
Mario Draghi (Ansa)
La discussione sulla delega fiscale
In occasione della presentazione in parlamento del programma dell'allora costituendo governo, Mario Draghi illustrò le linee della progettata riforma fiscale, tra l'altro riprendendo una parte di un articolo del suo consigliere, Francesco Giavazzi, pur senza citarlo, configurandola come una revisione globale dopo mezzo secolo dall'ultima vera riforma, quella degli inizi degli anni settanta dovuta principalmente a Bruno Visentini e Cesare Cosciani.
I consensi sulle linee generali esposte alle Camere furono ampi. Le aspettative, dunque, erano altrettanto estese per i contenuti del progetto. Ora, invece, constatiamo che quest'ultimo - sia pure nella forma di legge delega al governo - si è andato progressivamente assottigliando e che, dunque, il raffronto con la «Visentini» adottata per di più nella vituperata (da alcuni). Prima Repubblica non regge affatto, allo stato delle decisioni, per l'inadeguatezza dell’attuale elemento di comparazione che innanzitutto stenta a presentarsi come una vera e propria rivisitazione complessiva, coerente nelle sue parti, frutto di un preciso disegno. Una rivisitazione che consenta, insomma, l'emanazione di efficaci decreti delegati. A un certo punto, nei relativi lavori preparatori ci si è incagliati sul sistema di tassazione duale e sul catasto, trascurando aspetti fondamentali, quali una vera organica revisione in tema di tax expenditures o un irrobustimento dei presupposti delle iniziative antievasione.
Quanto al catasto, il riferimento è alle recenti modifiche volte a escludere il richiamo iniziale del valore commerciale degli immobili. Tuttavia, nell'allegato al Def, riportato nell'articolo di Franco Bechis del 30 aprile, si fa riferimento alla corretta identificazione della base fiscale degli immobili come una delle ragioni della riforma del catasto. Permane, dunque, l'esigenza di un chiarimento. Di per sé è già debole la motivazione di una riforma che non persegua, come viene affermato e ripetuto, modifiche nel trattamento fiscale (peraltro contraddetta dalla frase testé indicata), dal momento che, se si predispongono determinati elementi conoscitivi, prima o poi sarà inevitabile trarne le conseguenze anche tributarie. Si contrasta questo modo di agire in via di principio? No, ma allora è necessaria la massima chiarezza sulle finalità che si perseguono e, a questo punto, su come vengono concretizzate, con i relativi limiti, nella legge. Una cosa è accatastare immobili che evadono la registrazione nel catasto e la tassazione - un’operazione doverosa - altra cosa sarebbe creare le premesse per variazioni nell'imposizione che costituirebbe un argomento soprattutto in questa fase contrastante con i problemi indotti dall’inflazione, dall’aumento straordinario dei prezzi dell'energia con il riverbero anche sui prezzi di prodotti di largo consumo, dai rischi di recessione o di stagflazione.
Problemi che, purtroppo, non saranno superabili a breve termine. Del resto, se l'auspicata grande riforma del fisco, si riduce, piegando le ali e con alcune eccezioni, a una operazione di razionalizzazione e semplificazione - da valutare ovviamente in occasione della formazione dei decreti delegati - allora bisognerà tenerne conto per l'intero ambito di intervento. Da questo punto di vista, porre la fiducia sulla legge-delega, come è stato adombrato, costituirebbe uno «sbrego» che tocca i rapporti costituzionali tra governo e camere. In tal caso, l'esecutivo si confeziona le norme che prevedono il ritorno del potere allo stesso esecutivo per il tramite di un intervento parlamentare che colloca il «legislativo» come mero passaggio tra due potestà governative. L’apposizione della fiducia caratterizzerebbe la fase parlamentare che, poiché si tratta di cedere al governo il potere di legiferare con principi e criteri definiti ed entro termini determinati, dovrebbe essere, invece, massimamente libera. É auspicabile, dunque, che si arrivi tempestivamente a una riconsiderazione dei contenuti e del metodo.
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Ansa
Stefano Volpato: col Tfr nei fondi previdenziali e un contributo volontario di circa 5.000 euro l’anno si riduce il nodo della pensione bassa.
Il 2025 rappresenta un punto di svolta per Banca Mediolanum. «Un anno memorabile», lo definisce Stefano Volpato, direttore commerciale, non solo per i risultati economici - budget ampiamente superati - ma perché segna il passaggio da una fase di crescita a una di trasformazione strutturale. L’obiettivo dichiarato è ambizioso: accompagnare i clienti verso l’autonomia e l’indipendenza finanziaria in età pensionabile, rendendo possibile, nei fatti, la triplicazione della ricchezza finanziaria pro capite, sottolinea Volpato durante la tradizionale convention con la rete a Merano, per tirare le somme dell’anno che sta per finire e definire le strategie del 2026. Un anno, ha confermato l’amministratore delegato Massimo Doris, destinato appunto a superare il record del 2024, con una raccolta netta di 10,4 miliardi e oltre 2 milioni di clienti e un primato, nell’universo Assoreti tra raccolta, mutui e prestiti concessi oltre che le polizze sottoscritte.
Com’è tradizione in casa Mediolanum, si può sempre fare di più. Come? Il punto di partenza è un contesto in rapido cambiamento. L’invecchiamento della popolazione, la crisi del welfare pubblico e l’aumento della longevità stanno ridefinendo il concetto stesso di pensione. Dal 1948 l’aspettativa di vita media è cresciuta di circa 20 anni e continuerà ad aumentare, anche grazie ai progressi tecnologici e all’Intelligenza artificiale applicata alla medicina. In questo scenario, evidenzia Volpato durante un’ora di intervento davanti alla rete, affidarsi esclusivamente alla previdenza pubblica non è più sufficiente. Un allarme già lanciato dal World Economic Forum nel 2019: in assenza di una pianificazione adeguata, i pensionati rischiano di esaurire i propri risparmi otto/dieci anni prima della fine della vita. È qui che si inserisce il ruolo della consulenza finanziaria, chiamata a trasformare il risparmio in progetto di lungo periodo.
«I numeri spiegano il potenziale», precisa Volpato. In Italia la ricchezza finanziaria pro capite è pari a circa 120.000 euro, ma una quota rilevante è parcheggiata in liquidità. Nel 2024 sui conti correnti giacciono 1.580 miliardi di euro, capitale che produce rendimenti reali prossimi allo zero. La prima leva per aumentare la ricchezza è dunque la riallocazione efficiente di queste risorse: ridurre la liquidità in eccesso e investirla in modo diversificato tra strumenti obbligazionari e azionari, coerentemente con il profilo di rischio e l’orizzonte temporale. Secondo le simulazioni Mediolanum, se negli ultimi 30 anni una parte significativa di questa liquidità fosse stata investita con un portafoglio bilanciato - metà in obbligazioni e metà in azioni - il sistema avrebbe generato oltre 4.200 miliardi di euro di ricchezza aggiuntiva. Questo meccanismo, replicato su base individuale, consente nel tempo di raddoppiare il capitale finanziario medio.
La seconda leva è la previdenza complementare, in particolare il conferimento del Tfr. Destinare il Tfr a un Piano individuale pensionistico consente di beneficiare di una tassazione finale ridotta e di rendimenti mediamente più elevati rispetto alla rivalutazione del Tfr lasciato in azienda. Nel caso di un lavoratore quarantenne, con un reddito lordo di 56.000 euro l’anno, la differenza può superare i 100.000 euro di capitale finale, a parità di contributi versati. Un incremento che, di fatto, equivale a un ulteriore raddoppio della ricchezza finanziaria futura.
La terza leva è la pianificazione fiscale. I contributi volontari alla previdenza sono deducibili fino a 5.164 euro annui, riducendo l’esborso netto annuale e aumentando il capitale investito. Il vantaggio tributario, reinvestito nel tempo, genera un effetto moltiplicativo che amplia ulteriormente la distanza rispetto a chi mantiene il risparmio fermo sul conto corrente, spiega ancora Volpato. Due numeri per chiarire: «Mario Rossi, 40 anni e sempre con un reddito di 56.000 euro lordi l’anno, versa 5.164 euro ogni 12 mesi in un fondo previdenziale, ovvero la quota deducibile. Per cui già 2.221 (aliquota al 43%) è come se li mettesse lo Stato. L’uscita di cassa netta è insomma pari a 3.547 euro annuo. In 27 anni versa 139.428 euro, a cui va aggiunta - evidenzia il direttore commerciale di Banca Mediolanum - una rivalutazione netta del 5,11% derivante dal contributo mercato, in soldoni 162.390 euro. Alla fine porta a casa 285.923 euro. Se lascia sul conto invece i 3.531 per 27 anni si troverà 95.337 euro. In teoria. Ma non resteranno mai per le spese che uno fa. «Insomma», conclude Volpato, «la differenza tra investire quei circa 3.500 euro volontari in un fondo previdenziale e lasciarsi sul conto fa + 190.586 euro di differenza».
Tirando infine le somme, combinando queste leve - investimento della liquidità, previdenza complementare, efficienza fiscale e ovviamente tempo - la ricchezza finanziaria pro capite può passare da circa 120.000 euro a oltre 300.000 euro al momento della pensione. È questo il «salto dimensionale» da fare di cui parlano Doris e Volpato alla rete Mediolanum: costruire oggi le condizioni per un domani di autonomia e indipendenza, senza dipendere esclusivamente dal welfare statale.
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«The Hunting Wives» (Netflix)
Arrivata su Netflix Italia, Nido di vipere adatta il romanzo di May Cobb e racconta noia, desiderio e trasgressione in una comunità texana conservatrice. Tra dramma e giallo, la serie osserva le contraddizioni private e sociali della sua protagonista.
La serie dello scandalo, quella che negli Stati Uniti ha fama di aver passato al vaglio, senza nulla lasciare all'immaginazione, la sessualità omoerotica di donne all'apparenza tradizionali. The Hunting Wives, tradotto per l'Italia con Nido di vipere, è un romanzo di May Cobb, adattato poi a serie televisiva. Negli Usa, sotto forma di narrazione tv, ha debuttato lo scorso anno. Su Netflix Italia, invece, è arrivata lunedì 15 dicembre, portando con sé una storia fatta di noia e trasgressione, di bisogni che emergono piano, travolgendo chi li provi prima ancora che questi possa capire perché.
Sophie O’Neill credeva di aver raggiunto lo status che più desiderava, quando, insieme al marito e al figlio, ha lasciato Chicago, la sua carriera, tanto invidiabile quanto fagocitante, per trasferirsi altrove: in un piccolo paesino del Texas, una bella casa nel mezzo di una comunità rurale, pacifica, placida. Credeva di aver scelto la libertà. Invece, quel nuovo inizio così atipico, lontano dai rumori della città, rivela ben presto altro, la noia, la ripetitività eterna dell'uguale. Sheila si scopre sola, triste, annoiata, di una noia che solo Margot Banks, socialite parte di una cricca segretamente conosciuta come le Mogli Cacciatrici, sa combattere. Sono i suoi rituali segreti, le feste, i ritrovi di queste donne a ridestare Sheila, restituendole la voglia di vivere che pensava aver lasciato nella ventosa Chicago. Sheila è rapita da Margot, e passa poco prima che la relazione delle due diventi qualcosa più di una semplice amicizia: un amore figlio della curiosità, della volontà di sperimentare quel che in gioventù s'è tenuto lontano. Il tutto, però, all'interno di una comunità che questo tipo di relazioni dovrebbe scongiurare. C'è il Texas repubblicano e conservatore, a far da sfondo alla serie televisiva, costruita - come il romanzo - a mezza via tra due generi. Da un lato, il dramma, l'intrigo amoroso. Dall'altro, il giallo, scoppiato nel momento in cui il corpo di un'adolescente viene trovato senza vita nell'esatto punto in cui sono solite ritrovarsi le Mogli Cacciatrici.
Allora, le strade narrative di Nido di vipere divergono. Sheila è colta nelle sue contraddizioni, specchio di una società di cui l'autrice e gli sceneggiatori cercano di cogliere l'ipocrisia. La critica sociale prosegue insieme al racconto privato di questa mamma di Chicago, coinvolta, parimenti, in un'indagine di polizia. Nega, Sheila, cerca di provare la propria innocenza. Ma il giallo fa il suo corso, e non è indimenticabile quel che è stato scritto: la storia di Sheila, il suo dramma di donna, colto tanto nell'esistenza individuale quanto in quella collettiva, non sono destinata a riscrivere le sorti della serialità televisiva. Eppure, qualcosa affascina in questa serie tv, passatempo decoroso per le vacanze imminenti.
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Ecco #DimmiLaVerità del 19 dicembre 2025. Ospite la vicecapogruppo di Fdi alla Camera Augusta Montaruli. L'argomento del giorno è: "Lo sgombero del centro sociale Askatasuna di Torino".














