raggiungere a domicilio il grande pubblico. Però, almeno nella modalità più spinta, queste tecnologie non sono universali. Mentre ci si sposta con addosso un casco in un ambiente fittizio, la realtà virtuale può provocare nausea, vertigini o incidenti domestici: se in vacanza si mette in conto un piccolo infortunio, sbattere contro la parete del salotto o inciampare su un divano fa sentire abbastanza inetti. Mentre si acquista il dono dell’ubiquità, si rischia di ridefinire il concetto della stupidità.
Dimenticata la «sensibilità istituzionale» che mise al riparo l’Expo dalle inchieste: ora non c’è Renzi ma Meloni e il gip vuole mettere sotto accusa Milano-Cortina. Mentre i colleghi danno l’assalto finale al progetto Albania.
Non siamo più nel 2015, quando Matteo Renzi poteva ringraziare la Procura di Milano per «aver gestito la vicenda dell’Expo con sensibilità istituzionale», ovvero per aver evitato che le indagini sull’esposizione lombarda creassero problemi o ritardi alla manifestazione. All’epoca, con una mossa a sorpresa dall’effetto immediato, in Procura fu creata l’Area omogenea Expo 2015, un’avocazione che tagliò fuori tutti i pm, riservando al titolare dell’ufficio ogni decisione in materia.
Da luglio la decisione sembrava bloccata nei cassetti del tribunale. Poi, due giorni dopo l’articolo della Verità che segnalava la paralisi, qualcosa si è sbloccato. E così il giudice delle indagini preliminari Patrizia Nobile ha accolto la richiesta della Procura di Milano e ha deciso di rimettere alla Corte Costituzionale il decreto legge del governo Meloni che, nell’estate 2024, aveva qualificato la Fondazione Milano-Cortina 2026 come «ente di diritto privato». La norma era stata pensata per mettere la macchina olimpica al riparo da inchieste e blocchi amministrativi, ma ora finisce sotto la lente della Consulta per possibile incostituzionalità.
«Io sono il prodotto di un sistema fallimentare». È un reportage dall’Aldilà, è il grido di dolore di una giovane donna che poteva (doveva) essere salvata. È il testamento morale di Siska De Ruysscher, fiamminga, che a 26 anni è stata uccisa dalla cultura dell’eutanasia. E che lascia una lettera (sotto forma di post su Instagram) sulla quale medici allegri, psicologi intrisi di ideologia, attivisti frementi, politici pavidi, giudici al calduccio dentro la loro casta dovrebbero riflettere a lungo. Siska è morta domenica scorsa semplicemente perché il sistema sanitario belga, che ha pianificato il suicidio assistito come se fosse una semplice sequenza di passaggi tecnici, è privo di retromarcia, di paracadute, in definitiva di umanità.













