2021-03-29
Francesco Vaia: «Basta col terrorismo sulle varianti»
Il direttore sanitario dello Spallanzani: «C'è chi le usa come clava. Invece vanno studiate: si possono gestire. Dico no al coprifuoco. E acceleriamo su terapie domiciliari e monoclonali, che riducono i ricoveri fino all'85%».«Per iniziare bene, le faccio sentire questa». Francesco Vaia, direttore sanitario dello Spallanzani di Roma, fa partire il brano Let her go, di Passenger. Professore, la musica allevia il tedio della zona rossa, eh...«Sì, ci vuole proprio».Come vanno le sperimentazioni su Sputnik V? Funziona?«Gli studi dobbiamo ancora cominciarli. Per ora, abbiamo un articolo di The Lancet, da cui emerge che l'efficacia del vaccino è del 91,7%. Ovviamente, ci sono tanti aspetti da approfondire».Insieme al Sacco di Milano e ai russi del Centro Gamaleya?«Siamo entrati in contatto con loro per vie diplomatiche: l'ambasciata russa in Italia e l'ambasciata italiana in Russia».E poi?«I colleghi russi sono disponibilissimi a scambiare i dati e il materiale biologico».Per farci cosa?«Per verificare se Sputnik è in grado di produrre anticorpi neutralizzanti efficaci sulle varianti, che qui noi abbiamo isolato».Quando partite?«La settimana prossima dovrebbe esserci la firma del memorandum, poi i colleghi russi dovrebbero venire in visita per interfacciarsi con la nostra equipe. E mi faccia chiarire una cosa».Ovvero?«La scienza è assolutamente neutra. Si fonda su due principi».Quali?«Primo: il dubbio. Dobbiamo ricercare, ricercare, ricercare. Secondo: l'assoluta impermeabilità ai fattori economici e alla geopolitica. Noi dobbiamo verificare se il vaccino funziona ed è sicuro. Non ci interessa in che Paese sia stato ideato».Non è che i pregiudizi politici ostacoleranno l'approvazione di Sputnik da parte dei regolatori?«Mi auguro che gli enti regolatori facciano per intero il loro dovere, senza pregiudizi».La Campania ha un accordo per acquistare il vaccino. San Marino l'ha già utilizzato.«La Repubblica di San Marino ci ha anche chiamati per uno studio sulla popolazione immunizzata».Lì è andata bene, no?«Pare proprio di sì. Ma ovviamente bisogna verificare sul campo. Sottolineerei un'altra cosa».Prego.«Quando abbiamo fatto la call, in cui erano presenti gli ambasciatori, eravamo collegati anche con il professor Massimo Galli del Sacco, che contribuirà allo studio».E quindi?«Ciò dimostra che lo Spallanzani non vuole fare il primo della classe e, anzi, cerca di coinvolgere l'intera comunità scientifica nazionale. È un bel segnale: gli scienziati italiani lavorano uniti».Senta, ma i vaccini che stiamo somministrando la bloccano o no, la trasmissione del virus?«Nei Paesi, come Israele e Inghilterra, in cui la campagna di vaccinazione è in fase molto avanzata, la contagiosità si è quasi annullata».Oh, una buona notizia.«E nei pochi casi in cui i vaccinati sono risultati positivi, erano quasi sempre asintomatici».Per cui, quei positivi asintomatici, avendo cariche virali basse, erano anche poco infettivi?«Quando la carica virale è bassa, certamente. Anche il Cdc americano ha riconosciuto che i vaccinati, se stanno tra loro, non hanno bisogno di mascherine».Volevo arrivare proprio qui.«In una situazione ideale, in cui siamo tutti vaccinati, ci possiamo liberare da questa schiavitù».Altrimenti?«In una comunità, in cui non so se le altre persone sono o non sono vaccinate, è prudente mantenere le mascherine».Ma allora, quando potremo togliercele?«Io mi auguro che la campagna di vaccinazioni avanzi a un punto tale che non avremo più bisogno di proteggerci gli uni dagli altri».Alcuni medici, ad esempio, il dottor Pietro Garavelli di Novara, dicono che durante una pandemia non bisognerebbe vaccinare, perché così si finisce per selezionare la varianti del virus più aggressive e letali. Che ne pensa?«Io sono abituato a leggere lavori scientifici pubblicati su riviste prestigiose. E alla luce di questi studi, credo che l'ipotesi non sia verosimile. I colleghi fanno bene a formulare nuove ipotesi, purché non le lancino in maniera assertiva».Ma quanto dura la protezione garantita dai vaccini? Perché se, a un certo punto, dovremo rimetterci a vaccinare chi l'ha persa e, nel frattempo, somministrare immunizzanti specifici per le varianti, rischiamo di non uscirne più, no?«Io l'ho già detto una volta: basta utilizzare le varianti come clave».Si spieghi.«Intanto, il vaccino praticamente annulla la mortalità, che è il nostro obiettivo primario».E allora?«Le varianti saranno una costante. Ma i vaccini tendenzialmente offrono una qualche copertura. E soprattutto, noi, queste varianti, non le dobbiamo inseguire».Che dobbiamo fare?«Dobbiamo mettere su una task force poderosa - e noi dello Spallazani lo stiamo facendo nel Lazio - per isolarle e sequenziarle, mettendole a disposizione di chi produce i vaccini».Perché?«Perché adesso, in brevissimo tempo, il vaccino può essere adeguato alla variante. La soluzione, insomma, è più semplice di quanto si possa credere».Dice?«Sono contrario a drammatizzare la questione varianti. Quando, durante l'estate, era spuntata quella spagnola, nessuno si è preoccupato. E pure quella inglese, ormai, la conosciamo».Sì, ma sabato, Silvio Brusaferro ha detto che l'abolizione della zona gialla ad aprile è necessaria proprio perché ci sono le varianti. Non è che qualcuno potrebbe usarle per tenerci rinchiusi anche a vaccini somministrati, con la scusa che questi non offrono una copertura ottimale? «Mi pare di averle risposto. No a mezzi di distrazione di massa: il nostro obiettivo primario è vaccinare la popolazione. Le varianti, poi, non possono essere una scusa per chiudere».Questo è importante.«Ci possono essere dei momenti in cui chiudi, perché circola una variante che ti preoccupa. Ma il vero problema, poi, è cosa fai nei 15 giorni di chiusura».In che senso?«In quel periodo devi lavorare dalla mattina alla sera per studiare, isolare e sequenziare il ceppo e poi sviluppare il vaccino. Se no facciamo come nel gioco dell'oca: torniamo sempre indietro. Le varianti spuntano di continuo. Che facciamo? Non ne usciamo più?».Allo Spallanzani state somministrando i monoclonali in day hospital?«Sì. In questo caso, anziché agire sulla profilassi, come con il vaccino, forniamo all'organismo del malato direttamente l'arma per combattere il virus, cioè gli anticorpi sintetizzati in laboratorio».Come funzionano?«Vanno somministrati nelle prime fasi della malattia, tre-cinque giorni massimo, alle persone a rischio complicanze. Stiamo usando le due tipologie approvate dall'Aifa: i monoclonali americani Regeneron ed Eli Lilly».Quelli che ha preso Donald Trump, giusto?«Esatto. Li stiamo dando a persone scelte tramite un formulario dei pronto soccorso e dei medici di famiglia. Abbiamo 12 postazioni, li somministriamo per via endovenosa per 60 minuti, teniamo i pazienti in osservazione per altri 60 minuti e poi li mandiamo a casa».Con che risultati?«Ce ne aspettiamo di ottimi».Quanti pazienti salverete?«Abbiamo iniziato martedì scorso. Verifichiamo questa settimana, ma ci attendiamo di salvarne tanti. Gli studi ci dicono che si può ridurre l'ospedalizzazione fino all'85%». Sì?«I monoclonali sono un'arma importantissima, che è stata troppo a lungo trascurata».Come le terapie domiciliari? Insomma, sarebbe possibile superare il protocollo «tachipirina e vigile attesa»?«Assolutamente sì. La tachipirina non basta. Ci sono terapie innovative già sperimentate in questi mesi, che ovviamente vanno calibrate sui singoli pazienti. Infatti, io, che pure sono il direttore sanitario di un grande istituto, penso che la frontiera della medicina siano i territori. Non solo per il Covid».Cioè?«Si ricorre troppo all'ospedalizzazione. Invece dovremmo puntare su quelli che io chiamerei i medici della domiciliarità».Chi sarebbero?«Medici che connettono ospedali e territori e hanno la capacità di portare a casa delle persone le terapie più innovative».Professore, ma quest'estate come sarà?«Attenzione: il virus non è stagionale. Non muore con il caldo. E non esistono le ondate: il virus è comparso con la coppia cinese, a gennaio 2020, e non se n'è mai più andato».Ah, ecco.«Lo dissi già a maggio dell'anno scorso: occhio all'estate, poi alla riapertura delle scuole e ai trasporti. Ora vale lo stesso discorso».Quindi?«Io sono forse il medico d'Italia più favorevole alle aperture. E d'estate, il fatto di stare all'aperto offre meno occasioni di contagio. Ma gli spazi di libertà devono essere graduali e premiali: non dobbiamo passare da un eccesso all'altro. Inoltre, la pandemia ci ha insegnato che dobbiamo coltivare stili di vita salutari».Ad esempio?«Dobbiamo rivedere i tempi delle città, gli orari di accesso alle scuole e agli uffici, rimettere al centro il tempo libero e lo sport. Togliamo i bambini da davanti a smartphone e tv, facciamoli stare all'aria aperta».In lockdown è complicato...«Io, infatti, sono per tornare con calma alla normalità. E spero che i giovani ci diano una mano, autoregolandosi, perché nessuno poi possa puntare il dito su di loro». Visto che lei è «aperturista», mi dice di che divieto potremmo fare a meno, dato che incide poco sulla circolazione del virus?«Il coprifuoco. Evoca la guerra. Non mi piace».
Pier Luigi Lopalco (Imagoeconomica)
Nel riquadro la prima pagina della bozza notarile, datata 14 novembre 2000, dell’atto con cui Gianni Agnelli (nella foto insieme al figlio Edoardo in una foto d'archivio Ansa) cedeva in nuda proprietà il 25% della cassaforte del gruppo